video suggerito
video suggerito

Chi continua a rifornire di armi il Darfur?

Lo denuncia Amnesty International: Cina, Russia e Bielorussia sarebbero i principali responsabili del traffico di armi diretto verso il Darfur, la regione del Sudan devastata da un conflitto sanguinoso e cruento che va avanti dal 2003, sebbene attualmente viga una sorta di tregua, e che fino ad oggi ha fatto 400 000 vittime.
A cura di Nadia Vitali
10 CONDIVISIONI
Lo denuncia Amnesty International, Cina, Russia e Bielorussia sarebbero tra i principali responsabili del traffico di armi diretto verso il Darfur, la regione del Sudan devastata da un conflitto sanguinoso e cruento che va avanti dal 2003, sebbene attualmente viga una sorta di tregua, e che fino ad oggi ha fatto 400 000 vittime.

Questo mese ricorre il nono anno dall'inizio del conflitto nel Darfur e, mentre una tregua fittizia sembra aver momentaneamente placato, almeno, le coscienze della comunità internazionale, la guerra armata prosegue indisturbata in questa sventurata regione posta nella parte occidentale del Sudan. Dal febbraio del 2003 si contano all'incirca 400 000 morti, mentre solo nell'ultimo anno sono state 70 000 le persone costrette alla fuga a seguito dei violenti attacchi da parte delle forze armate e dell'esercito sudanese nei confronti dell'etnia Zaghawa, i cui membri sono vittime degli assalti delle milizie appoggiate dal Governo centrale. Il rapporto presentato da Amnesty International testimonia già nel suo titolo, Sudan, nessuna fine in vista per il conflitto in Darfur, come, a dispetto del silenzio mondiale, la situazione sia ancora di piena emergenza per questo angolo di Africa, mettendo in evidenza un dato ancora più allarmante: nonostante la presenza delle norme ONU che dovrebbero, quanto meno, garantire per scongiurare l'ingresso nel paese di armi da fuoco molto spesso utilizzate dai militari contro i civili, in Darfur la Cina e la Russia (ma non solo) continuano a fare ottimi affari con questo mortale commercio, aggirando la legge internazionale.

LA DENUNCIA DI AMNESTY INTERNATIONAL – Che la gran parte dei paesi economicamente sviluppati abbia da sempre finanziato conflitti in territori lontani, armando personalmente anche dittature sanguinarie, talvolta, non è un mistero: non fa eccezione l'Italia rea, tra le altre cose, di aver rifornito la Libia del rais Gheddafi di armi d'ogni tipo per un ammontare di oltre sei milioni di dollari. Ma la lista degli Stati responsabili di aver largamente contribuito a cruente rivolte o guerre civili di molte aree dell'Asia e dell'Africa, è incredibilmente lunga e ricca; tra questi, rispetto al Darfur, un posto di primo piano è occupato dalle due superpotenze che lucrano su quella che è una emergenza umanitaria che va avanti, ormai, da quasi un decennio. Dalla Cina sono giunte, principalmente, munizioni per le armi leggere che è stato possibile individuare grazie ai codici impressi su di esse, nei quali sono riportati anche gli anni di produzione (2006, 2008, 2010) a testimonianza del fatto che i trasferimenti verso il Sudan sono proseguiti anche dopo l'embargo ONU sulle armi; le Forze armate Sudanesi e le milizie sostenute dal Governo hanno fatto ricorso ad aerei d'attacco, Sukhoi Su-25, e da trasporto, Antonov «questi ultimi usati come rudimentali ma efficaci bombardieri», entrambi di fabbricazione russa. Russi sono anche gli elicotteri Mi-24 di cui 36 nuovi modelli sarebbero stati inviati nello stato africano tra il 2007 ed il 2009, assieme ai missili terra-aria utilizzati nel 2011 nel corso di una serie di raid in diverse aree del Sudan; dalla Bielorussia, infine, il Sudan importa veicoli blindati.

Fino a quando i governi non si metteranno d'accordo su un forte "Trattato sul commercio di armi", contenente norme specifiche sul rispetto dei diritti umani, gli embarghi delle Nazioni Unite continueranno a essere aggirati e milioni di persone continueranno a subire le conseguenze dei trasferimenti irresponsabili di armi, come nel caso del Darfur. (Brian Wood, esperto di Amnesty International su questioni militari e di polizia)

UNA GUERRA DIMENTICATA – Si parla spesso del Darfur come del teatro di un drammatico conflitto dimenticato e, in verità, il mondo intero, e quanti avevano il potere di mutare le sorti di quel lembo di terra d'Africa, portano su di sé la macchia di un colpevole silenzio che ha coperto, nel corso dei primi mesi, l'orribile «genocidio» (tale definizione, in verità è controversa) consumatosi a partire dal 2003. In quell'anno proprio un rapporto di Amnesty International portò per primo l'attenzione sulle atroci violazioni dei diritti umani che si stavano compiendo in Darfur, ma prima che i mezzi di comunicazione si decidessero a rendere partecipi ed informati tutti i cittadini del resto del pianeta, sarebbe ancora passato molto tempo; e, comunque, le notizie provenienti dal remoto brandello di Sudan sono state sempre piuttosto scarne. Del resto, una volta che la situazione divenne nota al di fuori dei confini nazionali sudanesi, poco è stato fatto per andare al di là delle lecite frasi di circostanza di ciascun singolo governatore degli Stati esteri: ma si sa che, in molti casi e per ragioni non sempre cristalline, gli indugi sull'eventualità di «esportare la democrazia» o, semplicemente, di porre fine ad un massacro, diventano ferocemente lunghi.

ALLE RADICI DI UN CONFLITTO – Individuare le cause di una guerra è quasi sempre un'impresa difficile, quando non disperata ed impossibile: in particolar modo per alcuni territori che vivono realtà lontanissime da quelle che siamo abituati a conoscere, non solo certamente nello spazio ma soprattutto nelle condizioni economico-sociali. In aree molto prossime al Darfur, del resto, sono attualmente in corso altri sanguinosi conflitti, come quello che sta seminando morte e distruzione nel Sud Sudan a proposito del quale è impensabile riuscire a stabilire quale delle parti abbia iniziato, aggredendo l'altra. Per quanto riguarda il Sudan, tuttavia, nel centralismo governativo che ha da sempre penalizzato le province più periferiche, come il Darfur, in favore delle zone poste lungo le sponde del Nilo che hanno ricevuto grossi investimenti esteri, e nella serie di eventi catastrofici naturali che funestarono il paese negli anni '80 rendendo l'accesso alle risorse primarie sempre più difficoltoso, non è difficile vedere tutti i presupposti per il crearsi di gravi tensioni, pronte a manifestarsi alla prima occasione.

Lo denuncia Amnesty International, Cina, Russia e Bielorussia sarebbero tra i principali responsabili del traffico di armi diretto verso il Darfur, la regione del Sudan devastata da un conflitto sanguinoso e cruento che va avanti dal 2003, sebbene attualmente viga una sorta di tregua, e che fino ad oggi ha fatto 400 000 vittime.
Il villaggio di Burunga distrutto dopo il passaggio dei Janjawid, 1° maggio 2004

I DEMONI A CAVALLO – Occasione che, come spesso accade, porta la maschera del conflitto etnico che contrappone i miliziani arabi delle tribù nomadi, i Janjawid (nome tradotto come «demoni a cavallo»), ai quali il Governo sudanese offre appoggio ed armi seppur non in veste ufficiale, ai gruppi etnici della regione dei Fur, degli Zaghawa, dei Masalit, principalmente agricoltori che vivevano in villaggi, parte dei quali è stata devastata negli anni scorsi. Attualmente in Darfur vige una tregua evidentemente solo annunciata: e, nel frattempo, continuano a giungere dalla Cina e dalla Russia munizioni e veicoli da guerra che finiscono tra le mani di assassini, stupratori, criminali feroci di una terra devastata in cui di tutto ci sarebbe bisogno, fatta eccezione per le armi.

10 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views