Come la Russia di Putin sfrutta il caso Telegram per la propaganda
Il Cremlino sta utilizzando l’arresto del fondatore di Telegram Pavel Durov per stringere i russi intorno alla bandiera, screditare la Francia di Macron e alimentare le tensioni tra i tycoon tecnologici della destra alternativa americana, Elon Musk in testa, e le istituzioni europee sulla libertà di espressione. Questo mentre l’offensiva ucraina nella oblast di Kursk suscita rabbia nei confronti del regime, la politica francese è in fermento e negli Usa è in corso una campagna per le elezioni presidenziali tesa come non mai.
Solo in futuro, con l’evoluzione delle indagini e degli eventi che riguarderanno Telegram, potremo capire se Durov è un sodale del Cremlino, un asset dell’Occidente o semplicemente un geniale imprenditore caduto vittima della sua app, creata in modo che non accettasse controlli.
Narrativa patriottica e anti-occidentale
“Cavalcando questa vicenda, Mosca ha l’opportunità di perseguire diversi scopi”, dice a Fanpage.it Denis Cenuša, analista per il think tank lituano Eesc. “Dichiararlo ‘prigioniero politico’ dei francesi, come è stato fatto, serve a mobilitare la popolazione dimostrando che il governo protegge i suoi cittadini (Durov è russo e mantiene la cittadinanza, insieme a quella francese e degli Emirati arabi uniti, ndr)”.
Inoltre, il Cremlino “può così criticare la Francia e il suo sistema democratico, con un Parlamento incapace di esprimere un governo”. Infine, il contrasto tra i colossi della tecnologia Usa e le regole ad essi imposte in Europa “è perfetto per la propaganda che accusa le istituzioni europee di limitare la libertà di parola e i diritti umani, e quindi di non essere migliori dei regimi autocratici a cui si contrappongono”.
Se la narrativa russa ha fatto presto a trovare lo spin per sfruttare l’arresto del magnate dell’online messaging e denunciare l’Occidente, i motivi reali dell’azione giudiziaria restano oscuri anche per l'élite di Mosca. Le principali teorie, secondo più fonti governative sentite dal sito di news Meduza, sono tre. La prima: pressioni sulla Francia da parte dell’amministrazione Biden, che teme l’influenza di Telegram sulle elezioni americane, data la vicinanza di Durov ai repubblicani. La seconda: la contrarietà della Francia ai rapporti privilegiati di Durov con l’Azerbaijan. E poi c’è la possibilità di una manovra dello stesso Durov, con fini per adesso ignoti.
L’ombra della defezione
Ma il dubbio che davvero agita il Cremlino riguarda la possibilità che il prigioniero di Parigi possa “vendere” segreti all’Occidente: “Certo che potrebbe farlo”, spiega una delle fonti di Meduza: “Quando l’abbiamo messo sotto pressione per VKontakte, ha fatto molto presto a cedere”.
Nel 2014, Durov vendette la sua quota del 12% in VKontakte, la versione russa di Facebook —da lui creata insieme al fratello Nikolai —, al suo amico Ivan Tavrin, proprietario dell’operatore di telefonia mobile Megafon. Lo fece perché costretto dalle autorità. Come successo innumerevoli volte nella Russia di Putin, che non essendo un vero Stato di diritto può usare come e quando vuole la magistratura per espropriare asset (cfr, tra i tanti scritti in merito, Putin-Style “Rule of Law” & the Prospects for Change, di Maria Popova, sul numero 146 di Daedalus, pubblicazione del Mit).
Spesso, quindi, gli imprenditori si trovano di fronte alla classica “proposta che non si può rifiutare”. Stile Il Padrino parte prima. Tavrin allora era un alleato dell’oligarca Alisher Usmanov, che si trovò così a controllare di fatto il 52% di VK. Usmanov è stato sanzionato nel 2022 per i suoi rapporti col regime di Vladimir Putin. Durov ricevette quattro miliardi di dollari, che con ogni probabilità ha poi investito nello sviluppo di Telegram.
Sulla possibilità che il patron di Telegram abbia sempre avuto un legame col Cremlino l’analista Cenuša è scettico: “Durov lasciò la Russia, nel 2014, estraniandosi dalla politica”, racconta l’esperto di Eesc. “Nel 2018 Mosca cercò di bloccare Telegram. E comunque le posizioni di Durov sulla politica internazionale non c’entrano con i contenuti della app. È solo che il suo team non è mai riuscito a controllarli. Soprattutto in Russia”.
Tanti attori per una app
In realtà, il caso Durov ha scioccato sia i propagandisti di Putin che i suoi oppositori. Questi ultimi usano Telegram come ultima risorsa per comunicare e diffondere critiche al regime. Ma secondo Kyiv, Telegram è strettamente legato allo Stato invasore. Che sulla app utilizza centinaia di canali per propagare disinformazione. “A causa delle sue limitate capacità di regolamentare i contenuti, Telegram viene sfruttato da diversi gruppi, tra cui l’Intelligence e la macchina di propaganda russa”, conferma Cenuša.
Ai funzionari federali e dei servizi di sicurezza russi è già stato consigliato di eliminare le comunicazioni sensibili da Telegram, secondo — scusate l’inevitabile bisticcio — il canale Telegram Baza. La propagandista Margarita Simonyan, direttrice dell’emittente televisiva multilingue RT, ha dato le stesse istruzioni alle sue redazioni. Secondo quanto riferito a Meduza da un ex funzionario, "Telegram da molto tempo non è più utilizzato per comunicazioni riservate”.
Però politologi e funzionari regionali hanno ammesso che continuano a utilizzarlo, anche per le comunicazioni con i plenipotenziari dell’amministrazione presidenziale — riporta Meduza. Secondo politici e militari ucraini, in particolare, la Russia utilizza Telegram per le comunicazioni tra funzionari, militari e spie. Se così fosse, “dovrebbe subito cambiare le sue procedure, soprattutto mentre si combattono battaglie cruciali nella regione di Kursk e nel Donbass”, sottolinea l’analista Cenuša.
D’altro canto, Telegram è usato anche dalle spie di Kyiv: “L'Intelligence ucraina ha investito 250 milioni di dollari nell'uso di Telegram per la comunicazione strategica”, spiega Cenuša. “I download dopo il 2022 sono raddoppiati, fino ad arrivare a un milione”. Telegram ha poi svolto un ruolo chiave nelle proteste del 2020 in Bielorussia: fu la piattaforma d’elezione dei manifestanti, raggiungendo due milioni di utenti. Durante le proteste del 2018 in Iran, gli utenti furono 40 milioni.
Nonostante sia usato anche da attori pro-Cremlino, Telegram rimane fondamentale per la mobilitazione e la condivisione delle informazioni nel Paese invaso: “Ciò rende ancora più urgente un confronto tra tutti i social e le piattaforme di messaggistica per identificare i responsabili della disinformazione”, sostiene Denis Cenuša. I legislatori ucraini stanno spingendo per una maggiore regolamentazione, suggerendo che Telegram dovrebbe aprire uffici in Ucraina e nell'UE per una migliore supervisione dei contenuti.
Relazioni pericolose
Il rapporto di Pavel Durov con i servizi di sicurezza russi appare complesso. Oscilla tra resistenza e potenziale cooperazione. Il fondatore di Telegram si è pubblicamente posizionato come nemico dell’Fsb (il servizio interno erede del Kgb sovietico, ndr): nel 2014 si è rifiutato di divulgare i dati degli utenti relativi alle proteste ucraine e ai gruppi di opposizione. Negò alle autorità la chiave di crittografia. E motivò il suo esilio volontario proprio col rifiuto di collaborare.
Ma da un database dell'FSB scovato dalla testata online Vazhnie Istoriy risulta che Durov è tornato in Russia oltre 50 volte tra il 2015 e il 2021. Le sue frequenti visite e la loro tempistica suscitano sospetti. Di certo — secondo i dati analizzati da Vazhnie Istoriy — si trovava a Mosca quando, nel 2020, le autorità sbloccarono l’utilizzo di Telegram nel Paese. La natura dei suoi viaggi indica che potrebbe non aver reciso del tutto legami politicamente sensibili. Anche con l’Intelligence. Il che lo rende sia un nemico che un potenziale collaboratore, in determinate circostanze.
Dal corteggiamento all’arresto
Fatto sta che Pavel Durov è sempre stato sia corteggiato che messo nel mirino dai governi. A Mosca come in Francia e negli Emirati. Nel 2018 fu invitato a pranzo da Emmanuel Macron, che gli chiese di spostare la sede di Telegram da Dubai a Parigi e gli offrì la cittadinanza francese. L’imprenditore russo rifiutò. Lo ha rivelato il Wall Street Journal citando fonti al corrente di quei fatti.
Solo un anno prima, era stato — sempre secondo il Journal — un bersaglio della Dgse, i servizi segreti francesi. Che gli avevano hackerato l’iPhone perché preoccupati dell’uso di Telegram da parte dello Stato islamico per pianificare attacchi terroristici. La cittadinanza francese sarebbe poi arrivata lo stesso, per Durov. Nel 2022. L’anno dell’invasione dell’Ucraina.
A giudicare da quanto le autorità di Mosca lo rivogliano in patria, la posta in gioco è alta. Ma “la storia di Pavel Durov sfida ogni narrativa semplicistica”, come nota l’economista russo Konstantin Sonin, ex vicepreside della Hse, la Bocconi moscovita rifugiatosi per ragioni politiche negli Usa, dove insegna all’Università di Chicago. “Durov è un vero visionario, che ha creato nuovi servizi utilizzati da milioni di persone in Russia e nel mondo”.
Tra i tanti che apprezzano Telegram per l’accesso gratuito e la riservatezza, una percentuale lo usa per attività criminali come quelle identificate dagli investigatori francesi — dal traffico di droga alla pedofilia —o per operazioni di spionaggio. Secondo il Financial Times, a cui aveva rilasciato all’inizio dell’anno una delle sue rare interviste, l’imprenditore russo voleva solo posizionare la sua app in territorio neutro, fuori dall’interferenza dei governi. Ma ha fatto male i suoi calcoli riguardo alla mediazione e al controllo dei contenuti. Un aspetto sempre più cruciale, sul quale Telegram è da sempre in difetto.
Per il resto, sebbene abbia sfruttato le opportunità offerte dal regime di Putin, Pavel Durov ne è anche anche una vittima. La sua situazione è parecchio complessa. Da qualsiasi prospettiva la si voglia vedere.