Caso Regeni, testimoni: “I presunti rapinatori uccisi a sangue freddo”
Nessuno scontro a fuoco, ma un vero e proprio agguato della polizia. Così sarebbero stati uccisi al Cairo i rapinatori accusati di aver rubato i documenti del ricercatore italiano Giulio Regeni, almeno stando alle ultime rivelazioni che due testimoni (in anonimato per paura di ritorsioni) hanno fatto all’Associated Press. La banda di rapinatori, secondo i testimoni, sarebbe stata uccisa “a sangue freddo”. I testimoni hanno precisato che i cinque uomini uccisi non erano armati e che sette veicoli della polizia accerchiarono il minibus su cui viaggiavano e iniziarono a sparare. L'uccisione sarebbe avvenuta verso le sei del mattino: mentre la polizia crivellava di colpi il veicolo alcuni uomini sono saltati fuori dal mezzo e hanno cominciato a correre per essere poi uccisi “a sangue freddo”, secondo uno dei testimoni. Poi la polizia avrebbe confiscato le riprese di videocamere di sorveglianza di case vicine e i corpi delle vittime sarebbero stati lasciati sulla strada per circa dieci ore.
L’Egitto aveva parlato di uno “scontro a fuoco” – Il ministero dell'Interno egiziano, dando conto delle cinque uccisioni avvenute lo scorso marzo, parlò di uno “scontro a fuoco” in cui però le forze dell'ordine avevano lamentato solo danni a proprie vetture. Ma l’ultima testimonianza conferma in realtà quanto già detto da Rasha Tarek, la figlia del cosiddetto “capo” della banda, che ha poi ribadito in maniera più diretta le proprie accuse al governo: “Accuso il ministero dell'Interno di tentare di coprire le proprie malefatte uccidendo la mia famiglia”, ha detto parlando del delitto Regeni. Tra l'altro, il giorno del rapimento di Giulio, tre dei presunti rapinatori erano lontani da Il Cairo. Secondo i figli di Tarek Saad i tre si sarebbero trovati sul delta del Nilo, nel governatorato di Sharqiyya, una località distante quasi tre ore dal luogo dove la sera del 25 gennaio è scomparso Regeni.