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Guerra in Ucraina

Chi è Lapin, il nuovo capo dell’esercito russo e perché la nomina di Putin è arrivata proprio adesso

Chi è il generale Aleksandr Pavlovic Lapin, 58 anni, nuovo capo dell’esercito russo. Originario di Kazan’ e figlio di operai, fino a due giorni fa il suo nome era il meno spendibile per l’ascesa al vertice della carriera militare.
A cura di Fulvio Scaglione
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Lapin con Putin
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In Russia, il comandante supremo delle Forze armate è il Presidente. Ed è su nomina diretta del Presidente che viene scelto il comandante delle Forze di terra, di fatto la massima autorità militare del Paese, l’ufficiale che dispone dell’impiego di circa 450 mila uomini e donne (circa 90 mila).

Quindi, è stato Vladimir Putin a decidere la nomina del generale Aleksandr Pavlovic Lapin, 58 anni, originario di Kazan’ (Tatarstan), figlio di operai e, almeno fino a due giorni fa, il nome meno spendibile per l’ascesa al vertice della carriera militare.

Lapin, infatti, è un soldato di puro stampo sovietico. Ha fatto i due anni di servizio di leva tra il 1982 e il 1984, poi si è iscritto nella natia Kazan’ alla Scuola di comando per carristi dove si è diplomato nel 1988. Diversi incarichi da giovane ufficiale qua e là e nel 1997 altro diploma presso l’Accademia “Malinovskij” delle forze corazzate di Lefortovo, nella regione di Mosca.

Poi comandante di reggimento, di battaglione, di divisione, infine il master presso l’Accademia militare di stato maggiore di Mosca che gli spalanca le porte verso i gradi davvero alti, fino alla nomina a comandante del Distretto militare centrale nel 2017 e alle mostrine di generale nel 2019.

Una carriera lineare, tutto sommato rapida, fortunata. Fino all’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022. Anche lì, all’inizio, le cose sembrano andar bene per Lapin. In luglio Putin gli assegna la prestigiosa onoreficenza di Eroe della Russia. Passa qualche settimana, però, ed ecco la disfatta.

Arriva la controffensiva ucraina e, poche ore dopo l’annessione dei territori ucraini alla Russia (le regioni di Donetsk e Lugansk, i territori di Kherson e Zaporozhye), Lapin deve ritirare le truppe da Lyman (regione di Donetsk), un piccolo centro di 20 mila abitanti situato però in una importante posizione strategica.

Lapin viene sommerso dalle critiche. Un po’ da tutti ma soprattutto da due personaggi che, con la guerra in Ucraina, hanno acquisito importanza e sono ben decisi a farsi valere: Ramzan Kadyrov ed Evgenyj Prigozhin.

Il primo è il presidente della Repubblica cecena, che ha fornito migliaia di soldati alla spedizione decisa da Putin. Sono stati i ceceni a prendere Mariupol’ e a piegare il famoso Reggimento Azov, sono i ceceni a trovarsi al centro delle battaglie più cruente della prima fase, quella dell’avanzata russa.

E poi Prigozhin: lo chiamano “il cuoco di Putin” perché gestiva un ristorante a San Pietroburgo dove il Presidente portava spesso gli ospiti illustri ma il suo vero titolo è quello di fondatore e direttore del Gruppo Wagner, l’esercito mercenario che il Cremlino impiega spesso in Africa e che, soprattutto, guida la carica nel Donbass.

Dopo la sconfitta di Lyman i due si scatenano e su Lapin dicono di tutto. Che è “uno stupido” (Kadyrov), un raccomandato del capo di stato maggiore Gerasimov, un pavido (il suo quartier generale, nei giorni della sconfitta, è posto a 150 chilometri da Lyman), un incompetente, un violento (si narra che abbia minacciato con la pistola alcuni soldati appena mobilitati per spingerli a eseguire un ordine), un corrotto. Ed è solo l’inizio.

Soldati ucraini sparano contro postazioni russe da un obice M777 fornito dagli Stati Uniti nella regione di Kherson
Soldati ucraini sparano contro postazioni russe da un obice M777 fornito dagli Stati Uniti nella regione di Kherson

L’avanzata degli ucraini continua, cadono i centri di Terny, Torskoye e Lampolovka, e in ottobre arriva la seconda ripassata per Lapin. Kadyrov dice di aver mandato emissari a cercarlo ma di non averlo trovato in prima linea. Si sottolinea che lo stesso Lapin ha conferito un’onoreficenza al figlio Denis, anche lui ufficiale di carriera, per le azioni nei pressi di Sumy e Cernihiv, che sono però costate ai russi ingenti perdite.

A quel punto Putin decide che può bastare. Lapin, che sia pure senza titoli ufficiali era di fatto il comandante delle truppe russe in Ucraina, viene richiamato a Mosca e al suo posto (ma con un chiaro incarico) arriva il generale Surovikin, già noto per la presa di Aleppo, in Siria.

Kadyrov, Prigozhin e gli altri applaudono. Senza dirlo, Surovikin manda al diavolo la famosa “operazione militare speciale” tanto cara a Putin e si attrezza per una guerra-guerra: bombe e missili sulle ferrovie e le centrali elettriche dell’Ucraina, per fiaccare il nemico e privarlo di risorse; trincee per resistere laddove il nemico è minaccioso, attacchi senza tregua laddove intravvede un varco.

Lapin sembra dimenticato, destinato ad aspettare la pensione in qualche ufficio di Mosca. E invece, ecco il colpo di scena: Putin lo proietta al vertice delle forze armate. Perché? Se lo chiedono tutti.

E la risposta più credibile è che lo Zar voglia continuare a essere il grande equilibratore del dibattito politico russo. Che esiste, anzi, è piuttosto aspro. Ma che non si svolge, come noi siamo abituati, in Parlamento o nelle piazze ma nei corridoi del potere, dove si forma e si disfano le alleanze decisive.

Vladimir Putin alle celebrazioni del Natale Ortodosso a Mosca
Vladimir Putin alle celebrazioni del Natale Ortodosso a Mosca

Al partito dei falchi, che conta non solo Kadyrov e Prigozhin ma almeno anche il segretario del Consiglio di sicurezza Patrushev, il suo vice (ma già Presidente e primo ministro) Medvedev e il presidente della Duma Volodin, Putin ha già concesso una serie di rivolgimenti tra i comandanti delle forze regolari impegnate in Ucraina, culminati appunto con la rimozione di Lapin.

Putin, però, non può permettersi di alienarsi l’apparato militare, come sempre assai “pesante” nelle questioni interne russe. E ben rappresentato anche nella Duma, dove siedono alcuni importanti ex-generali diventati parlamentari. Così difende il ministro della Difesa Shoigu (criticatissimo anche lui) e, al momento opportuno, ritira fuori dal cilindro Lapin.

In un momento delicatissimo per la Russia, che combatte una guerra decisiva sul fronte militare ma anche su quello economico e politico, per di più una guerra che lui stesso ha deciso di scatenare, Putin sa di non potersi permettere divisioni al vertice.

L’unica speranza che la Russia ha di superare la crisi in cui si è avventurata è mostrarsi unita e compatta. Sostituire Lapin con Surovikin ha significato disconoscere (senza dirlo, ovviamente) l’idea sballata della “operazione speciale” e riconoscere il ruolo degli eserciti semi-privati di Kadyrov e Prigozhin.

Riportare Lapin in primo piano manda ai falchi due altri messaggi. Il primo è: ok, ma non vi allargate troppo. Il secondo, non meno importante: qui comando ancora io.

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