Come mafiosi e trafficanti si arricchiscono sul dramma di Gaza: “Ho pagato 5mila dollari per uscire da Rafah”
Una distesa infinita di sabbia è ciò che divide Gaza dal resto del mondo: il valico di Rafah è l’unico sbocco dell’enclave verso l’Egitto, per il resto la Striscia confina solo con lo stato di Israele.
Distante 319 chilometri e più di dieci ore di checkpoint dal Cairo, Rafah si trova all’estremo nord-est della penisola del Sinai, tra il deserto e il Mediterraneo. Per anni questa è stata una zona militare chiusa a causa della presenza di combattenti appartenenti alla branca locale dello Stato Islamico, presenza intensificatasi dopo il colpo di stato militare del luglio 2013 guidato dall'attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi contro il suo predecessore, Mohammed Morsi della Fratellanza Musulmana.
Oggi questo pezzo di terra è percorribile solo dai residenti nel nord del Sinai e da chi è in possesso di permessi speciali forniti dal governo egiziano. Fino allo scorso 7 maggio, giorno in cui l’esercito dello stato ebraico ha occupato il valico di Rafah, anche i gazawi in fuga dalla Striscia potevano percorrere, unidirezionalmente, la tratta Rafah-Cairo.
“Per uscire da Rafah e raggiungere il Cairo abbiamo pagato 5 mila dollari per ogni membro della famiglia. 5mila dollari per salvarci la vita”, racconta Ibrahim (nome di fantasia), che ha chiesto di rimanere anonimo per paura di ripercussioni da parte del governo egiziano. È seduto in un bar nella periferia del Cairo, a casa lo aspettano la madre, il padre e i due fratelli. “Abbiamo dovuto raccogliere più di 25 mila dollari per lasciare casa nostra, l’inferno di Gaza, e rimanere incastrati nel limbo egiziano”, continua, “uscire da Gaza vuol dire avere a che fare con la mafia”.
Come rivela Middle East Eye in un'inchiesta pubblicata lo scorso maggio e firmata “Corrispondente MEE”, (firma utilizzata dai giornalisti che lavorano in zone pericolose e la cui sicurezza potrebbe essere messa a rischio se si rivelasse la loro identità), la mafia di cui parla Ibrahim sarebbe gestita a nome di una società proprietà del leader tribale del Sinai e magnate Ibrahim al-Organi, un influente uomo d'affari egiziano e alleato del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Hala Consulting and Tourism Services è il nome della società che già prima della guerra gestiva il passaggio attraverso il valico di Rafah, che allora costava circa 350 dollari a persona.
Dal 7 ottobre il prezzo è aumentato di circa 14 volte, arrivando a una tariffa di almeno 5.000 dollari per gli adulti e di 2.500 dollari per i bambini sotto i 16 anni. Un prezzo ben più alto del reddito medio annuo di un lavoratore della Striscia prima della guerra.
Al-Organi, nominato nel 2022 dal presidente Al Sisi membro della Sinai Development Authority, un'agenzia statale con controllo esclusivo sulle attività di sviluppo e costruzione nella penisola, avrebbe guadagnato sulla pelle dei palestinesi almeno 21 milioni di dollari a febbraio, 38,5 milioni di dollari a marzo e 58 milioni di dollari ad aprile. Il conteggio si basa su 23 elenchi dei viaggiatori palestinesi pubblicati dalla società Hala a febbraio, 30 a marzo e 30 ad aprile. Queste stime non tengono conto dei profitti potenzialmente realizzati nei primi quattro mesi di guerra, quando il traffico dal valico di Rafah non era ancora esclusivo monopolio di Hala e di cui non esiste nessuna documentazione pubblica. Tuttavia possiamo stimare che dall'inizio della guerra circa 160.000-170.000 palestinesi siano fuggiti da Gaza attraverso l'Egitto (fonte ONU).
Di questi solo circa 100mila sono rimasti al Cairo, senza visto, senza documenti, senza la possibilità di lavorare, studiare o curarsi, gli altri sono fuggiti. “Ho pensato diverse volte di affrontare il viaggio via mare”, racconta Ibrahim abbassando la voce, e assicurandosi che nessuno intorno a lui possa sentirlo, “ho pensato di affrontare la rotta libica, ma anche quella turca. Ci sono persone che già da dentro Gaza organizzavano i viaggi – prima della guerra – dalla Striscia, al Cairo, poi in Turchia (ottenendo il visto turco) e poi via mare in Grecia per 3 mila dollari. Ricordo che fino a due anni fa il viaggio verso la Grecia costava circa 10 mila dollari, poi è stato abbassato a 5 mila, poi a 3 mila, ma solo per i gazawi. Per gli egiziani il prezzo è molto più alto. La rotta libica invece costa per tutti dai 7 ai 10 mila dollari”.
Ibrahim si ferma, fuori ha iniziato a diluviare, una delle poche piogge invernali nella capitale egiziana. Prende la sua tazza di caffè, guarda fuori dalla finestra e continua: “Ho perso diversi amici che si erano messi in viaggio verso l’Europa dalla rotta turca e di cui non si hanno più tracce. Non so cosa gli sia successo, ma mi hanno raccontato che se la guardia costiera greca ti intercetta, ti rimanda indietro in Turchia. Una volta li, anche se hai il visto per stare nel paese, ti arrestano, ti rubano tutto quello che hai, i soldi, il telefono e se sei fortunato dopo un paio di giorni ti rilasciano. Allora dovrai riguadagnare i soldi necessari per riprovare a raggiungere la Grecia”.
“Io sono sopravvissuto al genocidio di Gaza”, conclude, “e sono fortunato per questo, ma adesso non ho altra scelta: o vivere in Egitto come se fossi morto, o rischiare di morire in mare”.
Mentre a pochi chilometri dal Cairo si consuma una delle guerre più atroci del nostro tempo, chi non è ancora morto, per salvarsi la vita è costretto ad affrontare viaggi costosissimi e altamente pericolosi. Il governo egiziano ha ripetutamente negato le accuse secondo cui stesse traendo profitto dalla disperazione dei palestinesi in fuga da Gaza eppure il vicino Egitto, formalmente solidale con la causa palestinese, ha incassato la tangente per farli uscire da Rafah e ha abbandonato poi i gazawi, in un limbo senza uscita.