“Non faremo false promesse sull’immigrazione, non vogliamo alimentare la paura”. Con queste parole, il leader della sinistra parlamentare britannica, Jeremy Corbyn, ha concluso il comizio di Liverpool dopo avere vinto nuovamente – a distanza di un anno dalla prima volta – la leadership del partito democratico del Regno Unito.
Si tratta di una posizione, o meglio, di un punto di quello che sarà il programma elettorale della sinistra (al momento nel Regno Unito non sono ancora previste elezioni). Un’affermazione particolarmente coraggiosa nella politica internazionale odierna, dove pochissimi politici di rilievo, o capi di governo europei, riescono a trovare il coraggio di difendere l’immigrazione.
Assieme ad Angela Merkel – che lo scorso luglio aveva difeso la scelta di accogliere migliaia di rifugiati nel paese – Jeremy Corbyn diventa l’unico leader di un partito maggioritario in Europa a difendere pubblicamente l’immigrazione. Non si tratta di una posizione facile. L’emergenza rifugiati, gli attacchi terroristici, la disoccupazione: per tutti questi mali oggi l’immigrazione è il capro espiatorio preferito dalla politica.
Da Marine Le Pen in Francia al nostro Matteo Salvini, i partiti e movimenti di destra che puntano a testa bassa contro gli immigrati – o in particolare sull’emergenza dei rifugiati – sono sempre di più. E guadagnano consensi. In Germania, ad esempio, proprio Angela Merkel è stata di recente sconfitta alle elezioni regionali dal partito di estrema destra anti-immigrati AFD.
In Gran Bretagna, invece, sono passati solo tre mesi dal referendum in cui il 52% dei cittadini ha votato l’uscita dall’Unione Europea – le modalità con cui la Brexit avverrà sono ancora tutti da chiarire – e anche allora l’argomento centrale della campagna referendaria fu lo stop all’immigrazione (ma contro gli europei). Il partito Ukip di Nigel Farage e la corrente Brexista interna al partito di governo dei Tories, hanno giocato tutto sui limiti da imporre all’immigrazione europea.
E anche i partiti di sinistra si schierano contro gli immigrati. Proprio in Inghilterra, il partito di Jeremy Corbyn ha digerito a fatica la presa di posizione del leader radicale. “Sarebbe un grave errore ignorare le sfide che pone l’immigrazione alla sinistra nei territori”, afferma la parlamentare Labour Chuka Umunna. Un anno fa, il partito democratico inglese aveva addirittura diffuso dei gadget elettorali con la scritta: “Controlli all’immigrazione”.
Sempre più la politica si fa sulle spalle degli immigrati. E la crescita nei consensi dei partiti di destra, il referendum per la Brexit e i recenti risultati elettorali locali in Germania, dicono che una buona parte dell’opinione pubblica è contraria all’immigrazione. Nel Regno Unito, addirittura, a partire dai giorni seguenti il referendum per la Brexit c’è stato un drammatico aumento di reati violenti contro gli immigrati asiatici, musulmani, ed europei (in particolare polacchi).
Forse Corbyn e Merkel sbagliano a mettersi contro il sentimento prevalente dei nostri tempi? Ma se la politica e la società puntano contro l’immigrazione, è il momento di chiedersi se a questo sentimento corrisponde la realtà. O meglio, hanno ragione i governi, i partiti di destra e gli elettori ad essere convinti che buona parte dei mali della nostra società sia colpa dell’alta immigrazione?
La risposta è no. Sia in Germania che in Francia, nel Regno Unito come in Italia non ci sono dati sufficienti a dimostrare che l’immigrazione procuri danni all’economia e alla società. Anzi, nella maggior parte dei casi i dati più rilevanti parlano di crescita, e di un importante contributo alle casse dello Stato. Proviamo ad esaminare i casi di Regno Unito e Germania, due paesi con una forte immigrazione ma con caratteristiche molto differenti.
Nel Regno Unito il governo Cameron ha visto il dato dell’immigrazione netta – il saldo fra chi arriva e chi lascia il paese – arrivare a 330mila persone nel 2015, il secondo dato storico più alto registrato dall’ufficio statistico britannico. Di questi, 184mila sono cittadini europei. Il problema di Cameron – che ha poi portato all’infelice esito referendario – è stato non riuscire a mantenere la promessa di ridurre questo numero sotto i 100mila. Ma oltre la promessa elettorale mancata, di concreto, non c’è nulla.
I continui allarmi sull’abbassamento dei salari britannici dovuto all’immigrazione dall’est Europa, e la pressione sul welfare (in particolare gli ospedali) esercitata dagli immigrati non sono supportati dai fatti. È vero, invece, che nello stesso momento in cui il Regno Unito viveva una forte ondata migratoria, il governo dei Tories tagliava pesantemente i budget di sanità e servizi, mentre i salari si abbassavano come nel resto d’Europa per via della crisi, come riporta uno studio della London School of Economics.
Perfino il sito che fa campagna contro l’immigrazione, Migration Watch – i cui metodi statistici sono stati duramente contestati come parziali – riporta che nel caso peggiore un’immigrazione di 250mila persone l’anno porterebbe il beneficio dello 0.1% al PIL (poca cosa, ma comunque una crescita che tanti paesi, a cominciare dall’Italia, farebbero tutto per avere). I dati raccolti dall’University College di Londra, inoltre, riportano che gli immigrati europei pagano più in tasse – circa 2 miliardi di sterline l’anno – di quanto ricevono in servizi. E su 2 milioni di cittadini UE che lavorano nel Regno Unito solo 91.700 (il 4.5%) avrebbe richiesto sussidi.
E in Germania? Nel motore economico d’Europa l’immigrazione è cresciuta del 49% in un anno, secondo quanto riporta l’istituto statistico tedesco, con un’immigrazione netta di oltre un milione persone nel 2015 (oltre il triplo, dunque, del Regno Unito). Ma Ia Germania ha un disperato bisogno di forza lavoro: “Abbiamo più di un milione di posti di lavoro da da ricoprire”, ha detto di recente il ministro tedesco del lavoro Andrea Nahles, “Abbiamo bisogno di lavoratori qualificati”. Il fatto è che la popolazione sta invecchiando: secondo le ultime stime del governo la forza lavoro tedesca passerà dai 49 milioni di persone nel 2013 ai 34-38 milioni nel 2060. La Germania avrebbe dunque bisogno di 500mila immigrati l’anno per i prossimi 35 anni.
Secondo uno studio della Fondazione Bertelsmann, poi, in Germania gli imprenditori con un background migrante hanno creato nel 2014 un milione e 300mila posti di lavoro. Insomma, sia un paese con una popolazione in crescita come il Regno Unito, sia un paese che necessita forza lavoro come la Germania, entrambi beneficiano economicamente dell’alta immigrazione. Sembra dunque che i sentimenti anti-immigrazione in crescita, e il pesante ricorso a questi argomenti fatti dalla politica odierna, non trovino riscontri concreti nei numeri.
Per questo motivo è, comunque la si pensi, un bene che il leader della sinistra britannica, Jeremy Corbyn, abbia deciso contro il suo partito di schierarsi a difesa dell’immigrazione. E così Angela Merkel. Perché è importante che nel momento in cui le nostre società sono compromesse dalla disoccupazione, dal precariato e dalla crisi, la politica torni a ragionare sui fatti, sulle soluzioni concrete. Anziché fare ricorso alla politica della post-verità, sulla paura, come hanno fatto i sostenitori della Brexit e Donald Trump.
E in Italia? Secondo il Ministero dell’Economia il saldo fra quanto gli immigrati versano (in tasse) e ricevono (in welfare) è di 5 miliardi di euro: significa che 600mila italiani ricevono la pensione grazie alle tasse dei lavoratori immigrati. La Cgia di Mestre stima che l’economia generata dall’immigrazione in Italia sia pari all’8.6% del PIL. Anche da noi, insomma, non c’è proprio motivo perché proliferino i sentimenti anti-immigrati.
Eppure, c’è da scommettere che in tanti faranno campagna proprio su queste posizioni nei prossimi anni, giocando sulla rabbia e la paura di chi si è impoverito per via della crisi economica. Dopotutto, anche nel nostro paese le proiezioni dicono che nei prossimi 10 anni gli immigrati in Italia raggiungeranno gli 8 milioni di persone, dai 5 milioni attuali, con il 13% della popolazione. Ci sarà qualcuno disposto a difenderli?