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Come ha fatto Milei a vincere le elezioni in Argentina e perché non manterrà le promesse

Javier Milei ha vinto le elezioni presidenziali in Argentina con un programma ultra-liberista e di estrema destra. Almeno fino al 2025, però, in Parlamento non avrà i numeri per fare quello che vuole. Antonella Mori, economista e responsabile del programma America Latina per Ispi, ha spiegato a Fanpage.it la situazione.
A cura di Luca Pons
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Le elezioni presidenziali in Argentina hanno portato un risultato che per qualcuno è stato inatteso: Javier Milei ha vinto al ballottaggio e dal 10 dicembre sarà presidente della terza economia del continente sudamericano. L'anarco-capitalista di estrema destra si è presentato con un programma che prevede moltissimi tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni radicali e il passaggio al dollaro nel Paese, abbandonando i pesos. Antonella Mori, professoressa di Macroeconomia all'Università Bocconi di Milano e capo del programma America Latina di Ispi, ha risposto alle domande di Fanpage.it per capire come questa vittoria si arrivata, cosa ci sia dietro, che effetti avrà e perché Milei si troverà molto in difficoltà a mantenere le promesse che ha fatto in campagna elettorale.

Professoressa, Milei al primo turno delle elezioni era arrivato secondo, si presentava con un programma radicale e nelle settimane prima del ballottaggio aveva dato anche dei segni di apparente instabilità. Come ha fatto a vincere lo stesso?

Un dato fondamentale è che al primo turno è arrivata al terzo posto la candidata di centrodestra, Bullrich: non è passata al ballottaggio e subito dopo ha dato il suo appoggio a Milei. Anche l'ex presidente Macri, sempre della coalizione di cui faceva parte Bullrich, ha dato il suo appoggio. Il sostegno alle urne poi è venuto anche dagli elettori probabilmente moderati, molto più moderati di Milei.

Perché un elettore moderato dovrebbe votare per Milei?

Al primo turno, quando si eleggevano anche deputati e senatori, pochi hanno votato per il suo partito, La Libertad Avanza, che è giovanissimo. Il risultato è che Milei ha un numero di parlamentari molto basso: 38 deputati su 257 e 7 senatori su 72. Questo significa che per far approvare qualsiasi cosa avrà bisogno dell'appoggio almeno del partito di Macri, e forse anche di altri. Quindi i moderati che hanno votato Milei non è che condividano tutte le sue posizioni – alcune sono molto estreme, sia in economia che su questioni sociali – però sanno che tanto non potrà attuarle facilmente. Metterà in pratica quello che concorderanno, e sarà così almeno per due anni.

Perché per due anni?

Queste elezioni al primo turno hanno rinnovato una parte di deputati e senatori, e nel 2025 ci saranno le prossime elezioni per rinnovare un'altra parte. Nel frattempo Milei sarà molto debole. In questi anni dovrebbe riuscire a rafforzare l'appoggio proprio a lui, per portare le persone poi a votare il suo partito. Due anni possono essere lunghi, il personaggio è particolare, diciamo, e in campagna elettorale ha dimostrato di essere anche molto irascibile. Vedremo come andrà.

Per le promesse elettorali quindi bisognerà aspettare come minimo due anni?

Spesso quello che uno dice in campagna elettorale non è quello che fa dopo, sicuramente ci dovrà essere un suo tentativo di trovare dei punti in comune con il partito di Macri, altrimenti non ha i voti per fare nulla.

L'elezione di Milei è stata anche un voto di protesta?

Certamente sì. Chi ha votato per Milei, in molti casi, ha votato non contro l'establishment in sé, ma contro il partito peronista. Negli ultimi vent'anni, a parte i quattro anni di Macri, c'è sempre stato un governo peronista.

Il peronismo prende il nome dal presidente Juan Domingo Perón, che è stato in carica per nove anni dopo la seconda guerra mondiale. È un voto di protesta contro la sinistra?

No, il peronismo è più difficile da connotare. Ci sono elementi che possono essere riferiti a diverse ideologie politiche. Negli ultimi anni è stato un peronismo più di sinistra, ma in passato, ad esempio durante la presidenza di Menem, era più di destra.

La situazione economica dell'Argentina ha influito sull'elezione?

Certo, qualcuno dice che gli argentini non avrebbero mai eletto l'attuale ministro dell'Economia [Sergio Massa, candidato che sfidava Milei, ndr] in un Paese che si avvia al 200% di inflazione ed è in recessione. Poi, parte della recessione in realtà è dovuta alla fortissima siccità che hanno avuto, con un calo della produzione. Anche se Massa è considerato, tra i peronisti, uno più moderato. Quindi è stato un voto più contro il suo partito che contro la sua persona.

Nel programma di Milei ci sono delle promesse radicali, dal taglio della spesa pubblica e sociale alle privatizzazioni estreme, e soprattutto la cosiddetta dollarizzazione. Che effetto può avere un programma del genere? È realizzabile?

Ci sono dei punti che possono trovare d'accordo il centrodestra di Macri. L'ideale per Milei sarebbe una presenza dello Stato minima nell'economia, è un teorico dello Stato che dovrebbe occuparsi solo della sicurezza e del rispetto dei diritti. Lui privatizzerebbe tutto, ma probabilmente inizieranno a fare anche alcuni tagli nella spesa pubblica e alcune privatizzazioni su cui possono trovare un accordo. Dovranno comunque affrontare il problema dei tassi di cambio con il dollaro: possono rendere flessibile il tasso di cambio – che adesso è fisso -, eliminare tutti i controlli sull'acquisto di dollari, in modo che sparisca il mercato nero del cambio. Magari consentiranno anche un utilizzo più facile del dollaro all'interno del Paese, però la dollarizzazione è una cosa molto più estrema.

Ci spiega cos'è concretamente?

Vorrebbe dire completamente eliminare i pesos argentini, eliminare la Banca centrale argentina e avere in circolazione i dollari.

Che effetto avrebbe?

Chi decide di dollarizzare rinuncia a uno degli strumenti di politica economica più importanti, cioè la politica monetaria. È una decisione molto seria, che Milei prenderebbe, perché quando lo dice secondo me ci crede sinceramente. Però non credo che abbia i voti per poterlo fare al momento

È molto diverso da quando l'Italia è passata dalla lira all'euro?

È completamente diverso. Perché quando noi siamo passati all'euro, tutti i Paesi che l'hanno adottato hanno fondato insieme la Banca centrale europea. La Bce prende delle decisioni sulle quali anche l'Italia ha un suo peso. E quando prende decisioni, la Bce guarda a quello che succede nell'area euro, anche in Italia. Se invece l'Argentina dovesse decidere di dollarizzare, sarebbe una decisione del tutto sua, unilaterale. Quando la banca centrale americana (Fed) fa la sua politica monetaria, guarda solo a quelle che sono le esigenze degli Stati Uniti. Mai la Fed andrebbe in aiuto dell'Argentina come la Bce ha fatto con l'Italia e altri Paesi in difficoltà negli ultimi anni.

L'Argentina sarebbe il primo Paese a dollarizzare?

No, nel mondo ci sono altri che l'hanno fatto: in America Latina, l'Ecuador, Panama, il Salvador. Però sono Paesi più piccoli. L'Argentina è più grande, e non ci sono Paesi così grandi che abbiano preso un'iniziativa del genere, senza ritorno.

A livello internazionale, che impatto può avere la presidenza di Milei?

Per quanto riguarda l'Europa, direi che non ci si devono aspettare grandi sconvolgimenti. Milei ha dichiarato che i suoi partner privilegiati saranno gli Stati Uniti e Israele. Noi siamo molto legati agli Stati Uniti, quindi avremo buoni rapporti. Invece le cose si complicano per quel che riguarda l'America Latina.

In che senso?

Milei ha anche dichiarato che non ha nessuna intenzione di avere rapporti diplomatici con governi socialisti o comunisti, quindi con la Cina, ma anche con il Brasile di Lula. Poi ha detto che le imprese saranno libere di fare quello che vogliono con chi vogliono, a livello commerciale. Ma mentre con la Cina probabilmente avrà pochi rapporti politici e diplomatici, con il Brasile la vicinanza è tale e i rapporti sono così stretti… Saranno sicuramente più freddi di quelli attuali, ma è difficile pensare che non avrà rapporti.

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