Chiesti 20 anni per il marito di Gisèle Pelicot, drogata e fatta violentare per anni da decine di sconosciuti
È stato chiesto il massimo della pena, 20 anni di carcere, per il marito di Gisèle Pelicot, la 60enne drogata e violentata dall'uomo, e fatta stuprare per anni anche da decine di sconosciuti, 50 dei quali sono imputati nel processo che si sta avviando verso la sua conclusione. Oggi, lunedì 25 novembre, è arrivata la prima richiesta di condanna dell'accusa.
Dominique Pelicot, 71 anni, è accusato di aver drogato, stuprato e fatto violentare sua moglie da decine di uomini reclutati su Internet.
"Vent'anni è molto, perché si tratta di 20 anni di una vita. E quale che sia l'età, non è poco. Ma è anche troppo poco rispetto alla gravità dei fatti che sono stati commessi e ripetuti", ha commentato Laure Chabaud, una delle rappresentanti del pubblico ministero che si è espresso oggi in aula ad Avignone.
La sentenza attesa per il 20 dicembre
Il marito della signora Pelicot si è autodefinito "violentatore" e ha ammesso di essere colpevole per quello che ha fatto. "Ho rovinato tutto, ho perso tutto. Devo pagare", aveva detto in aula. Richieste di condanna simili sono attese per gli altri 50 imputati, uomini tra i 26 e i 74 anni.
Questi sono soltanto una parte di coloro che dal 2010 al 2020 approfittarono dello stato di stordimento di Gisèle Pelicot rispondendo agli annuncia che il marito di lei pubblicava sul sito internet "Coco.fr", oggi vietato.
Nella sua requisitoria il pubblico ministero ha affermato che "il nodo" del processo per gli stupri di Mazan "è cambiare fondamentalmente i rapporti fra uomini e donne". La sentenza è attesa per il 20 dicembre.
Gisèle Pelicot: "Sono una donna distrutta, ma voglio cambiare questa società"
"Sono una donna completamente distrutta. Ma voglio cambiare questa società", aveva detto Gisèle Pelicot davanti ai giudici in una delle precedenti udienze del processo a cui ha scelto di partecipare senza l'anonimato.
"Per questo ho chiesto che il processo per gli stupri di Mazan non si svolgesse a porte chiuse. nonostante la scabrosità dei racconti e delle immagini mostrate in aula. Volevo che tutte le donne vittime di violenze dicessero: ‘Se lei ce l'ha fatta, possiamo farlo anche noi'. Non voglio più che se ne vergognino. La vergogna non deve essere nostra, ma loro".
"Sontinuerò a chiamarmi Pelicot. – aveva detto ancora – Appena questo processo si è aperto i miei cari si vergognavano di questo nome. Oggi il mondo conosce Gisèle Pelicot, sa chi sono e voglio che i miei nipotini siano orgogliosi della loro nonna. Non voglio che si vergognino di portare quel cognome perché oggi è il mio, sarà sempre associato a quello che io ho fatto in quest'aula di tribunale".