
Non ci fosse da piangere, farebbe sorridere la vecchia Europa che si sbatte, sia arrabbia, batte i pugni e rilancia di fronte ai dazi e alle minacce di Donald Trump per poi fare esattamente tutto quel che chiede. E non fare, specularmente, tutto ciò che a noi farebbe molto bene, e a Trump molto male.
Lo diciamo soprattutto in relazione al programma Rearm Europe, ovviamente. Che è esattamente quel che Trump voleva ottenere attraverso con le sue mani tese a Vladimir Putin e col suo blocco degli aiuti all’Ucraina. Che i Paesi europei, meglio ancora se in ordine sparso, spendessero centinaia, migliaia di miliardi su miliardi per difendere il confine con la Russia al posto suo.
Obiettivo raggiunto, per The Donald? Sì, ma non è il solo. Perché dietro la minaccia dei dazi si aggiunge il secondo obiettivo del neo-presidente Usa: riequilibrare la bilancia commerciale americana nei confronti dell’Europa. Un riequilibrio che il presidente Usa otterrà – ci permettiamo di fare a meno dei condizionali, per una volta – imponendo all’Europa di comprare sistemi d’arma e tecnologie americane. Che l’Europa comprerà – indicativo futuro semplice, pure qua – per ammorbidire la Casa Bianca sui dazi all’auto e ai prodotti biomedicali europei.
You may say I’m a dreamer, direbbe John Lennon. Ma in un mondo perfetto, o in una diversa tempolinea, ci sarebbe piaciuto vedere l’Europa alzare gli scudi di fronte alla richiesta di Trump. Magari dicendo: ok, quel confine lo difendiamo noi. Non andando a spendere 800 miliardi in nuovi armamenti made in Usa, ma integrando i sistemi di difesa dei diversi Paesi europei, oggi scoordinati e pieni di doppioni, cosa che, in teoria, sarebbe già di per sé sufficiente per tenere a bada Putin e le sue mire imperialistiche.
E già che c’eravamo, avremmo potuto allargare i cordoni della borsa investendo ancora più pesantemente sulla transizione ecologica, sulla sanità, sull’istruzione, sulla costruzione di un welfare europeo, che marcasse ancora di più la differenza tra le due sponde dell’Atlantico.
E magari, già che c’eravamo,avremmo risposto ai dazi di Trump sulla manifattura europea facendola pagare cara alle big tech americane. Tradotto: niente auto europee negli Usa? Bene, niente satelliti SpaceX in Europa. E scordatevi leggi compiacenti per i colossi dell’intelligenza artificiale. Ah, ovviamente magari si poteva proporre a Zelensky un contro-accordo sulle terre rare, in cambio dell’adesione all’Ue dell’Ucraina.
Andiamo avanti? Già che c’eravamo, avremmo potuto pure rispondere agli Usa facendo accordi commerciali con Messico, Canada, Cina e tutti i Paesi colpiti dal protezionismo americano. Avremmo potuto, in altre parole mostrare al mondo i piedi d’argilla del gigante a stelle e strisce, un Paese molto più fragile e in crisi di quanto si mostri – altrimenti non avrebbe votato in massa una compagnia di giro come quella di Trump, Vance e Musk.
Avremmo potuto, ma non l’abbiamo fatto. Dimostrando una volta di più che l’Europa non riesce a non essere che un’estensione della volontà americana, una mera espressione geografica incapace di darsi una strategia comune, dominata da lobby e poteri che stanno di casa a Washington, a San Francisco, a Mosca e a Pechino, ma non certamente a Bruxelles.
Ecco, forse anziché scendere in piazza in difesa dell’Unione Europea, dovremmo cominciare a chiedere, prima di tutto a noi stessi, di smetterla di fare i servi sciocchi e pavidi degli Stati Uniti d’America. Questa sì sarebbe una prima, bella risposta, alle minacce di Trump. Altrimenti, siamo tali e quali a Salvini, senza nemmeno la dignità delle nostre opinioni.
