A giorni di distanza dall’avvio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina ordinata dal presidente russo Vladimir Putin, ci sono diverse cose che sappiamo con certezza e altre che restano piuttosto oscure, anche per gli analisti di settore. L’avanzata russa è meno rapida di quanto si potesse ipotizzare alla vigilia, data la sproporzione fra i due apparati militari, per una serie di ragioni non di semplicissima definizione. Più di un dubbio è stato sollevato da analisti indipendenti sulla strategia militare russa, che è sembrata contraddittoria e non priva di errori di base. È opinione comune che Putin non si aspettasse di incontrare tali difficoltà iniziali sul piano militare e logistico, prima ancora che politico.
Certamente stanno giocando un ruolo centrale la compattezza e la determinazione degli ucraini, che godono del sostegno della comunità internazionale e hanno ancora una leadership salda e rispettata (finanche poco si è parlato del modo peculiare in cui si è mosso e si sta muovendo il presidente Zelensky). Così come un peso importante lo stanno avendo le sanzioni occidentali, sia per l’impatto diretto che per il contraccolpo psicologico tra l’opinione pubblica russa. Le proteste contro la guerra, in Russia come altrove, inoltre, hanno isolato ulteriormente il governo russo e spinto quelli occidentali a concretizzare (con armi e fondi) il sostegno alla lotta ucraina. Tutto ciò non ha però portato a un cambio di rotta del Cremlino; i negoziati non decollano e sul tavolo c’è solo un debole accordo sui corridoi umanitari per garantire l’evacuazione dei civili dalle zone più a rischio. A parole e nei fatti, Putin sembra orientato ad andare fino in fondo.
L’escalation militare della Russia
Nelle ultime ore stiamo assistendo a un'evidente escalation dell’offensiva russa. Le immagini delle devastazioni nella zona di Chernihiv, il rischioso attacco di questa notte alla centrale nucleare di Zaporizhzhia e l’inasprirsi della morsa sulle città meridionali sembrano essere indizi chiari della volontà dei generali russi di imprimere una svolta al conflitto. Una delle ipotesi in campo è che quanto stiamo vedendo in queste ore sia solo un anticipo di una vera e propria offensiva, avente l’obiettivo di chiudere la partita militare nel più breve tempo possibile. James Landale per la BBC ha analizzato diversi scenari, fra cui quello della “short war”, che prevede appunto l’escalation militare russa, con l’intensificarsi dei combattimenti, l’utilizzo massiccio dell’aviazione, finora piuttosto defilata, nonché cyber-attacchi alle infrastrutture chiave della nazione e il taglio di comunicazioni e rifornimenti energetici. La carneficina di Chernihiv e le immagini che arrivano da altre zone del paese in queste ore, testimoniano come i russi abbiano già cominciato a “cambiare passo”, non risparmiando l’utilizzo di armi non convenzionali, che finiscono per colpire la popolazione civile. Stando ad alcuni rapporti dell'intelligence statunitense, all'assalto decisivo e alla messa in sicurezza della città dovrebbe servire proprio il lungo convoglio di mezzi militari che da giorni marcia in direzione di Kiev.
Per quanto gli ucraini possano resistere, il destino della capitale sarebbe segnato, probabilmente al prezzo di decine di migliaia di vite. Putin raggiungerebbe lo scopo di rimpiazzare il governo democraticamente eletto dai cittadini ucraini, ma si troverebbe di fronte a una situazione ingestibile, esponendosi a continue rivolte e senza la certezza che la lotta non continui in altre zone della nazione. Come nota Friedman sul New York Times, difficilmente un governo fantoccio sarebbe in grado di gestire una situazione di questo tipo.
Cosa accadrebbe a quel punto? Troppo costosa e difficile l’occupazione militare, secondo alcuni esperti. Solo il preludio di un ulteriore allargamento del conflitto, dicono altri, prefigurando che il presidente russo intenda trarre le estreme conseguenze del suo discorso pre-invasione, cominciando con l’attaccare Moldavia e Georgia. In un'intervista al Corriere della Sera, il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, lettone, si spinge anche oltre: "Questo non riguarda solo Kiev ma l'intera architettura della sicurezza europea. La Russia non fa mistero dei suoi piani, la sua politica di espansione continuerà. Se non fermiamo Putin adesso e avrà successo in Ucraina andrà avanti. È una preoccupazione molto tangibile in Lettonia e nei Paesi Baltici, potremmo essere noi i prossimi ad essere aggrediti”. Ma i Paesi baltici sono sotto protezione NATO.
L'allungamento della guerra
In molti concordano sul fatto che Putin si attendesse una rapida resa dell’esercito ucraino, che avrebbe dovuto portare alla fuga di Zelensky e a un'immediata soluzione del conflitto. Come nota Kamil Galeev in questo interessante thread, ci sono molte prove dell’impreparazione dei russi a un conflitto duro e lungo: dai mezzi senza carburante alla mancata messa in sicurezza di aree appena conquistate, passando per la debacle dei paracadutisti, fino ad arrivare all’incapacità di fiaccare la resistenza ucraina nelle città meridionali. Un fallimento strategico e logistico che in parte spiega anche l’escalation di queste ultime ore, con azioni distruttive che hanno riguardato anche obiettivi civili e provocato decine di vittime innocenti.
Che sia per impreparazione tattica o per l’aumentare della forza dell’esercito ucraino (che nei prossimi giorni riceverà consistenti rifornimenti dagli alleati europei), la guerra potrebbe allungarsi considerevolmente. È chiaramente uno scenario infausto per Putin e i suoi generali. Le sanzioni economiche comincerebbero a farsi sentire in modo importante, l'isolamento internazionale acuirebbe le tensioni interne, le proteste nelle piazze russe potrebbero intensificarsi malgrado la brutale repressione della polizia, il morale dei soldati al fronte fiaccarsi ulteriormente. Da una parte ci troveremmo una nazione compatta e cementata intorno al proprio leader e alla difesa dall'invasore, dall'altra una potenza nucleare attraversata dalla crisi economica e dai dissidi interni, tagliata fuori dalle relazioni diplomatiche e incartata nella propria propaganda.
Attenzione però a considerare questo scenario come quello "auspicabile". Mettere la partita sul piano dell'esibizione o addirittura dello scontro muscolare è sempre un rischio, dalle conseguenze non pienamente valutabili. Già in questi giorni stiamo assistendo alla concretizzazione delle minacce russe, ma dovremmo essere coscienti che davvero "il peggio deve ancora venire" e che saranno migliaia di persone innocenti a subire le conseguenze di un inasprimento del conflitto, sia pure legato all'incapacità russa di venire a capo della resistenza ucraina. I massacri e le devastazioni in Cecenia non sono ancora dimenticati.
La soluzione diplomatica del conflitto
La speranza comune è che le trattative diplomatiche possano in qualche modo condurre a una soluzione di diverso tipo. Non è semplice perché nessuno vuole sedersi al tavolo da una posizione di debolezza e perché al momento non c’è la volontà da parte russa di interrompere l’invasione, come hanno mostrato i primi due round dei negoziati in Bielorussia. È lontana in particolare la precondizione di ogni trattativa: il cessate il fuoco, lo stop alla carneficina. Lo è per una serie di ragioni, fra cui rientrano i timori di entrambe le parti di regalare all’avversario tempo prezioso per rifornire e rafforzare la propria capacità militare.
Eppure, le cose stanno andando talmente male che Putin ha deciso di far sedere i suoi al tavolo delle trattative e Zelensky ha ribadito la sua ferrea volontà di aprire un canale diretto con lui. Più continua lo stallo militare, più si indebolisce la posizione russa, più cominciano a farsi sentire gli effetti delle sanzioni, più spazio si apre per la contrattazione, spiegano alcuni esperti. Il problema di fondo, spiegano Dennis Ross e Norman Eisen in questo pezzo sulla CNN, è che se Putin ha acconsentito ad aprire un canale negoziale, ciò non vuol dire che il suo obiettivo non resti quello di decapitare il governo ucraino per imporne uno fantoccio.
E allora, cosa può fermare questa guerra? Per i due esperti statunitensi, se davvero si volesse sopraggiungere a un accordo, è necessario non solo che le due parti si parlino, ma che accettino di fare delle concessioni. L’Ucraina dovrebbe rinunciare definitivamente alla Crimea e concedere ampia autonomia alle aree tra Luhansk e Donetsk, impegnandosi a porre fine alle ritorsioni nel Donbass e a riscrivere/attuare gli accordi di Minsk. L’impegno a recedere da ogni suggestione di adesione alla NATO è considerato il minimo sindacale, mentre difficilmente Kiev può accettare l’ipotesi della demilitarizzazione, proprio alla luce degli ultimi avvenimenti.
Da parte Ucraina, si dovrebbe puntare sull’immediata smobilitazione delle truppe russe, ottenendo ampie garanzie sulla demilitarizzazione di un’ampia area di confine. La NATO dovrebbe allentare la pressione nella zona, rinunciando immediatamente all’idea di istituire una no-fly zone sull’Ucraina. “Non importa se Putin si stia incartando nei suoi stessi errori”, spiegano gli ex ambasciatori alla CNN, ammonendo dalla tentazione di mettere all’angolo il presidente di una superpotenza nucleare senza lasciargli una via d’uscita onorevole.
Va anche detto che la distanza tra analisi realistica e wishful thinking è minima, perché Putin ha già dimostrato di utilizzare altre categorie interpretative. La decisione di dar luogo a un'invasione su larga scala è apparsa sproporzionata anche ai suoi consiglieri, così come i ripetuti allarmi sull'aggressività della NATO sembrano essere controfattuali, o almeno temporalmente discutibili. Sono in molti a pensare che la politica delle piccole concessioni possa essere finanche controproducente, perché potrebbe spingere Putin ad alzare sempre di più l'asticella delle rivendicazioni (ove mai non fosse già accaduto, diciamo).
È, lo ripetiamo ancora una volta, una situazione molto complessa e dagli sviluppi per larga parte incerti. Una delle maggiori incognite è legata alla pressione che potrebbero esercitare non solo i dissidenti politici o le manifestazioni di piazza in Russia, ma anche gli stessi oligarchi e funzionari la cui posizione e prosperità è seriamente minacciata dalle sanzioni internazionali. Il combinato disposto fra l'instabilità interna e il complesso equilibrio internazionale (un ruolo centrale lo giocherà ovviamente la Cina) potrebbe portare Putin a più miti consigli. Poco per sperare, ma è tutto ciò che abbiamo.