Il 21 gennaio di otto anni fa, nel giorno del primo insediamento di Trump alla Casa Bianca, si svolgeva per le strade di Washington una delle più grandi manifestazione della storia degli Stati Uniti: era la Women’s March, la marcia delle donne, organizzata da un gruppo di femministe che si erano riunite sotto il simbolo del pussy hat, un cappellino fatto a maglia con orecchie da gatto, che alludeva alle parole pronunciate anni prima da Trump durante un fuori onda televisivo e divulgate dal Washington Post, “grab them by the pussy”. Il fatto che il futuro presidente degli Stati Uniti si vantasse di poter palpeggiare le donne senza conseguenze sembrava riassumere perfettamente il suo atteggiamento nei confronti del genere femminile. Alla Women’s March parteciparono più di sei milioni di persone in tutto il territorio degli Usa, un record sorpassato solo dalle proteste per la morte di George Floyd nelle mani della polizia nel 2020.
La seconda inaugurazione di Trump prevista per oggi si svolge in tutt’altro clima: Washington D.C. è barricata e l’evento è stato spostato al chiuso per le condizioni climatiche estreme. Ma soprattutto, come ha scritto il New York Times, il movimento anti-Trump è passato dalla resistenza alla rassegnazione: niente manifestazioni colorate, niente canti di protesta e – cosa forse ancora più allarmante – niente organizzazione. Eppure, la posta in gioco di questo secondo mandato per le donne e le minoranze LGBTQ+ che avevano guidato i movimenti di opposizione nel 2017 è molto più alta. Nel suo discorso inaugurale, Trump ha riassunto il nuovo corso dell'amministrazione, dicendo che porrà fine a ogni iniziativa governativa che “cerca di manipolare socialmente razza e genere in ogni aspetto della luce pubblica e privata”.
Nel 2017 era stato l’atteggiamento di Trump a mobilitare le persone, indignate di fronte ai suoi attacchi sessisti contro l’avversaria Hillary Clinton, che aveva puntato molto sulla parità di genere e sulla sua chance di diventare la prima donna presidente degli Stati Uniti. Al suo posto, ci si ritrovava con un uomo accusato di violenza sessuale da numerose donne. Oggi non solo queste accuse sono state confermate da un tribunale (che ha costretto Trump a risarcire una giornalista che aveva molestato nel 1996, Jean Carroll), ma si è visto come le “sparate” del presidente si sono trasformate in politiche concrete, la più eclatante delle quali è il ribaltamento della sentenza Roe v. Wade del 1973, che di fatto ha reso illegale l’aborto in 13 stati. Per dare un’idea dell’enormità di questo provvedimento, reso possibile solo grazie alle nomine conservatrici di Trump alla Corte Suprema, basta dire che negli ultimi vent’anni, solo quattro Paesi al mondo sono tornati indietro sul diritto di interruzione di gravidanza: la Polonia, il Nicaragua, El Salvador e appunto gli Stati Uniti.
In campagna elettorale, il presidente ha assicurato che per lui la questione aborto è chiusa e che se il Congresso approverà un divieto a livello federale, sarà pronto a porre il veto. A parte la nota inaffidabilità delle promesse di Trump, c’è però da mettere in conto Project 2025, un piano scritto dal think tank ultraconservatore Heritage Foundation per instaurare un maggior controllo del governo sulla democrazia americana in caso di vittoria di Trump. Il presidente non ha mai sostenuto pubblicamente il piano, ma oltre a nominare alcuni dei suoi autori nella propria amministrazione, lo ha senz’altro letto con attenzione: le deportazioni di massa, il taglio delle agenzie federali e il controllo dei media sono tutti suggerimenti di Project 2025. Che tra le altre cose prende di mira anche i diritti riproduttivi, sostenendo il divieto totale di aborto e rendendo sempre più difficile l’accesso alla contraccezione e persino alla procreazione medicalmente assistita.
Se le intenzioni del presidente sull’aborto non solo chiare, è invece già evidente la sua intenzione di imprimere una decisa svolta simbolica verso un’America più conservatrice e tradizionalista. Project 2025 prevede di vietare da “ogni norma federale, regolamento di un’agenzia, contratto, concessione, disposizione e legislazione esistente” parole come “orientamento sessuale e identità di genere, diversità, equità e inclusione, genere, uguaglianza di genere, equità di genere, consapevolezza di genere, sensibilità al genere, aborto, salute riproduttiva, diritti riproduttivi”. Molte aziende statunitensi, e in particolare le big tech che negli ultimi mesi si sono sempre più allineate a Trump, si sono già portate avanti, abolendo i programmi di diversità e inclusione e introducendo nuove policy che dietro formule come “diritto di parola” o “libertà di espressione” di fatto normalizzano le discriminazioni sessuali o razziali.
Sempre su questo fronte, negli ultimi anni c’è stato un attacco nei confronti dei diritti delle persone transgender con 26 stati che, in un modo o nell’altro, hanno approvato diverse leggi discriminatorie nei loro confronti. Trump, con la sua Agenda 47, ha promesso che da presidente bandirà qualsiasi terapia per i minori trans, chiuderà “tutti i programmi che promuovono il concetto di transizione di sesso o genere a qualsiasi età” e vieterà alle donne trans di accedere alle competizioni sportive con le donne cisgender. In un recente comizio, ha giurato di porre fine alla “follia trans”. Trump, che ha già detto da tempo di voler terminare i programmi di diversità e inclusione nelle agenzie governative, nel suo discorso inaugurale ha ribadito che “Da oggi in poi, la politica ufficiale del governo degli Stati Uniti sarà che ci siano solo due generi, maschile e femminile”. Si è inoltre riferito alle terapie per la transizione e ai vaccini anti-Covid per i membri dell'esercito, come a “teorie politiche radicali ed esperimenti sociali”.
Durante il suo primo mandato, Trump ha dimostrato di essere una minaccia molto più grave per i diritti delle donne e la comunità LGBTQ+ di quanto i manifestanti della Women’s March potessero immaginare nel 2017. Anche se Biden ha provato a rimediare ad alcune delle iniziative più distruttive del predecessore, i loro effetti si sono fatti sentire anche quando Trump era lontano dalla Casa Bianca, beneficiando soprattutto delle nomine strategiche dei suoi fedelissimi nei tribunali e alla Corte Suprema. Ora che Trump è tornato a Washington, si apre un’era oscura e senza precedenti per le minoranze, che si trovano sole contro praticamente tutte le istituzioni: governo, Congresso, sistema giudiziario e ormai anche le aziende, che si stanno rapidamente spostando verso destra.