Cile nel caos: saccheggi e disordini, tra i morti anche un bimbo di 4 anni. Cosa sta succedendo?
In Cile è caos. Dal 18 ottobre, il Paese sudamericano è scosso da disordini, manifestazioni e saccheggi che hanno provocato 18 morti, tra cui un bimbo di 4 anni investito da un’auto. Molte scuole rimangono chiuse, i trasporti paralizzati e diversi negozi sono stati presi d’assalto. Ad innescare la proteste è stato l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana. Le ragioni del malcontento popolare, tuttavia, sono più profonde. E per le strade di Santiago, Valparaíso e Concepción, i cileni stanno scendendo in piazza contro il caro vita e le disuguaglianze sociali sempre più marcate.
All'inizio di ottobre, in un intervista televisiva, il presidente Sebastian Piñera aveva definito il Cile “un’oasi di pace e prosperità”. Le immagini di questi giorni, invece, restituiscono una realtà molto più drammatica: il governo ha decretato il coprifuoco, l’esercito presidia le strade e i soldati non hanno esitato a sparare sui manifestanti. Uno scenario che richiama alla memoria la dittatura di Augusto Pinochet, il periodo più buio della recente storia cilena durante il quale sono stati assassinati migliaia di oppositori politici e cittadini inermi.
Perché è cominciata la protesta in Cile?
L’approvazione di una legge che aumentava da 800 a 830 pesos (circa 1,05 euro) il prezzo del biglietto della metropolitana della capitale Santiago scatena le prime proteste il 7 ottobre. L’incremento è pensato solo per le ore di punta e viene esteso anche per le corse sugli autobus extraurbani. Una misura, insomma, che va a toccare proprio i pendolari che ogni giorno vanno a lavorare o studiare nella metropoli. In un Paese dove il 70% della popolazione ha un salario che non raggiunge i 700 euro al mese, è la goccia che fa traboccare il vaso.
Sono soprattutto gli studenti dei licei e dell’università a darsi appuntamento attraverso le reti sociali nelle stazioni della metro ed entrare senza pagare. Il trasporto sotterraneo della capitale, simbolo dell’efficienza e della modernità cilena, diventa presto il teatro di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Alle 19 del 18 ottobre il servizio della metro viene sospeso in tutta Santiago. E’ il caos con decine di migliaia di persone che non sanno come tornare a casa. Quella sera stessa cominciano i primi cazerolazos (protesta rumorosa in cui i manifestanti colpiscono casseruole, pentole e coperchi) che si estendono presto in tutta la città. Vengono dati alle fiamme autobus e stazioni della metro. L’incendio più grave si sviluppa nella sede dell’Enel nel centro della capitale. E iniziano i primi saccheggi ai supermercati.
A Santiago torna il coprifuoco con l’esercito in strada
La mattina del 19 ottobre, il presidente Sebastian Piñera decreta lo stato di emergenza e invia l’esercito a pattugliare le strade. Almeno 300 persone sono arrestate solo quel giorno. Il Cile sembra ripiombato negli anni bui della repressione militare. Ma in piazza ci sono tanti giovani che non hanno conosciuto la dittatura di Pinochet (durata dal 1973 al 1990) e le proteste continuano e si intensificano. Di fronte ai saccheggi, farmacie, supermercati e negozi abbassano le saracinesche. Appaiono le prime lunghe code di automobili nelle stazioni di servizio. Una situazione che porta il generale Javier Iturriaga del Campo, nominato al comando della sicurezza della capitale, ad instaurare il coprifuoco dalle 19 alle 6 di mattina. E’ dal 1987 che non si applicava una misura così estrema.
Saccheggi e repressione dell’esercito: in Cile i morti sono 18
Domenica 20 ottobre arrivano notizie delle prime vittime provocate durante i saccheggi. Tre morti in un supermercato di San Bernardo, altri cinque in un negozio di abbigliamento della provincia di Santiago. La camera dei deputati in riunione straordinaria decide di cancellare l’aumento del biglietto della metropolitana. Una misura tardiva e insufficiente che non riesce a fermare le proteste. Anche il messaggio del presidente cileno nel quale afferma: “Siamo in guerra contro un nemico molto potente”, non sortisce alcun effetto. La repressione dei carabinieri, chiamati al fianco dell’esercito, si fa più forte. José Miguel Uribe Antipani, un giovane di 25 anni, è ucciso dai militari in una manifestazione nella città di Curicó, nel Cile centrale. Le vittime per mano delle forze dell’ordine sono 4 come ha riconosciuto martedì la procura generale cilena. Gli arrestati sono 5.400.
Finora le vittime sono 18, tra cui un bimbo di 4 anni. Il piccolo è stato investito la notte scorsa da un'auto guidata da un individuo ubriaco che si è scagliato contro un gruppo di persone che stavano manifestando a San Pedro de la Paz, nella provincia di Concepción.
La disuguaglianza, il vero motivo del malcontento popolare in Cile
L’aumento del prezzo per viaggiare in metropolitana non basta a spiegare da solo l’intensità delle proteste. Il malcontento cova da tempo nella società cilena, come ha spiegato Lucía Dammert, cattedratica dell'università di Santiago. “Una nuova generazione di cileni, che hanno meno di 30 anni e non hanno conosciuto la dittatura, aperti alla possibilità di esprimere le proprie sofferenze e che, disillusi, sentono di non avere niente da perdere. E’ per questo che possono arrivare facilmente alla violenza”.
Le ragioni delle manifestazioni sono molto più complesse e vanno ricercate nel costo della vita sempre più alto, negli stipendi e pensioni che non consentono di arrivare alla fine del mese e hanno portato sempre più cileni ad indebitarsi, nell'insufficienza di risorse pubbliche destinate a educazione e sanità, ormai in mano privata. Nonostante la crescita dell'economia cilena (il Pil è cresciuto quest'anno del 2,5%, un buon risultato anche se inferiore alle aspettative) gran parte della popolazione non ne ha goduto i risultati. La povertà si è ridotta negli ultimi anni ma questo non ha impedito che crescesse il divario tra i più ricchi e chi ha di meno. Il Cile, infatti, è uno dei Paesi più diseguali del mondo, dove l’1% della popolazione detiene il 26,5% della ricchezza, e il 50% più povero solo il 2%. Da qui il senso di frustrazione diffuso che è sfociato nei disordini di oggi.
Il presidente cileno Piñera chiede scusa e annuncia riforme sociali
Il presidente cileno Piñera ha chiesto pubblicamente scusa. "Accettiamo umilmente le legittime richieste e i messaggi che i cileni hanno trasmesso", ha scritto in un tweet. "È vero che i problemi si sono accumulati per decenni – ha aggiunto il capo di Stato – e i diversi governi non sono stati in grado di riconoscere la situazione in tutta la sua grandezza. Riconosco e mi scuso per la mancanza di visione".
Allo stesso tempo, il presidente cileno ha annunciato una serie di misure di carattere sociale per cercare di fermare la crisi. Il pacchetto di riforme comprende l’introduzione di un salario minimo garantito di 350mila pesos (circa 430 euro), tasse più elevate ai redditi più alti, la riduzione dei compensi a parlamentari e alti funzionari e un meccanismo per stabilizzare le tariffe elettriche. Nei prossimi giorni si vedrà se le promesse di Piñera riusciranno a placare la rabbia dei cileni e garantire un ritorno alla normalità. I sindacati intanto hanno decretato due giornate di sciopero generale sommandosi così alle manifestazioni multimilionarie che stanno scuotendo tutto il Paese sudamericano.