Cecchini Isis sparano su famiglia in fuga: Sara, 5 anni, uccisa tra le braccia del nonno
Aumentano giorno dopo giorno i civili che scappano dalla parte occidentale di Mosul ancora in mano agli estremisti del sedicente Stato islamico. Molti dei profughi cercano rifugio nel campo organizzato dall'Organizzazione mondiale per le Migrazioni (Iom) nella pista di atterraggio della base aerea di Qayyara, a 60 chilometri a sud di Mosul. Le loro storie sono drammatiche come gli oltre due anni trascorsi sotto l’occupazione del Califfato. I jihadisti dell’Isis hanno cercato in tutti i modi di impedire l’esodo dei civili e tantissimi iracheni hanno perso tutto nel tentativo di abbondare la città: la loro casa, i loro beni e, soprattutto, le persone a loro più care.
All'ospedale da campo allestito dall’Iom a Hamman al-Alil, a sud di Mosul, Abdullah non si dà pace. Continua a piangere e a tenere stretta una body bag, le borse in cui vengono riposti i cadaveri. Quando la apre compare il corpo senza vita di sua nipote, Sara Alaa, una bambina di soli cinque anni. All'alba del 23 marzo dal quartiere di al-Jadeeda, nella periferia sud-ovest di Mosul, Abdullah, assieme alla moglie, stava cercando di portare in salvo oltre alla piccola Sara, altri sette familiari, tra cui anche due donne non vedenti.
Nel tentativo di mettersi in salvo, il gruppo iniziò a correre ma, ad un tratto, un cecchino dell’Isis cominciò fare fuoco su di loro. “Abbiamo avuto paura – ha raccontato l’uomo – e siamo subito tornati indietro”. “Nella fuga le due donne cieche sono cadute e abbiamo cercato di metterle in salvo in una casa vicina”, ha continuato Salah, uno dei nipoti riuscito a scappare assieme al nonno. In quel momento, un altro miliziano dello Stato islamico iniziò a sparare con una mitragliatrice per impedirgli di scappare. Abdullah, d’istinto, prese in braccio la piccola Sara per cercare di proteggerla dai proiettili. Nonostante il suo gesto coraggioso, una pallottola attraversò il corpo della bambina, vicino al cuore. Un altro colpo ferì Abdullah allo stomaco. Nella disperazione di quei momenti concitati, Sara, Abdullah e Salah riuscirono a salire in un’auto e raggiungere l’ospedale dell'Iom e della Mezza luna rossa. “Quando Sara è arrivata era già morta”, ha spiegato il medico che ha cercato di salvarle la vita quella mattina. La madre della piccola è riuscita a fuggire lo stesso giorno senza sapere della tragica fine della figlia. “Non ho potuto dirglielo per telefono”, ha detto il nonno tra le lacrime.
Anche il futuro di Ali, un bimbo di sette anni, è segnato per sempre. Giace dolorante nel letto dell’ospedale dopo che due giorni fa gli è stato amputato il piede sinistro. “Fate silenzio – implorano le due zie che lo assistono – non sa ancora di aver perso il piede”. Ma non sono solo i cecchini e le bombe dell’Isis a mettere in pericolo la vita dei civili che cercano di fuggire da Mosul. La mancanza di medicinali è stata fatale per Umm Omar, un’anziana donna sofferente di diabete. Senza insulina né la possibilità di ricevere adeguate cure mediche, le sue due gambe sono andate in cancrena e i medici dell’ospedale da campo dell'Iom sono stati costretti ad amputargliele sotto il ginocchio.
Dal 25 febbraio – giorno in cui i primi gruppi di persone sono riuscite ad abbandonare la città – l’ONU ha calcolato che sono quasi trecentomila gli iracheni scappati da Mosul. Ma nella parte ovest ancora sotto il controllo degli uomini dello Stato islamico rimangono almeno seicentomila civili, quattrocentomila quelli intrappolati nella Città vecchia, sotto assedio da parte dell’esercito iracheno. Tutti i sopravvissuti scampati alla barbarie jihadista raccontano la stessa cosa: gli estremisti dell’Isis sta sparando deliberatamente su tutti quelli che cercano di fuggire, siano uomini, donne, bambini o anziani. Tuttavia, in molti preferiscono cercare lo stesso la fuga.
Il numero di morti per la liberazione della città irachena è aumentato drammaticamente nelle ultime settimane. Gli abitanti di Mosul ovest, infatti, si trovano tra due fuochi: al pericolo di venire uccisi dall'artiglieria irachena o dai raid aerei della coalizione a guida Usa – come accaduto venerdì scorso in un bombardamento americano dove sono rimaste uccise oltre duecento persone – si aggiunge la minaccia degli uomini del Califfato che, nel loro tentativo di resistere ad oltranza, non si fanno scrupoli di usare i civili come scudi umani.
E della sorte dei profughi di Mosul si è pronunciato oggi anche Papa Francesco. "Il mio pensiero – ha detto il Pontefice durante l’udienza generale – va alle popolazioni civili intrappolate nei quartieri occidentali di Mosul e agli sfollati per causa della guerra, ai quali mi sento unito nella sofferenza, attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale". Nel suo appello, il Papa ha espresso profondo dolore per le vittime del sanguinoso conflitto, ricordando a tutte le parti "l’obbligo imperativo ed urgente" nella protezione dei civili.