“Non abbiamo mai visto niente del genere”. Che abbiano venti, cinquanta, ottant’anni, gli abitanti di Schuld, un villaggio di 660 abitanti sulle rive del torrente Ahr, nel nord ovest della Germania, dicono tutti la stessa cosa. Che non avevano mai visto, nella loro vita, una pioggia così torrenziale in grado di distruggere letteralmente il loro paese e di portarsi via in un solo colpo 17 persone.
Schuld – che ironia tragica della sorte in tedesco vuol dire “colpa” – è l’epicentro della violentissima bufera che ha colpito le regioni tedesche al confine col Belgio e l’Olanda, tra il Reno e la Mosa, e che hanno causato, in poche ore, quasi 70 morti, migliaia di dispersi, decine di migliaia di sfollati che hanno perso l’auto, la casa, tutto. Sembrano scenari da monsoni del sud est asiatico, da baraccopoli centro-sud americane. E invece no: è quel che è successo nel Nord Reno Westfalia, il lander più ricco di tutta la Germania, la regione più ricca di tutta l’Europa, con un prodotto interno lordo da quasi 700 miliardi di euro, 37 delle prime 100 aziende tedesche, undicimila società straniere.
La “terra del carbone e dell’acciaio”: così viene spesso definita questa terra. Ed è per queste risorse, che Germania e Francia se la sono contesa per decenni. Così come, allo stesso modo, è con un patto proprio su queste due materie prime che è nata la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, il primo vero embrione dell’Unione Europea, nel 1951. E nella notte tra il 14 e il 15 luglio, queste terre potrebbero essere diventato il teatro di una nuova rivoluzione: quella in cui Germania, Europa, Occidente finalmente aprono gli occhi di fronte all'evidenza che è il mondo del carbone e dell'acciaio che ci ha portato qua. E che quel che mondo va mandato in soffitta quanto prima.
“Ci troveremo di fronte a tali eventi più e più volte, e ciò significa che dobbiamo accelerare le misure di protezione del clima”, ha dichiarato ieri Armin Laschet, cancelliere del lander, presidente della Cdu e primo candidato a sostituire Angela Merkel alle prossime elezioni politiche tedesche, che si terranno il prossimo 26 settembre, tallonato proprio dalla leader dei verdi Annalena Baerbock. E proprio la catastrofe ambientale di queste ore potrebbe essere un problema per Laschet, che fino a oggi era stato molto criticato per il suo atteggiamento eccessivamente timido verso la rivoluzione ambientale tedesca, quella che – stando ai piani – dovrebbe portare il Paese a emissioni zero entro il 2045, cinque anni prima di quel 2050 considerato data limite dall’Unione Europea.
Oggi nemmeno lui può più permettersi di chiudere gli occhi e di avere reticenze. E non possono più farlo nemmeno gli altri Paesi europei, quelli che facevano spallucce mentre i monsoni erano dall’altra parte del mondo, o mentre gli incendi devastavano la costa ovest americana, mentre gli effetti del cambiamento climatico erano lontani da noi.
Oggi no, non lo sono più: perché in Germania pare pioverà tantissimo ancora per giorni. E poi quell’area di bassa pressione capace di scatenare un evento climatico estremo come questo, scenderà verso la Svizzera, e poi chissà. Se nel lander più ricco della Germania ha fatto tutti quei danni, immaginate cosa può succedere se una simile bufera si abbattesse su Milano, dove il Seveso o i fiumi tombinati esondano anche per una pioggerellina. O nelle città liguri dove si è costruito ovunque, in spregio a ogni prudenza idrogeologica. O ovunque, da Trieste in giù, visto che stando ai dati è a rischio idrogeologico – anche grazie alla piaga dell’abusivismo edilizio – il 91% dei comuni italiani.
“Il cambiamento climatico non è confinato a un solo Stato”, ha detto ancora Laschet, e forse questa frasetta dovremmo stamparcela bene in testa, perché non c’è niente che definisca meglio la nuova normalità in cui siamo. Così come per il Covid, anzi peggio, nemmeno il Paese più virtuoso del mondo, com’è oggi la Germania, può essere al riparo se non fanno tutti la loro parte. Ed è solo una questione di tempo prima che un disastro del genere non succeda anche da noi.
È difficile si possa evitare, per non dire impossibile. Forse però potremmo provare a risparmiarne di molto peggio ai nostri figli, se cominciassimo davvero da ora a fare tutti la nostra parte per tagliare le emissioni e abbassare la temperatura del pianeta. E se lo facessimo tutti assieme, in uno sforzo davvero globale che a vent’anni dal G8 di Genova sarebbe davvero il miglior secondo tempo possibile dell’era della globalizzazione, quello della cooperazione internazionale sul clima. Sembra assurdo dirlo in pandemia, ma non c’è emergenza più grande che ci tocchi affrontare, qui e ora. Ricordiamocelo sempre.