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Caso Indi Gregory, i medici hanno staccato le macchine che tengono in vita la bambina

I sanitari del Queen’s Medical Centre di Nottingham hanno scollegato i principali dispositivi che tenevano in vita Indi Gregory, la bimba inglese di 8 mesi affetta da una patologia mitocondriale incurabile finita al centro di una dura battaglia legale e politica a cavallo tra Regno Unito e Italia.
A cura di Davide Falcioni
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I medici del Queen's Medical Centre di Nottingham hanno effettuato il distacco dei principali dispositivi che tenevano in vita Indi Gregory, la bambina inglese di 8 mesi affetta da una patologia mitocondriale incurabile finita al centro di una dura battaglia legale e politica a cavallo tra Regno Unito e Italia. Ieri i sanitari del nosocomio in cui la bimba era ricoverata hanno interrotto la ventilazione assistita e collegato la piccola a strumenti alternativi che dovrebbero garantirle di non soffrire, mentre è in corso la somministrazione di famaci palliativi incaricati d'accompagnarla "gradualmente" verso la morte. I medici hanno eseguito la delicata operazione scortati dalla polizia, come imposto dalle corti del Regno Unito.

La strenua opposizione dei genitori, Dean Gregory e Claire Staniforth, si è dunque rivelata inutile. Giudici e medici d'Oltremanica hanno deciso di staccare i supporti vitali ritenendo che si tratti della soluzione meno crudele e dolorosa possibile, per quanto tragica, da adottare "nel miglior interesse" della bambina. L'epilogo che resta ora sospeso fino a quando il cuore di Indi non smetterà di battere. Potrebbero volerci poche ore come alcuni giorni.  In un tweet l'avvocato Simone Pillon, del team legale della famiglia Gregory, ieri sera ha riferito che Indi Gregory "per il momento è sopravvissuta all'estubazione e respira con la mascherina. Il protocollo prevede che la fornitura di ossigeno sia a tempo determinato. Prevede anche la sospensione delle cure e il divieto di rianimazione in caso di crisi”.

La vicenda ha sollevato polemiche, dubbi etici e accuse incrociate tra Italia e Regno Unito. Dal fronte italiano continuano a farsi sentire gli attivisti che hanno appoggiato e promosso strenuamente la battaglia della famiglia – insieme a un team di avvocati e ad associazioni pro life cristiane inglesi – in favore di un prolungamento dell'assistenza e poi dell'opzione del trasferimento all'ospedale Bambino Gesù. Ma anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è spesa in prima persona negli ultimi giorni per assicurare la concessione lampo della cittadinanza italiana a Indi (come fatto invano 5 anni fa anche per Alfie) e tentare poi tutta una serie di passi successivi. Fino all'appello senza precedenti al ministro della Giustizia della governo Tory di Rishi Sunak, Alex Chalk, a "sensibilizzare" la magistratura per provare a indurla a cedere la giurisdizione sul dossier all'Italia, sulla base d'un'interpretazione ampia della Convenzione dell'Aia del '96 in materia di cooperazione giudiziaria internazionale.

La decisione dei giudici della Corte d'Appello di Londra non ha lasciato però nessuna speranza a Indi, definendo "la tattica legale" dei Gregory come frutto di "una manipolazione" degli attivisti pro life; nel dispositivo del giudice relatore Peter Jackson viene però anche stigmatizzato "l'intervento delle autorità italiane" alla stregua di "un fraintendimento totale dello spirito della Convenzione dell'Aia". La Corte ha quindi avallato "le forti evidenze" a sostegno della prognosi dei medici di Nottingham, legata a un'assenza ormai definitiva di "interazioni" da parte di Indi e ai segnali di una sua "significativa sofferenza" causata dai trattamenti "invasivi".

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