Alla faccia dei “gufi” (quelli veri) di tutta Europa, alla faccia dei capi di stato “facce grigie e parole in burocratese”, alla faccia dell'informazione manipolata e criminale che fino all'ultimo ha spacciato una vittoria già affermata per una scommessa, alla faccia dei sondaggi falsi e falsati, in Grecia ha vinto il no. E ora? Che succederà? La Grecia non pagherà i debiti? Uscirà dall'Europa? Conierà moneta propria? Non possiamo saperlo. Ecco cosa sappiamo: domani in Grecia non chiuderanno ospedali, non saranno tagliati le pensioni, gli stipendi, le spese per il welfare. O almeno non per mano del governo greco.
I greci hanno detto “oxi”, no all'austerità, no alla fame in nome dei conti in ordine, no ai piani lacrime e sangue in nome della stabilità di un sistema fondato sulla disuguaglianza. Ora sentirete parlare di un referendum basato sul nulla, di una proposta che era già ritirata, di un atteggiamento irresponsabile e di un leader che non ha voluto decidere, ma non credete a nessuno: è solo mala fede. Non credete a chi vi dirà che la questione è tecnica e non politica perché vi staranno mentendo. Vi staranno mentendo perché la decisione di affamare una popolazione in nome di un debito che non ha contratto, la decisione di azzerare i servizi pubblici per destinare soldi al salvataggio delle banche, la decisione che un governo debba guardare di più alla propria stabilità che non alle condizioni di vita del proprio popolo, è una decisione tutta politica. È politico scegliere se alzare la voce a un tavolo o starci sempre a testa china.
È politico decidere di stare solo a contare e a far quadrare calcoli, senza tener conto che dietro a quei numeri ci sono ospedali fatiscenti, università che chiudono, scuole che cadono a pezzi, tassi di alfabetizzazione che calano, tassi di mortalità che salgono. È una scelta politica non voler vedere che dietro ogni “meno” e ogni “più” dei conti in ordine ci sono pensioni da fame, suicidi quotidiani, difficoltà materiale a condurre la propria vita. Non è un fatto tecnico, è una decisione politica e Tsipras l'ha voluta prendere per il suo popolo, e con il suo popolo. Non ha voluto decidere da solo, non ha voluto sembrare un Don Chisciotte folle e solitario. Non ha voluto che ancora una volta si affermasse il principio che chi viene investito per prendere decisioni poi possa prendere in mano le vite dei suoi cittadini e farne quello che vuole, a prescindere da tutto.
In questa settimana ne abbiamo sentite di tutti i colori. Abbiamo sentito gente che criticava un leader politico perché aveva consultato il suo popolo per prendere una decisione che sarebbe gravata su tutto il suo paese. Tsipras è stato criticato perché ha rispettato il programma per cui è stato votato: “Sottoporre a referendum vincolanti i trattati e altri accordi rilevanti europei” diceva il programma. E il 36% dei greci l'ha votato per questo, e fini commentatori e maestri della politica ora criticano un capo di stato che ha rispettato il suo programma. Il che, in ogni caso, è indicativo. Ci siamo ritrovati con sbruffoni incompetenti che hanno posto la questione come si trattasse di una partita di calcio, come quelle partite di fine campionato in cui ti dici che in fondo, per le qualificazione, è meglio che vinca la più forte pure se la più debole gioca meglio.
E i greci si sono ritrovati con le banche chiuse, il terrorismo dei media che amplificavano i problemi, le proprie sacrosante lacrime sbattute in prima pagina da sciacalli speculatori interessati solo a strumentalizzarle per difendere le ragioni del più forte. Tutti a dargli lezioni di vita, tutti a dargli consigli, tutti a dirgli “Io, se fossi te”, ma nessuno di noi era loro. Né quelli a favore del sì, dai prudenti e pavidi a quelli in male fede, da quelli che difendono lo status quo perché non hanno la forza di immaginarsi un mondo diverso, a quelli che lo fanno perché hanno il culo coperto e gli sta bene così. Né quelli a favore del “no”, che a cuor leggero festeggiano una vittoria che è di tutti ma non appartiene a nessun altro se non ai greci, che hanno avuto il coraggio di votare il governo che l'ha permessa.
Questa vittoria è di tutti, perché per una volta si può immaginare un modo diverso di stare in questa Unione. Perché per una volta non “ce lo chiede l'Europa” ma siamo noi a chiedere qualcosa all'Europa. Perché per una volta si è affermato il principio per cui la dignità della vita dei cittadini conta di più di un sistema che per restare stabile distrugge vite umane. Perché qualunque cosa accada, per la prima volta qualcuno ha alzato la testa. Ma non appartiene a nessun altro se non ai greci perché la testa l'hanno alzata loro. Per la devastazione sociale che hanno visto, per la fame che hanno sofferto, per tutti le minacce che hanno ignorato, per il coraggio che hanno avuto. Perché solo loro hanno detto no. E, come ha detto Tsipras solo due giorni fa in una piazza Syntagma bella e strapiena come stasera, non poteva andargli male, perché combattevano una guerra con l'arma più importante di tutte: la ragione.