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Come il fondamentalismo tunisino cresce sotto gli occhi distratti dell’Ue

Il paese ospita un campo di addestramento dell’Is e oltre 3mila giovani hanno imbracciato le armi in nome dello jihad. La strage di Sousse era annunciata e rischia di essere foriera di altri massacri.
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L'attacco terroristico al resort tunisino di Sousse non è, purtroppo, una sorpresa. Il paese che ha dato il via alla primavera araba, scacciando per primo il dittatore Zine al-Abidine Ben Ali che da decenni la imprigionava in un sistema di corruzione e torture, è diventata tra le prede più ambite del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. Ma è bene sgomberare subito il campo dagli equivoci: l‘assalto armato alle spiagge di Tunisi, costato la vita a 37 persone, non è un mero attacco esterno portato da fanatici nel nome di una visione distorta del Corano all'ennesima fragile democrazia nordafricana, è il rigurgito del fondamentalismo partorito dal di dentro, dal profondo di un paese in cui le milizie jihadiste sono radicate, presenti e, soprattutto, fanno grande opera di proselitismo da ormai tanto e troppo tempo senza essere contrastate in modo adeguato.

Anche l'Italia ha pagato un tributo di sangue nell'assalto al museo del Bardo (attentato avvenuto il 18 marzo scorso a Tunisi, in cui persero la vita 24 persone, tra cui 21 turisti – quattro italiani –, un agente tunisino e due terroristi), dimostrandosi inconsapevolmente e direttamente esposta al pericolo della lotta armata in nome dello jihad. Quanto avvenuto al Bardo avrebbe dovuto rappresentare la tragica conferma delle tante informative, stilate dai servizi segreti che operano nell'area, che invocavano un intervento diretto a supporto delle autorità tunisine al fine di contrastare l'avanzata silente delle forze islamiste all'interno del paese che, è bene ricordare, dista solo poco più di 70 chilometri dall'Italia (distanza che intercorre tra la città di Kalibia e l'isola di Pantelleria, poco più di 150 chilometri, invece, se si calcola dalla cittadina di al-Huwariyah a Mazzara del Vallo) e che è (o forse è più corretto dire era) una delle mete principali del turismo italiano e più in generale europeo nel Nord Africa.

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Fino ad oggi la Tunisia, nonostante abbia subito più di un attacco terroristico, non è stata inserita – almeno pubblicamente –, nel novero delle nazioni che rischiano grosso perché nel mirino degli uomini col vessillo nero. Anzi è sempre stata percepita, anche a giusta ragione sia ben chiaro, come una delle poche realtà dell'area dove l'interpretazione dell'Islam non ha subito storture fondamentaliste di sorta. Eppure la Tunisia ospita un importante campo di addestramento delle forze jihadiste sul suo territorio, precisamente nel deserto tunisino, dove i neo seguaci dell'ex medico iracheno possono ricevere il primo training militare ed essere successivamente spediti a combattere all'estero per fare esperienza. Secondo i dati più condivisi dagli osservatori dell'area, sarebbero circa 3mila i cittadini tunisini che avrebbero deciso di iniziare la guerra santa contro l'occidente combattendo attivamente per le armate del vessillo nero. Secondo gli stessi dati, i tunisini sarebbero tra i principali foreign fighters presenti nello scenario siriano.

Numeri che descrivono bene il grado di pericolosità assunto dal fenomeno del terrorismo islamico nel paese. La violenta propaganda per lo jihad, spesso sponsorizzata e organizzata da società e associazioni provenienti dall'Arabia Saudita, ha attecchito sia nei sobborghi poveri della capitale che nei ceti più abbienti. Tutti accomunati dalle – false – prospettive di redenzione offerte dai sostenitori dallo jihad che oltre alla “realizzazione personale” nella vita del combattente promettono (senza necessariamente mantenere la parola data s'intende) uno stipendio spesso molto superiore alla media nazionale.

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Da molti mesi, ad esempio, sono stati notati nel piccolo sobborgo di Douar Hicher (sito nell'area orientale della capitale tunisina e proprio a pochi passi dal museo del Bardo) religiosi aderenti al movimento Ansar ash-Shariah (letteralmente sostenitori della Sharia) aver iniziato una costante e ben propagandata opera di proselitismo e aiuto ai ceti meno abbienti dell'area attraverso la consegna di generi alimentari e di prima necessità per la popolazione estremamente povera dell'area, sebbene le autorità locali abbiano ogni tanto tentato di arginare il fenomeno arrivando anche a scontri diretti con i sostenitori della moschea del quartiere tunisino ritenuta la centrale politica dell'azione di Ansar ash-Shariah. Video, presenti in rete, mostrano i componenti del gruppo girare per le strade più povere della zona e portare frutta e verdura ai cittadini insieme a copie del Corano.

Il suo leader, Seifallah Ben Hassine (conosciuto anche come Abou Iyadh) è un tunisino che ha combattuto lungamente in Afghanistan e che sebbene pare non abbia invocato lo jihad in patria è ritenuto tra i principali cacciatori di teste per volontari da spedire a combattere in Siria tra le forze del califfato. Tutti indizi che mostrano quanto la situazione tunisina sia, per usare il gergo militare, ampiamente militare e quanto sia necessario e immediato l'intervento politico – prima che militare – di tutti i paesi interessati non solo alla stabilità dell'area, ma anche alla sicurezza dei propri territori.

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