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Charlie Hebdo dieci anni dopo, perché oggi anche l’Italia rischia attentati come quelli francesi: l’analisi

Il 7 gennaio 2015 a Parigi l’attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo. A dieci anni dall’attacco Fanpage.it ha intervistato Claudio Bertolotti, direttore di START InSight e ricercatore associato ISPI, per parlare dell’impatto che l’evento ha avuto sull’Europa, sull’Italia e sulla lotta al terrorismo.
Intervista a Claudio Bertolotti
Direttore di START InSight, docente e ricercatore associato ISPI.
A cura di Eleonora Panseri
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Il 7 gennaio 2015, intorno alle 11.30 del mattino, due terroristi armati di AK-47 fecero irruzione negli uffici del giornale satirico francese Charlie Hebdo dichiarandosi affiliati di Al-Qaeda. I due aprirono il fuoco contro i dipendenti, nell'attacco morirono 12 persone.

Per capire qual è stato l'impatto del drammatico evento sull'Europa e sull'Italia e cosa è cambiato in questi 10 anni nella lotta al terrorismo Fanpage.it ha intervistato Claudio Bertolotti, direttore di START InSight e docente e ricercatore associato ISPI.

Dottor Bertolotti, cosa ha rappresentato per l'Europa l'attacco a Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015?

L'attentato a Charlie Hebdo possiamo definirlo lo spartiacque del terrorismo in Europa perché è il momento in cui in uno stesso evento si concentrano le volontà di violenza di due gruppi terroristici, Al-Qaeda e lo Stato Islamico (Isis).

Al primo erano affiliati i due attentatori che hanno colpito la redazione del giornale, al secondo il terzo attentatore che colpì un negozio ebraico. Il 2015 è l'anno in cui le due organizzazioni entrano in conflitto tra loro e lo Stato islamico si impone nel panorama della galassia terroristica a livello globale.

È uno spartiacque anche per un altro motivo: per la prima volta l'attacco impone tattiche e procedure di combattimento acquisite in teatri operativi, come poteva essere la Siria allora, e l'utilizzo di armi da guerra, fucili d'assalto di tipo Kalashnikov. In più, i due soggetti non erano martiri, non volevano morire nell'azione, ma proseguire la loro attività nel tempo.

Da qui tutta la fuga e l'espatrio di alcuni loro complici in Siria. L'attacco è l'evento che si colloca all'inizio del momento della massima intensità del terrorismo in Europa, dopo ci sono gli eventi di Bruxelles, Nizza, Berlino. Il terrorismo si è poi imposto in Europa con numeri elevati, più o meno fino al 2018, quando lo Stato Islamico come entità territoriale viene sconfitto.

Dopo è iniziata  una trasformazione del terrorismo che da organizzato è diventato disorganizzato. Oggi non è più strutturato su cellule o nuclei ma individuale, spesso anche emulativo o in risposta a un appello o uno stimolo che arriva dall'esterno.

Quali sono state le conseguenze di questa trasformazione?

Il terrorismo si è trasformato adattandosi e diventando sempre più difficile da contrastare. Non essendo più organizzato, non dà più la possibilità di andare a intercettare le comunicazioni tra i diversi terroristi o tra i terroristi e le organizzazioni. Il problema è anche legato all'acquisizione delle armi, che non sono più fucili o bombe a mano, ma coltelli e veicoli, come abbiamo, per esempio, visto a Magdeburgo.

Oggi agiscono individui che non fanno parte dell'organizzazione ma che ambiscono a essere riconosciuti come soldati. Solamente quando compiono un attentato e questo ottiene un risultato vi è il riconoscimento dell'organizzazione centrale. Lo Stato Islamico o Isis, come l'abbiamo conosciuto fino al 2014, riconosce infatti come soldati solo quelli che ottengono il successo, l'uccisione del nemico.

L'attenzione ora è più alta rispetto al 2015?

Sì, l'attenzione oggi è più alta. L'attentato a Charlie Hebdo rappresenta uno spartiacque anche da un punto di vista legislativo. Dal 2015 ci si è resi conto della necessità di una revisione degli strumenti legislativi e operativi. Gli organi di intelligence e di polizia hanno ristrutturato la loro capacità di intervento in termini di contrasto e la stessa cosa è stata fatta a livello legislativo.

L'Unione Europea ha cambiato la definizione di "terrorismo" che in modo lungimirante non si limita al manifesto politico ma guarda ai suoi effetti da un punto di vista pratico. A partire dal 2015 c'è stata questa riorganizzazione che è riuscita ad agire abbastanza efficacemente contro il terrorismo organizzato.

Il problema però è che in questi 10 anni anche il terrorismo si è riadattato per cui gli stessi strumenti non sono più adeguati a prevenirlo. È necessaria una revisione che vada a incidere su quelli che sono i primi segnali d'allarme. Quindi, non solo strumenti che contrastino il terrorismo di soggetti già radicalizzati ma anche che prevengano il processo di radicalizzazione.

In questi 10 anni sono aumentati gli strumenti attraverso cui si diffonde la radicalizzazione. 

Purtroppo sì, il proliferare di piattaforme web e social network ha influito. Esistono portali che consentono di non lasciare tracce e quindi sono difficilmente intercettabili dagli organi di intelligence. E non dobbiamo dimenticare il dark web che di fatto consente un accesso estremamente sicuro a tutti quegli individui che intendono rimanere nell'ombra.

In Italia cosa si è fatto in questo senso?

Il nostro Paese è il più indietro in tutta Europa perché per ben due legislature, la XVII e la XVIII, non è riuscito ad approvare una legge, passata alla Camera ma non al Senato, per fornire gli strumenti adeguati a enti come, per esempio, servizi sociali e scuole. Tutto questo è venuto meno perché la legge, per ben due occasioni, non è stata votata.

Qual è il rischio per il nostro Paese?

Tolta Francia, Germania e Regno Unito, che sono i Paesi più colpiti dal terrorismo, anche per una questione di presenza di soggetti radicalizzati all'interno di comunità più ampie, l'Italia rientra tra quegli Stati dove la soglia di attenzione è alta.

Due però sono le differenze del nostro Paese rispetto agli altri. Oggi la seconda generazione in Italia è entrata nella fase adolescenziale, caratterizzata da maggiore vulnerabilità al processo di radicalizzazione. Per cui da adesso in poi potremmo trovarci in una situazione simile a quella francese, dove una componente giovanile potrebbe aderire a forme di radicalizzazione violenta.

Bisogna inoltre smentire l'idea che l'Italia non sia stata colpita. Dal 2004 a oggi si contano circa nove episodi di terrorismo, con eventi che si sono concentrati proprio a partire dal 2015. La differenza è che in Italia nessun attentato ha ottenuto un successo, quindi l'uccisione di un obiettivo. Ferimenti e danneggiamenti sì, ma non ha provocato morti.

Questo ha portato una limitata attenzione mediatica che ha indotto l'opinione pubblica a fare le proprie valutazione. In questo quadro la prevenzione è fondamentale, il problema è che la maggior parte degli istituti giuridici utilizzati in Europa fino a oggi hanno dato scarsi risultati.

Il timore è che qualunque strumento potrebbe dare un contributo ma senza di per sé risolvere il problema. Quindi, in un certo senso dobbiamo convivere con l'idea di una violenza che, con un'opera di contrasto, dovremmo riuscire a contenere, almeno nella sua manifestazione più evidente, cioè l'atto violento.

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