Il 24 febbraio 2022, esattamente un anno fa, la Russia attaccava l’Ucraina. L’Occidente era sconvolto, mentre gli ucraini invece si preparavano da tempo. Per settimane, prima di quel giorno, a Kiev si erano allenati con fucili di legno. Nel Donbass, invece, da anni venivano usati quelli veri. Il 24 febbraio di un anno fa è infatti iniziata una guerra su larga scala, che non è che l’escalation di un conflitto cominciato quasi un decennio prima, nel 2014.
Ma perché si è arrivati a tanto?
La sera prima dell'aggressione Vladimir Putin si è rivolto alla nazione. Non ha parlato di guerra o di attacco, ma di una missione militare speciale con un obiettivo ben preciso: quello di demilitarizzare e, così dice Putin, denazificare l’Ucraina.
"Demilitarizzare e denazificare l'Ucraina"
Il primo concetto è chiaro. Il Cremlino vuole assicurarsi la neutralità dell’Ucraina. Dal crollo dell’Unione sovietica, Mosca ha più volte accusato l’Alleanza atlantica di essersi espansa troppo a Est, inglobando anche quei Paesi che un tempo facevano parte della sua sfera di influenza. Quelli dell’Europa dell’Est, in pratica. E il solo pensiero che anche l’Ucraina possa un giorno farne parte è semplicemente inconcepibile per la Russia e la sua propaganda neo imperialista.
Ma Mosca non aveva alcuna evidenza che Kiev, all’inizio del 2022, stesse prendendo accordi con la Nato per entrare a farne parte. Senza contare che, come risultato dell’aggressione russa, l'Alleanza si allargherà: due Paesi storicamente neutrali come Svezia e Finlandia hanno infatti chiesto di entrarci.
Dietro il concetto di denazificare, invece, ci sono questioni ben più complesse. C’è tutta la propaganda del Cremlino, che ha accusato il governo di Kiev di ideologia nazista, puramente come casus belli. Ma per Putin qui c’è in gioco la stessa legittimità dell’Ucraina in quanto nazione. Una legittimità che, evidentemente, non riconosce.
“Sulla storica unione di russi e ucraini”
Per capire il perché, bisogna andare a leggere un altro discorso di Putin. Quello messo nero su bianco sul sito del Cremlino il 12 luglio 2021. È un lungo articolo intitolato “Sulla storica unione di russi e ucraini”.
“Quando mi hanno chiesto delle relazioni tra i russi e gli ucraini ho risposto che sono lo stesso popolo. È quello in cui credo, non sono considerazioni circostanziali dovute al contesto politico.
Inizia così l’articolo, in cui Putin parla degli errori che hanno portato russi e ucraini a dividersi, figli sia di scelte politiche proprie, ma anche “degli sforzi deliberati di altre forze che hanno sempre cercato di minare alla nostra unità”. E poi continua:
“Non è nulla di nuovo. Sono tentativi di giocare sulla “questione nazionale”, di seminare discordia tra popoli con l’obiettivo di dividere e poi mettere due parti di un unico popolo l’una contro l’altra”
Putin dice che per comprendere il presente e il futuro bisogna voltarsi, guardare alla storia. E secondo questa, prosegue il presidente russo, russi, bielorussi e ucraini sono tutti discendenti degli antichi Rus. Una lingua unica, la stessa fede, una cultura comune. Ancora oggi è in gran parte così, dice sempre Putin.
“Ucraina” nell’antica lingua russa significa “periferia” e così la intende Putin. La Russia è il centro e l’Ucraina è la sua periferia. Non è qualcosa di diverso, non dispone di un’identità che non sia legata a quella russa. Non ci sono basi storiche per un’identità nazionale ucraina, secondo il Cremlino. Il nazionalismo di Kiev per il presidente russo non è che un artefatto, un complotto strumentalizzato dall’Occidente in chiave anti-russa.
Il 2014, l'inizio di tutto: le proteste Euromaidan
Per decenni, prima sotto l’impero russo e poi con l’Unione sovietica, Kiev è stata una costola di Mosca. Del resto l’Ucraina è un Paese indipendente da appena una trentina di anni, in cui ha dovuto comunque fare i conti con le continue ingerenze del Cremlino. E proprio queste nel 2014 hanno scatenato una vera e propria rivoluzione nel Paese.
Il presidente allora era Viktor Janukovyč: una figura particolare, vicino alla Russia e al Cremlino, ma anche aperto nei confronti dell’Unione europea. E proprio con Bruxelles Janukovyč voleva stringere un accordo economico, per aumentare gli scambi commerciali tra le due parti.
Un patto di questo tipo, che avrebbe avvicinato l’Ucraina all’Europa e all’Occidente, però, non era ben visto dal Cremlino. E dietro pressioni del governo russo, alla fine, Janukovyč si ritirò dai negoziati.
Scoppiarono le proteste, che sono passate alla storia con il nome di Euromaidan. Migliaia di persone sono scese in strada a manifestare e hanno abbattuto il monumento di Lenin nella capitale. Le repressioni sono però state molto dure. Si sono fatte durissime dopo che Janukovyč si recò in Russia a incontrare Putin. Il 20 febbraio 2014, negli scontri tra la polizia e i manifestanti sono morte oltre cento persone.
L'annessione della Crimea
A fine febbraio il governo di Janukovyč è caduto e lui fuggito in Russia. In Crimea, dove gran parte della popolazione è di origine russa, degli uomini armati, chiamati dai media locali “omini verdi”, hanno preso il controllo della penisola. Si trattava in realtà di truppe russe, che annunciarono un referendum per la secessione della Crimea. La validità del voto è stata contestata dalla comunità internazionale, ma la Russia ha ugualmente annesso la Crimea nel marzo 2014.
Putin ha inviato altri soldati, per proteggere la Crimea dal governo ucraino, o almeno così sosteneva in patria. Era comunque fermamente convinto che dietro le proteste ci siano anche i Paesi occidentali, credeva che fossero stati loro ad orchestrare le proteste per indebolire Mosca.
Il Cremlino ha anche iniziato a sostenere militarmente i separatisti filo-russi anche nel Donbass, dove erano scoppiate altre rivolte nel frattempo.
In tutti questi anni il conflitto non si è mai davvero fermato.
La costruzione di un'identità ucraina
Negli anni seguenti l’Ucraina non ha fatto che rafforzare i propri legami con l’Occidente, costruendo una narrativa indipendente sulla sua identità nazionale.
Una narrativa completamente in contrasto con il disegno imperialista di Putin. Che il 24 febbraio dell’anno scorso decide che è arrivato il momento di lanciare l’operazione su larga scala, attaccando direttamente Kiev. L’obiettivo non è solo quello di prendere il controllo totale del Donbass e assicurarsi un collegamento ponte con la Crimea.
Lo dimostra appunto l’aggressione alla capitale, l’attacco alle infrastrutture, i crimini di guerra contro i civili. C’è quella volontà di cancellare l’identità ucraina che non corrisponde a quella stabilita dalla Russia. E non solo per ragioni storiche.
C’è anche un problema che riguarda il futuro. Se l’Ucraina diventasse pienamente una democrazia occidentale, garantendo a tutti libertà, diritti civili e Stato di diritto, cosa accadrebbe in Russia? Se anche i cittadini russi, guardando a Kiev, iniziassero a mettere in discussione le oppressioni e il dispotismo del Cremlino, il potere autocratico di Putin sarebbe a rischio?
È una domanda che il presidente russo non si vuole e non si può permettere.