Regeni, stampa egiziana: “Ucciso da agenti dei Fratelli musulmani”. Ma procura smentisce
Update 11:00 – Ahmed Naji, procuratore egiziano di Giza, ha smentito all'agenzia "Nova" le notizie riportate da alcuni media locali riguardanti possibili legami tra gli apparati di sicurezza dei Fratelli musulmani egiziani e il caso Regeni. "Al momento ci stiamo concentrando sull'analisi dei suoi spostamenti e delle sue frequentazioni, questo perchè non sappiamo ancora dove sia andato dopo essere uscito di casa il 25 gennaio scorso", ha spiegato il procuratore.
Per la procura di Giza Giulio Regeni, il dottorando morto in Egitto vittima di atroci torture, "sarebbe stato ucciso da agenti segreti sotto copertura, molto probabilmente appartenenti alla confraternita terrorista dei Fratelli musulmani, per imbarazzare il governo egiziano". A riportare l'ipotesi è il quotidiano filo-governativo egiziano Al Youm 7 online. L'organo di informazione cita fonti vicine alla procura, secondo cui "il procuratore egiziano e la sua controparte italiana stanno raccogliendo tutti gli elementi possibili per individuare l’autore del crimine". In particolare, per il sito egiziano "la procura di Giza sud, guidata dal presidente Ahmed Naji, sta portando avanti gli sforzi per svelare i misteri e le circostanze"di Giulio Regeni. Sarebbero stati raccolti "importanti indizi dopo aver ricevuto il rapporto medico e un resoconto dalle chiamate in entrata e uscita". Il quotidiano riferisce poi di "stretti contatti" tra il team d'indagine italiano e l'ufficio del procuratore generale, per "aggiornarsi sugli ultimi sviluppi dell’indagine"e mettere a confronto i risultati.
Ieri il direttore dell’Aise, Alberto Manenti, è stato sentito dal Copasir. Al termine dell'audizione, il presidente del comitato parlamentare Giacomo Stucchi ha detto che si aspetta "di capire che tipo di collaborazione possa arrivare dall’Egitto sulla vicenda Regeni". "Stiamo facendo pressioni – ha aggiunto – per far sì che ci sia dialogo tra polizia locale, la loro autorità giudiziaria e i nostri uomini che sono lì, i Ros e la polizia". Stucchi ha dichiarato che in Egitto la situazione "è ingarbugliata e che sono stati fatti errori incredibili", come la "mancanza di dialogo tra le loro forze in campo", coordinate "in modo diverso da come avviene da noi". In audizione Manenti ha confermato che Regeni non aveva "alcuna collaborazione con le nostre agenzie di intelligence". Il capo degli 007 ha ricostruito giorno per giorno, anzi ora per ora, la cronologia degli avvenimenti" ripercorrendo "quanto accaduto dal momento della scomparsa di Regeni a quello del ritrovamento del corpo, nonché i contatti e le informazioni avute dall’ambasciata italiana e dai servizi". Sul fatto che lo stesso direttore dell’Aise fosse in Egitto proprio in quelle ore, Stucchi ha confermato che quel viaggio era in agenda da prima che scoppiasse il caso; mentre sulla possibilità che le ricerche che lo studente 28enne stava conducendo siano state utilizzate da altri, Stucchi ha parlato di "illazioni": "Del resto tutti quelli che scrivono report su Paesi in cui ci sono situazioni tanto delicate possono attirare l’attenzione di tanti soggetti, anche di servizi. Ma si tratta in ogni caso di fonti aperte, non classificate, reperibili facilmente su internet".
Intanto da Amnesty international è partita la campagna "Verità per Giulio Regeni". Si tratta di uno striscione "da mettere ovunque": enti locali, comuni italiani, università, luoghi di cultura. "Chiediamo a loro di esprorre questo striscione, o comunque un simbolo che chieda a tutti l’impegno per avere la verità sulla morte di Giulio", si legge. La campagna – in collaborazione con Repubblica – serve a "non permettere che l’omicidio del giovane ricercatore italiano finisca nell'oblìo, catalogato tra le tante ‘inchieste in corso' o peggio, collocato nel passato da una ‘versione ufficiale' del governo del Cairo. Deve essere respinto qualsiasi esito distante da una verità accertata e riconosciuta in modo indipendente, da raggiungere anche col prezioso contributo delle donne e degli uomini che in Egitto provano ancora a occuparsi di diritti umani, nonostante la forte repressione".