“Mi hanno chiesto se fossi un membro di Boko Haram, quando ho risposto di no, hanno cominciato a malmenarmi. Sono stato legato mani e piedi ad un albero dove hanno continuato a picchiarmi. A volte mi lasciavano appeso dalla mattina alla sera e ogni tanto venivano a frustrarmi. Ad alcuni di noi hanno rotto le mani durante gli interrogatori”. E’ il crudo racconto di Saeed, un ragazzo nigeriano di 17 anni, catturato dai militari a Banki, un villaggio prossimo al confine settentrionale con il Camerun.
Sadisu, un altro minore arrestato dalle forze di sicurezza nigeriane, ha dichiarato di essere stato detenuto per 43 giorni nella prigione di Bama, una città dello Stato del Borno, nel nord-est della Nigeria. Anche per lui è scattata l’accusa di far parte del gruppo terrorista che dal 2009 semina morte e distruzione nel Paese africano. Durante gli interrogatori ha sempre negato il suo coinvolgimento con i fondamentalisti islamici. “Quando gli ho detto che non avevo alcun legame con Boko Haram – ha affermato il giovane – i soldati mi hanno picchiato e frustato con le cinture”.
Sono solo alcuni degli abusi subiti da bambini e adolescenti arrestati dall'esercito nigeriano nella sua lotta al terrorismo islamico. Le loro drammatiche testimonianze sono state raccolte da Human Rights Watch (Hrw). Nel rapporto dell’organizzazione umanitaria emerge un quadro di violazione sistematica dei più elementari diritti dell’infanzia. Detenuti per mesi, in alcuni casi anche per anni, senza prove certe, nelle caserme militari di Giwa a Maiduguri, la capitale dello Stato federale di Borno, i minorenni hanno raccontato di aver subito pestaggi sistematici e violenze di ogni tipo per costringerli a confessare. I responsabili dei maltrattamenti, secondo le dichiarazioni delle vittime, sono i membri del Cjtf (Civilian Joint Task Force, una milizia formata da civili delle comunità locali impegnata a combattere Boko Haram). “I soldati comunque erano sempre presenti”, ha sottolineato uno dei giovani intervistati da Hrw.
Condizioni disumane in celle con 300 reclusi
I bambini arrestati sono stati rinchiusi in celle sovraffollate, dove c’erano fino a 300 reclusi soffocati da un calore insopportabile e con condizioni igieniche terribili. “L'odore era così nauseante – ha detto Sani, un ex detenuto – che mi faceva perdere i sensi. Usavamo i nostri vestiti per tapparci la bocca e il naso ma non serviva a molto visto che gli abiti erano sudici”. “C'era una sola toilette per centinaia di reclusi – ha affermato Malam, un altro minore – e quando lo sciacquone non funzionava usavamo un secchio. A volte, però, non c’era nemmeno l’acqua così stavamo accanto alle nostre feci anche per diversi giorni”.
Secondo le Nazioni Unite, tra gennaio 2013 e marzo 2019, le forze armate nigeriane hanno arrestato oltre 3.600 bambini, tra cui 1.617 ragazze, per sospetta appartenenza a gruppi armati non statali. Nessuno dei bambini, precisa il rapporto di Hrw, è stato portato davanti a un giudice, come richiesto dalla legge. Solo uno degli accusati è stato assistito da un legale. Il più giovane aveva solo 5 anni al momento della cattura. “I bambini sono detenuti in condizioni orribili da anni, con poche o nessuna prova di rapporti con i terroristi islamici e senza nemmeno essere portati in tribunale”, ha dichiarato Jo Becker, direttrice di Hrw per la difesa dei diritti dell'infanzia.
Dieci anni di terrorismo di Boko Haram: migliaia di morti, sequestri e saccheggi
Nel nordest della Nigeria, gli integralisti islamici hanno provocato dal 2009 circa 35mila morti, 2 milioni di sfollati, coinvolto i Paesi confinanti e creato una crisi umanitaria in tutta la regione. A pagare un prezzo altissimo sono proprio i più vulnerabili. L‘Unicef ha documentato oltre 3.500 casi di reclutamento forzato di minori da parte di Boko Haram tra il 2013 e il 2017. Un numero che, tuttavia, non rispecchia la reale portata dei sequestri realizzati dai fondamentalisti islamici nel corso di questi anni. Come hanno certificato le Nazioni Unite, sono più di 8.700 i bambini salvati, fuggiti o che si sono arresi alle forze di sicurezza nigeriane tra l’ottobre 2015 e il 2016. In questi dieci anni di terrorismo, gli estremisti hanno compiuto rapimenti di massa, come nel caso delle 276 ragazze portate via con la forza dalla scuola di Chibok nell'aprile 2014. Minori che, molto spesso, sono poi obbligati a convertirsi in kamikaze negli attentati. Attacchi suicidi costati la vita ad oltre 400 bambini.
Questi giovani arrestati ingiustamente, sottolinea Human Rights Watch, si sono sentiti doppiamente vittime. Prima di Boko Haram per averli rapiti o per aver attaccato le loro famiglie o villaggi; poi dal governo per averli detenuti arbitrariamente. “Molti dei bambini – ha proseguito Becker – sono già sopravvissuti agli attacchi degli integralisti e il trattamento crudele delle autorità ha aumentato la loro sofferenza”.
L’esercito nigeriano nega le accuse di Human Rights Watch
Da parte sua, l'esercito nigeriano ha negato le accuse contenute nel rapporto di Hrw. Le forze armate sostengono che le affermazioni dell’organizzazione per i diritti umani “non sono solo false, ma sono in grado di minare gli sforzi congiunti dell’esercito e di altre agenzie di sicurezza per ripristinare la pace nel nord-est [della Nigeria]”.
Il numero di arresti, comunque, ha subito un calo significativo rispetto agli anni precedenti: poco più di 400 bambini e adolescenti sono stati detenuti nel 2018. Le autorità, si legge sempre nel rapporto di Hrw, hanno rilasciato almeno 2.200 minori. Per la Nigeria la lotta al terrorismo jihadista rappresenta uno delle sfide più grandi, come ha riconosciuto anche Becker. Il responsabile dei diritti dei minori, tuttavia, considera che “trattenere migliaia di bambini non sia la risposta”. Perché, è la conclusione di Human Rights Watch, le giovani vittime hanno bisogno di riabilitazione e istruzione, non di prigione. Hrw ha chiesto al governo nigeriano di firmare un protocollo Onu per garantire il trasferimento dei bambini alle autorità di protezione dei minori per la riabilitazione, il ricongiungimento familiare e il reinserimento della comunità. Un documento, ricorda l’organizzazione umanitaria, simile a quello firmato anche da altri Paesi della regione, tra cui Ciad, Mali e Niger.