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Opinioni
Guerra in Ucraina

Chi sono i falchi del Cremlino che stanno spingendo Putin a usare l’atomica

Il timore di una sconfitta totale, soprattutto dopo i referendum e l’annessione (reale o presunta) dei territori ucraini, è uno spettro che nessuno, nella classe dirigente russa, vuole accettare. È di fronte a questo spettro che in Russia si è scatenata la lotta politica, focalizzata su un tema: usare o non usare le bombe atomiche?
A cura di Fulvio Scaglione
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La nostra opinione pubblica se guarda alla Russia da sempre attribuisce grande importanza al cosiddetto “dissenso”. Lo faceva negli anni Sessanta e Settanta, quando in Russia il nobile sacrificio dei Sakharov e dei Solzhenicyn non cambiava di un millimetro la realtà sovietica, dove l’unico dissidente che cambiò davvero qualcosa fu poi espresso dal Partito comunista dell’Urss, ed era Mikhail Gorbaciov.

E ripete l’errore anche oggi, esaltando Navalny (prima) e le proteste di piazza contro la mobilitazione dei riservisti (adesso) che, esattamente come i dissidenti di un tempo, non ottengono in Russia alcun risultato.

C’è una ragione, piuttosto semplice: la Russia, con l’esclusione forse di qualche anno agli inizi dei Novanta, non ha mai conosciuto la democrazia come l’intendiamo noi. E risponde, quindi, nei suoi assetti di potere, a logiche completamente diverse.

Lo vediamo bene anche oggi. La strategia di Vladimir Putin, quella di una guerra circoscritta (la cosiddetta “operazione militare speciale”) con cui strappare tutta la parte Est all’Ucraina, è fallita. Gli ucraini resistono, sono finanziati e armati dall’intero Occidente e, dopo una serie di rovesci, sono passati alla controffensiva.

Di più: le operazioni militari hanno rivelato le fragilità della Russia come sistema Paese. Logistica confusa e arruffona, corruzione nelle forze armate, distacco dei vertici politici e militari dalla base, burocrazia inefficiente, tanto che lo stesso Putin ha dovuto alzare la voce nel Consiglio dei ministri perché fossero corrette le storture nel richiamo dei riservisti.

Il timore di una sconfitta totale, soprattutto dopo i referendum e l’annessione (reale o presunta) dei territori ucraini, è uno spettro che nessuno, nella classe dirigente russa, vuole accettare. È di fronte a questo spettro, e non certo per le proteste di piazza, che in Russia si è scatenata la lotta politica, focalizzata su un tema: usare o non usare le bombe atomiche?

Il rischio è concreto, e ne abbiamo già parlato in queste pagine. Ma il punto è che il discorso sulla guerra nucleare è, oggi, anche un modo per lavorare sull’eventuale successione a Vladimir Putin e sulla modifica del sistema di potere di cui Putin stesso è l’espressione.

La mobilitazione dei riservisti, sia pure parziale, ha portato la guerra nelle case dei russi (combattono ora anche cittadini ordinari, non solo volontari più o meno pagati per farlo o veri mercenari come quelli della Wagner) proprio mentre le cose al fronte vanno male e il sistema Russia non pare in grado di rispondere. L’arma nucleare, per quanto sia terribile dirlo, diventa così una scorciatoia verso un’ipotetica vittoria, ma anche la sconfessione delle strategie seguite finora.

Il primo a parlarne, già mesi fa, è stato Dmitrij Medvedev, ora “solo” vice-segretario del Consiglio di Sicurezza russo ma in passato Presidente e primo ministro della Federazione russa. Era un liberale, amico dell’Occidente, è diventato un ferocissimo falco. Molti, però, lo consideravano un pensionato di lusso che, facendo il duro, tentava di accreditarsi per incarichi più prestigiosi o, addirittura, per succedere a Putin.

Dopo le ultime sconfitte, però, il discorso sull’uso delle bombe atomiche divide le élite russe di potere secondo un altro crinale: se siete veri uomini, amate la patria, volete davvero vincere la guerra, state pronti a usarle; in caso contrario, non siete veri patrioti e perseguite la sconfitta.

Questo discorso è stato inaugurato da Ramzan Kadyrov, pittoresco e discusso Presidente della Cecenia. Kadyrov ha mandato a combattere in Ucraina migliaia di ceceni che si sono distinti per coraggio e crudeltà. Insomma, ha qualche credito da vantare presso il Cremlino. Alla ritirata russa dalla città di Liman non si è più controllato e ha attaccato il generale Aleksandr Lapin, comandante del contingente che era stato inviato per respingere gli ucraini, accusandolo di nepotismo (circola in Russia la foto del generale che decora il figlio, ufficiale comandante proprio a Liman), inettitudine e di essere pure un imboscato che non si è mai fatto vedere in prima linea.

Per buona misura, Kadyrov ha aggiunto che Putin deve usare le atomiche in Ucraina. Una crepa così larga al vertice della Russia non si era mai vista. Anche perché ad allargarla è arrivato un altro personaggio di quelli tosti: Evgenyj Prigozhin, detto “il cuoco di Putin” perché aveva un ristorante a San Pietroburgo, ora più noto come fondatore dell’esercito mercenario chiamato Gruppo Wagner, protagonista sul fronte ucraino come in Siria, in Africa e ovunque la Russia abbia bisogno di menare le mani. Prigozhin si è detto d’accordo in tutto con Kadyrov, lo ha incoraggiato e ha ribadito la necessità di usare tutti i mezzi a disposizione.

Nessuno attacca direttamente Putin. Ma sono ormai molti quelli che picchiano sui generali e sulla catena di comando. Una catena che passa per il criticatissimo capo di stato maggiore Gerasimov, per il contestatissimo ministro della Difesa Shoigu (che infatti dice: “Non c’è nessun bisogno delle armi atomiche, servono solo per difendersi da attacchi nucleari nemici”) ma alla fine arriva allo stesso Putin, che è pur sempre comandante in capo delle forze armate.

A sparare a zero sulle alte gerarchie è stato, per esempio, anche Andrey Gurulyov, ex generale ed ex comandante del 58° Corpo d’armata. Ha detto chiaro e tondo che “il problema non è nelle trincee ma alla Frunzevskaya (la strada di Mosca dove ha sede il ministero della Difesa, n.d.r)” e ha proposto un repulisti generale.

Il problema è che Gurulyov non è solo un soldato e un esperto, ma è anche deputato per Russia Unita, il partito putiniano. Se lui ha parlato ad alta voce, vuol dire che anche in Russia Unita dubbi e critiche sulla strategia di Putin sono ormai all’ordine del giorno.

Come dicevamo, l’ipotesi di una sconfitta è inaccettabile per la Russia. Ed è proprio questo a far crescere il rischio di un conflitto nucleare. Le voci che arrivano da Mosca dicono che l’impiego di bombe atomiche tattiche, devastanti ma dal raggio limitato, stia conquistando adepti negli ambienti della Guardia nazionale russa (detta Rosgvardiya), un corpo di 340 mila uomini, creato da Putin nel 2016, che risponde al Presidente e che non ha mai avuto rapporti idilliaci con le forze armate tradizionali e il ministero della Difesa.

La Guardia combatte duramente in Ucraina e si sente abbandonata dall’esercito. Ma soprattutto, la Guardia è parte del ministero degli Interni. I suoi borbottii, sempre meno contenuti, sono l’espressione anche dello scontento dei servizi segreti, dove non a caso cresce il numero di coloro che sono sempre più inclini a considerare fattibile l’impiego delle bombe atomiche.

Vedremo fino a quando Putin vorrà o potrà tenere a bada queste crescenti pressioni. Per riuscirci, però, dovrà fermare l’offensiva ucraina, invertire la tendenza delle operazioni sul campo, garantire una vera “liberazione” e quindi annessione delle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporozhya e nello stesso tempo tenere in equilibrio l’economia russa rispetto alle quasi 22 mila sanzioni occidentali che l’hanno colpita. E oggi questa sembra una vera mission impossible.

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