Come può cambiare la guerra in Ucraina durante gli ultimi mesi di Biden alla Casa Bianca: l’analisi
"Negli ambienti diplomatici di Mosca si parla apertamente della possibilità di lasciare alcuni territori da demilitarizzare e sottoporre all’osservazione dell’Onu", dice l’analista Anatol Lieven, appena rientrato dalla capitale russa. "Anche se i russi volessero approfittare della situazione alla Casa Bianca per dare il colpo definitivo all’Ucraina, non avrebbero la capacità né la volontà di farlo". Gli aiuti a Kyiv "per ora continueranno". Ma Zelensky "sa che il tempo non è dalla sua parte". Per questo, e non per paura di Trump, apre a trattative. Mentre una presidenza Harris "si muoverebbe con cautela ma cercherebbe di avviare un processo di pace".
Anatol Lieven, accademico in forza al Quincy Institute for Responsible Statecraft, think tank che si definisce pacifista e critico dell’interventismo militare Usa, ha un passato di giornalista: ha coperto per il Financial Times l’Afghanistan e il Pakistan, poi ha fatto il corrispondente da Mosca per The Times, seguendo la guerra cecena del 1994-1996. Ha lavorato anche per la Bbc, prima di scegliere la carriera di ricercatore per alcuni dei maggiori istituti specializzati in politica internazionale e di professore per la Georgetown University in Qatar e al King’s College di Londra.
Lo abbiamo raggiunto al telefono nel suo ufficio di Washington DC. L’intervista che segue è stata leggermente modificata e accorciata per esigenze di comprensione e di spazio.
Professor Lieven, la presenza di una "anatra zoppa" alla Casa Bianca cambia qualcosa nella guerra in Ucraina?
"Può essere un ulteriore incentivo per la Russia a cercare di migliorare la sua posizione sul terreno. Ma ciò non significa che sia capace di farlo. L’avanzata russa è stata estremamente lenta, con incrementi tendenti allo zero. In parte perché ha scelto di indebolire le forze armate ucraine con l’artiglieria invece di tentare la conquista di più territorio. E anche perché è dimostrato che la tecnologia militare odierna favorisce chi è sulla difensiva. Lo si è visto durante il contrattacco ucraino dello scorso anno. E lo si vede ora che è la Russia ad attaccare".
Quali sono le tecnologie che aiutano di più chi si difende?
"Roba semplice: i droni, prima di tutto. I droni per la ricognizione e i droni killer rendono estremamente difficile muoversi sul campo di battaglia. E poi le mine. Sono disseminate ovunque. Ho visto i loro effetti devastanti sui soldati, in Ucraina. Per questo non è facile per i russi avanzare in modo significativo".
Ma la Russia vorrebbe dare la spallata finale prima di novembre?
"Sono appena rientrato da Mosca, dove ho parlato con molte persone dell’establishment. Diplomatici e accademici dei think tank che conosco da anni. La maggioranza di loro esclude che ci sia la volontà di conquistare grandi città come Kharkiv, che è tre volte più grande di Mariupol. Per prendere la quale le perdite sono state pesantissime. E si è dovuto radere al suolo ogni edificio. A meno che non ci sia un improvviso crollo dell’esercito ucraino, la Russia non ha più serie ambizioni territoriali, concordano le mie fonti russe. Prendere le grandi città e tenerle costa troppo in termini di uomini e soldi per la ricostruzione. Mentre conquistare altri pezzi di campagna non porta alla vittoria".
Resta il fatto che la Russia ha un grande vantaggio i termini di effettivi…
"Ma per una spallata finale Putin dovrebbe lanciare una vera e propria mobilitazione, cosa che ha paura di fare. C’è una sorta di patto non scritto con i russi: combattono solo i volontari, ben pagati. Gli altri possono continuare la loro vita come se niente fosse, basta non protestare. Il vantaggio per numero di soldati rimane. E Mosca ha molto più munizionamento, nonostante le forniture occidentali a Kyiv".
Per l’Ucraina cosa cambia con un Biden “zoppo” alla Casa Bianca? L’aiuto militare ed economico americano potrebbe diminuire?
"Non credo proprio. Piuttosto, Zelensky dovrebbe preoccuparsi degli aiuti europei. Nell’Ue si era sempre più convinti che, con Biden in corsa, le presidenziali Usa le avrebbe vinte Trump. La probabilità di un disimpegno americano stava portando a una presa di coscienza per un maggior impegno del vecchio continente. Ciò adesso rimarrà in sospeso. Con Kamala Harris come candidata, ci sono ottime speranze per un suo successo. Ogni considerazione verrà rimandata fino al voto di novembre".
L’apertura di Zelelnsky alla partecipazione della Russia alla prossima conferenza sull’Ucraina e la visita del ministro degli Esteri Kuleba a Pechino sono dovute alla necessità di concedere qualcosa in vista di una presidenza Trump? Si continuerà su questa strada?
"Non ci sarà alcun negoziato prima delle elezioni Usa. Non vorrà iniziarlo Biden, ormai a fine carriera. Non vorrà iniziarlo l’Europa, che deve misurare le sue mosse su chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. E per motivi analoghi non vuole iniziarle l’Ucraina, nonostante abbia cambiato la sua posizione. Sulla quale non tornerà indietro. Perché le aperture sono dovute a un realismo che non c’entra con le presidenziali d’oltreoceano".
Su cosa si fonda il nuovo “realismo” ucraino?
"Sul fatto che l’unico modo per riavere indietro i territori invasi dal nemico è un nuovo contrattacco. Che impegnerebbe tutte le forze e le risorse di Kyiv. Se non avesse successo, l’Ucraina potrebbe andare incontro alla completa disfatta. Un po’ come successe all’esercito tedesco nella Prima guerra mondiale (nel 2018, alla cosiddetta “offensiva di primavera” tedesca seguirono la disfatta sulla Marna e l’armistizio, ndr). Perché gli ucraini possano tornare all’attacco dovrebbero esserci rivolgimenti al momento impensabili. Possono invece tenere le linee, e anche a lungo. Ma Zelensky sa bene che il tempo non gioca a suo favore. Il flusso di aiuti dall’Occidente non potrà durare all’infinito. Chiunque sarà il prossimo comandante a Washington".
Un’offensiva, anche limitata, garantirebbe un posto più comodo al tavolo delle trattative…
"Sì, tutti dicono così. Almeno in Europa. Mi pare però che nessuno abbia un’ idea precisa su cosa l’Ucraina dovrebbe fare, per rafforzare la sua posizione in vista di negoziati. Nessuno è sicuro che un’offensiva sia una buona idea".
Fatto sta che gli ucraini non accetteranno mai di cedere volontariamente territori alla Russia…
"Questo punto è interessante. Le persone della élite russa con cui ho parlato nei giorni scorsi a Mosca — anche i peggiori “falchi” — dicono che la Russia non chiederà il riconoscimento delle regioni ucraine annesse. Perché al Cremlino sanno bene che nemmeno alleati come la Cina o il Sudafrica le riconoscerebbero".
E allora?
"Allora potrebbe prospettarsi, per quei territori, una situazione ibrida come quella che va avanti da decenni a Cipro (la Repubblica turca di Cipro del Nord esiste di fatto dall’indomani dell’invasione turca della parte settentrionale dell’isola-Stato, ma non è riconosciuta internazionalmente, ndr) come quella del Kashmir (annesso dall’India dopo il 1947 ma tuttora considerato dalla comunità internazionale come “territorio disputato”, ndr). D’altra parte, è ciò che succedeva anche per la Crimea, almeno fino all’invasione russa del febbraio 2022″.
Però l’Ucraina non è il Kashmir né Cipro. Ha 38 milioni di abitanti e sta combattendo una guerra che può diventare mondiale. Mica crederà che a Zelensky basti un “contentino” formale?
"Ma ci sarebbe altro. Che a Kyiv potrebbe esser visto come un successo, seppur parziale: dopo la proclamazione di un coprifuoco, la Russia potrebbe accettare di ritirarsi da alcuni dei territori occupati al di fuori dalle regioni annesse, riconoscendo in pratica le attuali linee del fronte. E dicendo sì all’istituzione di una zona smilitarizzata, magari presidiata da forze sotto l’egida delle Nazioni Unite".
Glielo hanno detto le sue fonti moscovite?
"Esattamente. Più di una. È l’ipotesi che circola nei circoli diplomatici e dei think tank nella capitale russa".
E a Putin una soluzione del genere basterebbe?
"Presumibilmente sì, perché potrebbe proclamare vittoria sia per le annessioni che per il cuscinetto smilitarizzato a garanzia delle stesse. Naturalmente, sarebbe del tutto ipocrita da parte sua. Perché solo in seguito all’invasione russa si è creato un problema di sicurezza a Zaporizhzhia e a Kherson. Ma può riuscire a ‘vendere' la cosa come un successo".
Certo sarebbe un bel ridimensionamento, rispetto agli obiettivi iniziali…
"In Russia ormai si dice apertamente o quasi — certo, non ufficialmente — che l’invasione è stata preparata malissimo e si riconosce che le cose spesso sono andate in modo disastroso. Il ridimensionamento ha motivi precisi e noti a tutti, ai piani alti del potere".
Resta il nodo che per la Russia è sempre stato il più importante: la neutralità dell’Ucraina. L’Occidente le ha assicurato l’entrata nella Nato. Come la mettiamo?
"L’Ucraina deve essere accettata all’unanimità dai Paesi già membri dell’Alleanza. Non escludo accordi della prossima amministrazione americana, democratica o repubblicana che sia, con qualche Paese che rifiuti l’ingresso di Kyiv. Basterebbe che l’Islanda, o la Slovacchia, oppure il Montenegro — per fare degli esempi — dicessero di no. Il problema sarebbe risolto. Washington avrebbe una scusa formale per l’esclusione di Kyiv e al Cremlino sarebbero contenti".
Biden però si è davvero sbilanciato sulla adesione dell’Ucraina alla Nato…
"Biden, appunto. Ma Kamala Harris — perché credo che le elezioni Usa le vincerà lei — ha le mani libere. E potrebbe voler dare un’impronta personale alla sua amministrazione, anche sulla questione ucraina. Potrebbe cercare un escamotage per rendere accettabile la neutralità di Kyiv. Senza nemmeno dover negoziare con Zelensky. Grazie a motivi “tecnici” del tipo di quelli a cui accennavo".
Kamala Harris, se sarà presidente vorrà un negoziato con Mosca?
"Si muoverebbe con più cautela e maggior lentezza rispetto a Trump. Ma sì, ritengo che cercherebbe di avviare un processo di pace. Già nel corso del prossimo anno".