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Guerra in Ucraina

“Chi parla di rovesciare il regime in Russia fa un regalo a Putin”: l’analisi dell’esperto

“Manca una visione comune sul fine-partita”, spiega l’analista britannico Mark Galeotti, esperto di Cremlino. Chi prefigura un cambio di regime e uno smembramento della Russia “fornisce argomenti alla propaganda del Cremlino”.
A cura di Riccardo Amati
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La questione della fornitura dei carri armati tedeschi, rimasta irrisolta al vertice di Ramstein  “sta diventando ridicola”. Ma il vero fallimento dell’Europa è “la mancanza di una visione comune su come debba finire la guerra”, ovvero su cosa debba accettare la Russia quando le armi taceranno. Mark Galeotti è uno dei maggiori esperti mondiali dei servizi di sicurezza e delle forze armate russe, nonché dei misteri del Cremlino. Il suo ultimo libro è “Putin’s Wars: From Chechnya to Ukraine” (Osprey). Lo studioso britannico ritiene che l’Europa debba dire chiaramente e all’unisono che vuole solo il ritiro di Mosca dalle aree occupate. I falchi in favore di stravolgimenti politici e territoriali della Federazione russa farebbero meglio a tacere, “perché stanno offrendo materiale per la propaganda di Vladimir Putin”. Che punta sulla sindrome di accerchiamento dei russi, per ottenere sostegno al suo regime. Tanto che “per farli sentire sotto minaccia” ha fatto piazzare l’antiaerea nel centro di Mosca. Mentre torna a ricorrere alla retorica nucleare, sbandierando armi “più sensazionali che efficienti”.

Fanpage.it ha raggiunto Galeotti al telefono in Svizzera, dove si trova per una conferenza.

Al vertice di Ramstein, nessuna decisione sui carri armati Leopard chiesti con forza da Kyiv.  L’Europa non sembra in grado di dare una risposta comune. È un fallimento?

Questo dibattito sui Leopard sta cominciando a diventare ridicolo. Perché comunque l’Europa ha già fornito carri armati pesanti all’Ucraina. A partire dalla Repubblica Ceca. In quel caso si tratta di mezzi dell’era sovietica rimodernati. Ma la loro differenza con i Leopard tedeschi o con i Challenger britannici è sostanzialmente minima, nell’impiego in battaglia. In realtà la questione è dettata solo dalle divisioni tra i Paesi europei, e ne è lo specchio. L’Europa deve dimostrare unità, e non lo sta facendo. Ma non è questo, in fondo, il fallimento peggiore.

E qual’è il fallimento peggiore, allora?

L’Europa e l’Occidente non riescono, né vogliono, articolare una visione comune sul fine-partita. Su come deve finire questa guerra.

Si spieghi meglio.

Non ha senso dire semplicemente che la guerra finirà quando lo vogliono gli ucraini. Perché, francamente, non è plausibile. Si devono trovare soluzioni plausibili, per il “fine-partita”. Ma si evita anche solo di parlarne, perché sarebbero conversazioni imbarazzanti. Le posizioni sono troppo diverse. Quelle della Polonia e degli stati baltici sono molto distanti da quelle di Paesi come, per esempio, l’Italia o la Francia. Ma non è certo una buona ragione per non avere conversazioni che secondo me sono sempre più necessarie.

Ma adesso la priorità è aiutare l’Ucraina a resistere all’aggressione. È proprio dalla sua capacità o meno di resistere che dipenderà come si concluderanno i giochi.  Non le pare?

Intendiamoci: è assolutamente vitale e prioritario continuare a fornire armamenti e assistenza economica all’Ucraina. Ma ritengo che lo sia altrettanto iniziare a elaborare una visione comune sui possibili assetti politici e territoriali alla fine del conflitto. Perché altrimenti prevarranno le voci, già piuttosto sonore, di chi vorrebbe “decolonizzare” la Russia, cambiarne il sistema politico e così via. Cose poco verosimili. E che comunque vanno oltre l’obiettivo di fermare il conflitto. Soprattutto, cose che giocano a favore di Putin e dei suoi propagandisti: così possono dire che questa è una lotta esistenziale per la sopravvivenza della Russia e puntellare la narrativa che stanno inculcando nella popolazione.

Quindi questi “falchi” dell’Occidente fanno un assist al Cremlino?

Esatto. E non vedo perché dobbiamo far regali a Putin.

Ma quale dovrebbe essere la “visione comune” dell’Europa e dell’Occidente?

Accantonando i tatticismi e, almeno per ora, il problema di cosa sarà della Crimea, dovremmo dire chiaramente che quel che si vuole è solo spingere la Russia fuori dai territori che ha occupato. E anche, magari, costringerla a pagare riparazioni. Ma bisognerebbe garantire inequivocabilmente che non è in atto alcun tentativo generalizzato di disgregare la Russia, di “decolonizzarla” — come sperano alcuni osservatori — o cose simili. Anche perché il consenso dell’Occidente non è che la Russia deve essere costretta a una sorta di rivoluzione politica. Sarebbe un’idea molto stupida. E d’altra parte chi accusa l’America di voler lo smembramento del Paese più grande del mondo si sbaglia di grosso. Ne ho avuto conferma anche in questi giorni parlando con esponenti dell’amministrazione Biden.

Una “defederazione” della Russia però è possibile, in un futuro non troppo lontano. La guerra rafforza le tensioni indipendentiste e centrifughe, dicono molti analisti. Lei concorda?

Uno smembramento mi pare parecchio improbabile. Non vedo alcun segnale di seri interessi secessionisti, a parte forse nel Caucaso del nord. Tra l’altro, molti russi sarebbero ben felici di liberarsi del Caucaso settentrionale. Comunque, l’unica repubblica federale che potrebbe diventare uno Stato a sé è probabilmente il Tatarstan. Ma anche i tatari son ben consci della loro quasi totale dipendenza economica dalla Russia. Mi pare che siano discorsi poco realistici, quelli sulla “defederazione”. Wishful thinking senza basi concrete. E non ha molto a che vedere con quello che ora è il problema reale: come metter fine alla guerra in Ucraina.

La guerra finirà quest’anno?

Forse. Ma non ci scommetterei neanche una sterlina.

Intanto, sui tetti di alcuni edifici di Mosca sono comparse batterie antiaeree Pantsir S-1. Una sopra il ministero della Difesa. Che domina il parco Gorky, dove la domenica la gente va a pattinare. Ma non stava andando tutto ”secondo i piani”, diceva Putin? Ora si teme addirittura un attacco ucraino sulla capitale? Che succede?

Niente sta andando “secondo i piani”. Ma non credo che il Cremlino ritenga necessario piazzare un sistema di difesa aerea sul tetto dei ministeri per proteggersi da chissà quale terribile attacco ucraino con i droni.

E perché allora ce li hanno messi? Cos’è, un messaggio? Ed è semmai rivolto all’esterno o al fronte interno?

Per capire bisogna rifarsi all’orribile discorso di capodanno di Putin. Che è stato molto diverso da quelli soliti del presidente russo. Ha detto che ci troviamo nel mezzo di una nuova Grande guerra patriottica (così i russi chiamano la Seconda guerra mondiale, ndr). E lo ha ripetuto un paio di giorni fa. È il tentativo di convincere i russi a prendere sul serio il conflitto in corso. Di convincerli che sono davvero minacciati. E che quindi la militarizzazione della società, della politica e dell’economia in atto è necessaria. Al Cremlino sapevano benissimo che, dati i luoghi e la visibilità degli armamenti dispiegati, le foto e i video dei Pantsir sui tetti di Mosca sarebbero diventati virali. Sapevano benissimo di attirare l’attenzione. Ed è quello che volevano. Ogni eventuale ragione militare, ammesso che ci sia, è secondaria.

La propaganda di Putin ripete che “tutta l’Europa è contro la Russia come lo fu nel 1941”. Il che è indubbiamente falso: se non altro perché allora fu la Russia essere invasa. E la Gran Bretagna insieme agli Stati Uniti aiutò Stalin inviando  carri armati, aerei da guerra, munizioni, mezzi di trasporto e quant’altro. I russi secondo lei credono davvero alla realtà alternativa proposta dal Cremlino?

Solo una piccola parte della popolazione ci crede. Non significa che stiano attivamente dicendo che sono bugie. Ma la maggior parte dei russi non è a favore della guerra né della retorica del regime.

Alla vigilia del vertice di Ramstein, la retorica è tornata a essere radioattiva. Il solito Medvedev, l’ex presidente ora vice capo del Consiglio di sicurezza, praticamente ha detto che la sconfitta della Russia in Ucraina porterebbe dritti ad Armageddon. Il patriarca Kirill ha spiegato che “ogni desiderio di distruggere la Russia comporterebbe la fine del mondo”. E così via. È una minaccia reale? O è solo propaganda per mobilitare i russi.

Se fosse solo Medvedev a parlare, si potrebbe senz’altro non curarsene: l’uomo è da tempo piuttosto volatile. Ma il fatto che ci siano diversi messaggi nello stesso tempo, e che tutti vadano nello stesso senso, ripetendo che se qualcuno vuol distruggere la Russia sarà a sua volta distrutto e che lo scopo dell’Occidente è di distruggere la Russia, fa sì che la cosa sia da prendersi sul serio. Il messaggio ha una doppia valenza: è rivolto all’Occidente, per intimidirlo. Ma è anche rivolto ai russi, per convincerli della serietà della sfida.

Nella narrativa nucleare degli ultimi giorni i media russi hanno celebrato la potenza del sommergibile Belgorod e del suo siluro Poseidon. È l’arma definitiva? Ha davvero la capacità di creare uno tsunami che può inondare un intero continente?

Il Belgorod più che una sommergibile da combattimento è una “nave madre” che lancia droni subacquei. Uno di questi, la Status-6 Poseidon, ha effettivamente una testata nucleare. Ma il Belgorod è pensato soprattuto per operazioni di sabotaggio delle infrastrutture posate in profondità. I suoi droni potrebbero facilmente fare a pezzi i cavi di interconnessione transatlantici, per esempio. Il fatto è che si rischia di sovrastimare questo tipo di armamenti. Perché sono progettati opportunisticamente per compiacere Putin. Che è palesemente alla ricerca di nuovi e sensazionali strumenti bellici: vuole avere armi spettacolari, per sbandierarle ai russi e al mondo. E così i suoi collaboratori e le aziende del settore difesa ne propongono costantemente. Che siano o meno davvero efficienti e utilizzabili, non importa. Basta che si firmino lucrosi contratti. E che Putin sia contento.

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