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Opinioni

“Chi ha ragione fra Israele e Palestina” è la domanda su Gaza che dovresti smettere di fare

La domanda “chi ha ragione fra Israele e Palestina” ora è davvero priva di senso: c’è una strage da fermare, subito. Non è di tifoserie, di odio e di sangue che abbiamo bisogno, ma di un terreno comune. E non si può che partire da pochi e semplici concetti: eliminare estremismo e fanatismo, fermare i massacri, proteggere la popolazione civile, rispettare il diritto internazionale.
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L’attacco dei miliziani di Hamas ha scioccato l’opinione pubblica mondiale e non poteva essere diversamente. Le immagini dei massacri all’interno degli insediamenti israeliani e le notizie sulla carneficina al Nova musical festival hanno invaso lo spazio informativo, provocando sgomento, disperazione, rabbia. La tremenda risposta israeliana, con i bombardamenti su Gaza e un embargo che colpirà le fasce più deboli della popolazione, è stata vissuta con un misto di ansia, frustrazione, rivalsa e paura. Lo stordimento iniziale si è trasformato così in un senso di incertezza per il futuro che investe tutti, anche chi, come noi, è lontano dal centro degli eventi e teoricamente al sicuro.

Escludendo gli addetti ai lavori, le domande che le persone si fanno ruotano ossessivamente intorno a due elementi: ragione e futuro. Chi ha ragione tra Israele e Palestina? Cosa accadrà adesso? Con tante varianti, sono queste le cosiddette domande sociali, quelle che animano le ricerche su internet e le discussioni sui social, determinando le risposte degli algoritmi che gestiscono la distribuzione dei contenuti. La necessità di schierarsi e il bisogno di essere rassicurati influenzano il modo in cui percepiamo e raccontiamo gli eventi, spesso dimenticandoci di quanto essi siano così complessi e controversi. Si spiegano così la polarizzazione delle opinioni, il proliferare degli appelli e delle chiamate alla mobilitazione intorno a concetti semplici, ridotti all’osso. Stare con qualcuno diventa un modo per ripararsi, una chiave comoda per interpretare quello che sta succedendo, un meccanismo di difesa, alla fine dei conti.

C’è anche una versione speculare della partigianeria acritica, che spesso assume tratti cerchiobottisti e qualunquisti. Di esempi potremmo farne a decine, tutti riconducibili a due grandi blocchi: quello per cui l’agguato di Hamas è tremendo e indegna, MA Israele ha fatto lo stesso coi palestinesi per decenni; e quello per cui la ritorsione su Gaza è violenta e disastrosa, MA la risposta del governo israeliano è legittima ed era prevedibile.

Neanche quest’approccio aiuta granché, diciamoci la verità. Non tanto (meglio, non solo) perché spesso “tutto ciò che viene prima del MA non vale nulla”, quanto soprattutto perché si utilizzano la complessità delle ragioni e la multifattorialità delle cause come strumenti per rendere sfumati e indistinguibili quelli che invece sono veri e propri fatti. In questo senso, usare il Ma in funzione avversativa produce il solo effetto di rendere tutto più confuso, annacquato, digeribile.

Non cedere alle semplificazioni, alla propaganda e alle banalizzazioni è quasi un dovere morale, certo. Lo è anche parlare il linguaggio della verità e attenersi ai fatti nel modo più scrupoloso e attento possibile. Gli elementi per farlo ci sono; così come c’è la possibilità di isolare i fatti e inserirli nel contesto storico e geopolitico, ma per raccontarli e renderli comprensibili all’opinione pubblica, non di manipolarli o usarli a fini di propaganda. Infine, per offrire delle coordinate interpretative ci sono degli approdi sicuri: il diritto internazionale, le basi e le consuetudini della convivenza civile, il valore supremo della vita umana.

I crimini di Hamas, le responsabilità di Israele su Gaza

Dire che l’azione dei miliziani di Hamas rappresenta uno dei più grandi crimini della storia recente, non vuol dire affatto negare le radici profonde e le responsabilità diffuse nella creazione del clima che l’ha resa possibile e accettabile per larga parte dell’opinione pubblica palestinese e non solo. Ma non si può che partire dall’affermazione netta e chiara che l’assassinio di centinaia di civili, l’assalto a un festival musicale, le violenze e i rapimenti, siano un abominio immondo. Hamas, che ha la tremenda responsabilità del sangue versato in questi giorni, deve rilasciare gli ostaggi ed essere perseguita secondo le norme del diritto internazionale per i crimini commessi.

Ciò non sostituisce l’analisi dei fatti e del contesto socio-politico, anzi la rende quantomai necessaria e urgente. Chiedersi il come e perché si sia giunti a questo è fondamentale, almeno se non ci si accontenta delle narrazioni da film di serie Z in cui esistono i supercattivi e i buoni senza macchia (che alla fine vincono grazie alla forza delle loro ragioni, magari veicolate dai carriarmati, come invitano a fare rispettati giornalisti di casa nostra). Ascoltare le voci palestinesi è quantomai utile, abbracciare la prospettiva di chi per un’intera vita si è sentito senza diritti e senza futuro è imprescindibile se si vuole capire come è successo e cosa accadrà ancora. Quando ci si interroga sul consenso di Hamas a Gaza o sulla reazione dei palestinesi in Cisgiordania, si dovrebbe usare maggiore accortezza, storicizzando i fatti e considerando diversi punti di osservazione e di percezione.

Per decenni parte dell’opinione pubblica è stata abituata a considerare normale che milioni di persone perdessero terra e diritti, che l’esistenza di un intero popolo potesse esaurirsi in una lingua di terra, tra checkpoint militari e privazioni materiali. La non vita dei palestinesi è diventata un’opzione, malgrado le risoluzioni dell'ONU, gli appelli delle organizzazioni non governative, la pressione di associazioni e collettivi in ogni parte del mondo, le testimonianze continue e costanti che arrivavano da Gaza e dalla Cisgiordania. Gli scontri con i coloni, le uccisioni di civili, giornalisti e bambini, le sistematiche violazioni del diritto internazionale nei territori occupati (da chi, poi, lo ricordiamo?), sono diventate un rumore di fondo, la nuova normalità di quelle terre. Abbiamo ripetuto e sentito ripetere ossessivamente parole e slogan, “due popoli due Stati”, “Israele ha diritto di esistere e difendersi”, fino a quando hanno smesso di avere senso e significato. Perché sembrano non esistere più limiti entro cui Israele sia legittimata a difendersi (ci ha provato Blinken, senza successo) e non si scorgono leader palestinesi titolati a battersi per una causa che contempli la coesistenza con Tel Aviv.

Le responsabilità sono diffuse, i media non ne sono esenti. La denuncia degli abusi israeliani è stata debole e a fasi alterne, spesso piegata a logiche discutibili. Ne stiamo avendo un'ennesima dimostrazione in questi giorni, con la difficoltà di larga parte dell'informazione e della politica occidentale a usare la definizione corretta nel raccontare la risposta del governo di Netanyahu all'attacco di Hamas. Che è una sola: crimine di guerra. La ritorsione sull’intera popolazione di Gaza è disumana e illegale, anche questo non può essere detto che con forza e nettezza. I bombardamenti di infrastrutture, ospedali e zone residenziali sono crimini riconosciuti come tali dai trattati internazionali. L’embargo di beni di prima necessità, il razionamento dell’energia elettrica e l’opposizione a forme di evacuazione della popolazione sono destinati a causare migliaia di vittime, oltre che a rendere ancora più esacerbato il clima nella Striscia di Gaza e nell’intera Palestina.

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Fermare il massacro nella Striscia di Gaza

Qualche giorno fa, il giornale progressista israeliano Haaretz scriveva che, dopo l’azione di Hamas, il governo di Tel Aviv avesse davanti quattro strade, tutte drammaticamente sbagliate. Il governo guidato da Nethanyahu, le cui responsabilità sono evidenti e pesanti (sul Washington Post lo scrittore e storico israeliano Harari parla di politiche “estremamente divisive e vergognose teorie complottiste” portate avanti da “un’alleanza di fanatici e opportunisti senza vergogna”), sembra aver imboccato la strada della risposta dura e senza sconti. All’atto pratico, come state osservando, ciò si è tradotto finora in distruzione e morte sulla popolazione palestinese, con l’opzione dell’intervento di terra a Gaza che sembra sempre più probabile. Inutile dire che ciò si tradurrebbe in un disastro umanitario di proporzioni inedite, considerato che nella Striscia vivono oltre due milioni di persone, le quali non hanno fisicamente un altro posto in cui andare.

Ed è questo il punto in cui siamo: quello in cui stiamo implorando, letteralmente implorando, il governo di Tel Aviv di mostrare umanità, risparmiare almeno gli ospedali, consentire passaggi sicuri ai civili e non usare armi proibite dalle convenzioni internazionali. Come Israele possa essere "più sicura" dopo una simile ecatombre, con il mondo arabo in fiamme e livelli di tensione mai visti prima, è davvero oltre la comprensione.

Anche in questo caso possiamo e dobbiamo essere più netti. Per citare Medici Senza Frontiere, è fondamentale "la cessazione immediata dello spargimento indiscriminato di sangue, la creazione di spazi e passaggi sicuri per le persone, e che sia garantito loro un accesso sicuro a cibo, acqua e alle strutture sanitarie". Nulla giustifica la ritorsione generalizzata su milioni di innocenti, il solo fatto che qualcuno si stia spingendo a giustificare i bombardamenti e l'embargo paragonando la lotta contro Hamas a quella contro la Germania nazista, dovrebbe bastare a dimostrare il livello di orrore che il dibattito pubblico sta raggiungendo. Stiamo assistendo alla deumanizzazione di un intero popolo, che viene chiamato in correità in modo generalizzato e distorto. È un crinale scivoloso, quello del paragone con la vicenda hitleriana. Chi sostiene che il popolo palestinese sia responsabile "in solido" delle atrocità di Hamas e dunque in qualche modo "meriti" di subirne le conseguenze, presuppone che sia possibile sussumere nazione, popolo e governo/leader in un'unica entità. È la lettura storica dei regimi totalitari, da cui è discesa, per esempio, una qualche legittimazione dell'operato delle forze alleate durante la seconda guerra mondiale e, in parte, della decisione di sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Un ragionamento di questo tipo, però, destoricizza completamente i fatti, non tiene conto dell'evoluzione del pensiero e dell'attenzione ai diritti  e alle vite delle persone maturata negli ultimi decenni, ma soprattutto rischia di legittimare persino i deliri di Hamas, ad esempio sull'equiparazione dei coloni ai militari, fino a negare che esistano "civili innocenti" in questo conflitto.

Evidentemente non possiamo cedere a questa deriva, non possiamo chiudere gli occhi di fronte a ciò che è avvenuto in Israele e che sta avvenendo in queste ore a Gaza.

Come scrivono le principali organizzazioni israeliane per la difesa dei diritti umani in una nota congiunta, “dobbiamo mantenere la nostra posizione morale e umana e rifiutarci di cedere alla disperazione o al bisogno di vendetta. L’uccisione di altri civili non riporterà indietro coloro che si erano persi. Si tratta solo di una distruzione indiscriminata". Difficile non condividere.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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