Cecilia, studentessa italiana volontaria in Siria: “Qui è il caos, la Turchia attacca pure le dighe”
“Quando l’attacco è iniziato la popolazione è stata colta di sorpresa. In molti cercano di scappare, ma altri si fermano per imbracciare le armi. Quello che si prospetta è un genocidio ai danni del popolo curdo”. A parlare è Cecilia S., studentessa di medicina all'Università di Firenze. Da tre mesi, la ragazza di 23 anni si trova nel Rojava, la Federazione Democratica della Siria del Nord amministrata dai curdi. Lavora come coordinatrice sanitaria per Heyva Sor a Kurd, un’organizzazione locale che dal 2012 è impegnata nella ricostruzione del sistema sanitario insieme ai comitati della salute cittadini. La volontaria italiana si trova a Qamishlo, città siriana sulla frontiera con la Turchia, da ieri sotto attacco. Fanpage.it ha intervistato Cecilia per capire cosa sta succedendo sul terreno.
Qual è la situazione in questo momento?
"Attualmente continuano gli attacchi su Gire Spi, Derbesiye, Sere Kaniye, Ain Issa (dove è situato un campo profughi che accoglie circa 20.000 persone) e nella zona di Kadurbah a Qamishlo. Sono arrivati i primi rapporti e i morti, fra i civili, sono già 4, ancora non è chiaro il numero dei feriti e dei militari. (Le vittime, nel frattempo, sono salite a cinque, tra cui due bambini, ndr)".
Quali sono state le prime reazioni tra gli abitanti?
"Quando sono iniziati i primi bombardamenti, l’evacuazione dei civili nelle città di Sere Kaniye e Gire Spî era appena cominciata. Per le strade di diverse città del Rojava si sono riversati gli abitanti in grandi manifestazioni contro l’attacco. A Qamishlo c’erano gruppi di persone attorno alle radio delle macchine ad ascoltare le notizie, finché non si sono sentiti i primi boati anche qui".
Quali sono le necessità più importanti per la popolazione?
"È presto per dirlo, ovviamente con l’inizio del conflitto le Ong presenti nei campi profughi stanno già evacuando, quindi le risorse caleranno drasticamente e la crisi umanitaria si farà ancora più drammatica. Erdogan sta attaccando anche la diga vicino Derik, che attualmente fornisce acqua potabile a 2 milioni di persone. Dopo otto anni di guerra, il Rojava stava finalmente attraversando un periodo di pace che ha consentito agli abitanti di ricostruire le proprie vite e il loro progetto democratico, ora di nuovo è tutto a rischio. La popolazione vuole la sua libertà e la sua indipendenza, la possibilità di vivere in pace con un sistema democratico che loro stessi hanno scelto e lottato per costruire. Hanno bisogno del supporto internazionale, della vicinanza di tutte e tutti noi per fermare questo attacco".
Come intendono reagire i curdi all'avanzata dell’esercito turco?
"Le forze curde e arabe riunite non si arrenderanno a questo attacco, non lasceranno terreno alla Turchia senza combattere fino alla fine. È quello che hanno fatto sempre, e continueranno a difendere la loro libertà e indipendenza. Stanno cercando soluzioni diplomatiche, appellandosi alle forze internazionali per limitare e fermare lo scontro armato, e hanno già dato prova in queste ore di contenere le controffensive nell'ottica di una risoluzione pacifica, ma non lasceranno accadere un’altra Afrin, non si sottometteranno al regime di terrore che li aspetta dopo un eventuale controllo turco".
Credi che l’invasione turca avrà delle ripercussioni sul modello di amministrazione del Rojava?
"Sicuramente. L’invasione turca significa la distruzione del progetto confederale, prima fra tutti la parità di genere visto ciò che accade in Turchia. Ma non solo, tutto il sistema in atto basato sulla partecipazione diretta del popolo alla vita politica e sociale andrà in fumo, le sperimentazioni di sviluppo ecologico e sostenibile, le università e la ricerca culturale, l’integrazione fra i popoli. Basti pensare che dopo l’occupazione turca l'università di Afrin è stata trasformata in un ristorante. Questo modello sociale non potrà vivere sotto l’occupazione turca. E, come dicevo, quello che si prospetta è un genocidio, considerando che l’esercito turco è il secondo più forte all'interno della Nato".
I curdi siriani si sentono traditi dalla comunità internazionale?
"Penso si sentano abbandonati, di certo non sorpresi dal comportamento americano che non è mai stato un vero alleato, seguendo interessi di geopolitica. Dopo anni di lotta all'Isis, la comunità internazionale ha permesso, nel silenzio generale, che l’anno scorso venisse presa Afrin dallo Stato turco. Ed ora, il fatto che lascino la possibilità ad Erdogan di invadere la zona, equivale ad autorizzare un genocidio, e ci si chiede come sia possibile che i governi non prendano una posizione netta".
Perché hai deciso di partire per il Rojava?
"Ho sentito per la prima volta parlare di questi luoghi durante la resistenza di Kobane, quando uomini e donne delle Ypg e Ypj (Unità di Protezione Popolare e Unità di Difesa delle Donne, ndr) hanno combattuto lo Stato islamico. Sono partita con l’intento di vedere con i miei occhi e partecipare attivamente al modello sociale costruito qui. Mi sono riconosciuta subito nel progetto del confederalismo democratico e con gli ideali della rivoluzione curda: donna, ecologia, autodeterminazione. Dopo la caduta di Afrin e la morte di Lorenzo (Lorenzo Orsetti, volontario italiano delle Ypg, ucciso dall'Isis il 18 marzo 2019, ndr) non ho più potuto aspettare e sono venuta qui".
Hai timore per la tua sicurezza?
Sicuramente ho paura, sarei una pazza a non averne, soprattutto per come le cose stanno evolvendo velocemente ed in modo imprevedibile. Non ci aspettavamo un attacco così veloce. Ma io ho la possibilità di mettermi in salvo, mi preoccupano di più le centinaia di migliaia di uomini e donne del Rojava la cui vita è in pericolo.