Che fine hanno fatto i negoziati di pace in Ucraina?
Dal 24 febbraio 2022, da quando la Russia ha invaso l'Ucraina, sono morti almeno 10 mila civili ucraini, oltre il 40% della popolazione ha bisogno di aiuti umanitari e milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case e vivono come rifugiati fuori dal loro Paese.
In questo momento la Russia avanza, la città di Avdiivka è caduta e l’esercito del Cremlino sta prendendo terreno nella regione di Zaporizhzhia. La controffensiva ucraina, dall’altro lato, non ha avuto i risultati sperati e dopo lo slancio iniziale si è arenata. Questo significa che la Russia sta vincendo?
No. O almeno, non possiamo dirlo con certezza. In questi due anni di guerra ci sono state fasi alterne, momenti in cui era in vantaggio la Russia e altri in cui sembrava stesse prevalendo l’Ucraina. Ma nessuna delle due parti è riuscita a imporsi definitivamente sull’altra. Nonostante una obiettiva superiorità militare della Russia, la blitzkrieg – la guerra lampo – che aveva in mente Vladimir Putin non è riuscita. L’Ucraina, sostenuta dall’Occidente che le assicura massicci aiuti economici e armi in quantità, ha resistito. E così, sul campo, nessuno riesce a imporsi.
Nessuno dei due, inoltre, riesce a sfibrare l’avversario sul piano economico. Fare la guerra costa e se non si ha modo di finanziarla non si può vincere: l’Ucraina, dalla sua parte, non ha solo i finanziamenti dall’Occidente che arrivano direttamente nelle sue casse, ma anche il sistema di sanzioni che Stati Uniti e i Paesi dell’Unione europea hanno imposto a Mosca, nel tentativo di soffocarla economicamente. Ma l’economia russa continua a crescere: le sanzioni non hanno funzionato. Un po’ perché sono state aggirate, un po’ perché la Russia si è rivolta ad altri mercati, alla Cina e all’India, per le sue esportazioni.
Lo stallo, però, piano piano sta logorando tutti quanti. In un contesto di questo tipo, che non è di interesse per nessuno, perché allora non si parla più di negoziati di pace?
Un tentativo di sedersi al tavolo era stato fatto subito dopo l’invasione. Era il 28 febbraio del 2022, pochi giorni dopo l’inizio degli attacchi russi: i rappresentanti di Mosca e di Kiev si trovarono faccia a faccia a Gomel, in Bielorussia, e provarono a trattare per circa un mese. Ma poi i negoziati furono interrotti.
Sia la Russia che l’Ucraina ponevano delle premesse agli antipodi. Per l’Ucraina si poteva parlare di pace solo se la Russia si fosse presa la responsabilità per le atrocità commesse in guerra, se si fosse ritirata da tutti i territori occupati – compresa la Crimea che aveva annesso nel 2014 – e se avesse acconsentito al pagamento delle riparazioni. Ovviamente sono ragioni legittime: l’Ucraina è una nazione sovrano che ha subito un’aggressione, di una brutalità incredibile come ci hanno purtroppo dimostrato le immagini da Bucha.
Ma la Russia si diceva disposta a negoziare solo se l’Ucraina avesse riconosciuto l’annessione – illegale – della Crimea, fosse rimasta permanentemente neutrale – rinunciando quindi alle aspirazioni di adesione alla Nato – e avesse concesso l’autonomia alle regioni etnicamente russe, come il Donbass.
Con questi presupposti, chiaramente i negoziati non andarono da nessuna parte. Ripresero brevemente a marzo 2023, con la mediazione della Turchia. Inizialmente sembrava che si fossero fatti dei concreti passi avanti e si arrivò addirittura a una bozza di accordo. Questa prevedeva la neutralità dell’Ucraina – con alcune garanzie di sicurezza, ma al di fuori della Nato – l’inizio di consultazioni a lungo termine sullo status della Crimea e la drastica riduzione delle attività militari russe attorno a Kiev, in modo da creare terreno fertile per ulteriori negoziati.
Anche in questo caso, però, le trattative si sono concluse in un nulla di fatto. Da quel momento non ci sono più stati incontri bilaterali. E non c’è nemmeno la prospettiva perché riprendano ora. La Russia è in una fase militarmente favorevole e per questo ha meno interesse a sedersi al tavolo. L’Ucraina, a quelle condizioni, non ha alcuna intenzione di trattare. Giustamente.
E quindi ora che succede? È difficile prevederlo.
Secondo alcuni analisti, nel caso in cui Donald Trump vincesse le presidenziali statunitensi il sostegno di Washington a Kiev molto probabilmente si ridurrà, e non di poco. L’Europa potrebbe trovarsi da sola a sostenerla, con tutte le conseguenze che anche questo avrebbe all’interno della Nato. Oppure l’Occidente potrebbe decidere di rinvigorire in primavera la controffensiva, nel tentativo di porre fine a un conflitto che continua a destabilizzare il mondo intero e a pesare sull’economia globale, ad alimentare fratture e divisioni geopolitiche, ad aggravare la crisi umanitaria in Ucraina e a mietere vittime innocenti.
Tutto questo deve finire. Ma non può finire con un’ingiustizia. Serve creare un nuovo spazio per i negoziati, in cui parlare di garanzie di sicurezza e di status quo futuri, ma mettendo sul tavolo una pace giusta. Stanchezza ed esasperazione non possono far perdere di vista cosa è legittimo e cosa non lo è. In questo terzo anno di guerra non ce ne possiamo dimenticare.