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Brexit, cosa succede ora? Come funziona il piano per uscire dall’Ue

Lavoratori, commercio, confini e referendum per l’indipendenza della Scozia: ecco cosa succederà ora.
A cura di Michele Azzu
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Una vera svolta nella politica, nell’economia e nel futuro dell’Unione Europea. Oggi il Regno Unito ha deciso che il paese non deve rimanere all’interno dell’UE: la cosiddetta “Brexit” (dall’unione delle parole Britain, Bretagna, ed Exit, cioè uscita).

E cosa accadrà ai cittadini britannici che vivono in Europa, ad esempio in Spagna che è meta di tantissimi pensionati inglesi? Anche questo non si sa. Nel frattempo aziende ed isituti finanziari, come la multinazionale americana Citigroup, hanno già avvertito i loro dipendenti che potranno esserci modifiche al personale e spostamenti di sedi in caso di Brexit. La sterlina britannica, con tutta questa incertezza, ha iniziato a svalutarsi.

L’unica cosa certa è che al Regno Unito occorreranno almeno due anni per completare il processo. Insomma, la Gran Bretagna non sarebbe fuori dall’Europa domani, né fra poche settimane o alcuni mesi. E in questi due anni, con ogni probabilità i governi e la Commissione Europea dovrebbero avere tempo a sufficienza per risolvere gli enormi problemi che questo comporterà.

Ad esempio, sul commercio – perché uscendo dall’UE il Regno Unito abbandona il nostro mercato unico – sulla libera circolazione delle persone, e soprattutto su chi da anni vive e lavora dall’altra parte della Manica (in un senso o nell’altro). Eppure, c’è preoccupazione. Le imprese hanno paura, le persone che rischiano di essere colpite dal provvedimento temono di perdere la residenza e il tenore di vita che si sono costruite, e c’è chi stima che il provvedimento potrebbe costare alla Gran Bretagna 2 milioni di posti di lavoro.

Il premier David Cameron ha detto che si rischia di: “perdere un decennio” per risolvere i danni di una Brexit. Questi timori sono giustificati. Perché le trattative per mettere riparo a quello che è accaduto il 23 giugno potrebbero essere difficilissime. Il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble – uno dei protagonisti nella partita dell’austerity in Grecia – ha affermato al settimanale Der Spiegel che: “Il Regno Unito non potrà accedere nuovamente al mercato europeo, perché questo vorrebbe dire rispettare le regole del club da cui ha deciso di uscire”.

Insomma, per il Regno Unito potrebbe perfino non essere possibile accedere più al mercato dell’UE, né trattare una posizione simile a quella di Svizzera e Norvegia (che non sono mai entrate nell’UE pur facendo parte del mercato unico). La posizione di Schauble fa il paio con quella di Angela Merkel: “Il Regno Unito non otterrà mai le condizioni che chiede senza essere al nostro tavolo”. Poche settimane fa, Barack Obama aveva affermato che una volta fuori dall’UE la Gran Bretagna sarebbe stata “alla fine della coda” in ogni trattativa economica fra i grandi paesi.

Le indiscrezioni che arrivano da Bruxelles, purtroppo, confermano la linea dura dell’Europa contro la Brexit. Secondo diverse fonti anonime interne alla Commissione Europea riportate da Politico e da BuzzFeed, l’UE intenderebbe fare un esempio della Gran Bretagna, imporre condizioni durissime in caso di Brexit, e in questo modo dare l’esempio per evitare che altri paesi possano provare a fare la stessa cosa nei prossimi anni.

Ma l’accesso al mercato unico è la contropartita della libera circolazione delle persone, dei lavoratori, dei cittadini e degli studenti che a centinaia di migliaia rischiano di essere colpiti dal provvedimento – e di fatto lo sono già, perché nell’incertezza e nella paura le aziende non assumono più europei, i britannici non comprano casa in europa, e le banche hanno già iniziato i piani di emergenza per evitare un tracollo finanziario.

Insomma, quello che può succedere fra pochi giorni avrà ripercussioni pesantissime sulla vita di ognuno di noi, e non solo in Gran Bretagna. È una partita complessa, quella che si gioca in questi giorni. Per un semplice fatto: stiamo assistendo a qualcosa che non è mai successo. Ma esiste già un piano per procedere alle trattative per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Ecco quello che sappiamo al momento.

Cosa succede il giorno dopo il voto? Si diceva, anche se i cittadini britannici dovessero votare in maggioranza per lasciare l’Unione Europea, questo non significa che la cosa accadrà automaticamente. Anzitutto, il referendum non è vincolante: il governo inglese – o quello immediatamente successivo dato che in caso di vittoria per la Brexit l’attuale premier David Cameron potrebbe dimettersi – non è costretto legalmente a dover attuare una uscita dall’UE. Ma è opinione comune che il governo rispetterà il volere degli elettori.

Se dovesse vincere la Brexit, dunque, dalla settimana successiva inizieranno le trattative fra governo britannico e Commissione Europea per decidere i termini di questa separazione. Il governo inglese dovrà a questo punto invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che sancisce: “Ogni paese membro potrà decidere di abbandonare l’Unione in accordo coi propri parametri istituzionali”. Una volta fatto questo, inizierà un periodo di due anni in cui trattare le condizioni, allo scadere del quale il paese sarà fuori dall’UE – cosa che potrebbe accadere al più presto nella seconda metà del 2018.

La libera circolazione delle persone e dei lavoratori. Questo punto interessa tanto l’Europa quanto il Regno Unito. Per fare un esempio, ci sono attualmente 100mila spagnoli che vivono e lavorano nel Regno Unito, ma sono 400mila i cittadini britannici che vivono e lavorano in Spagna. E in totale sono 2 milioni i cittadini britannici che vivono nell’UE. Al momento non è possibile capire cosa accadrà a nessuno di questi. È opinione comune che, dopo la Brexit, il Regno Unito e la Commissione Europea provvederanno a una maniera per permettere il proseguo della libertà di movimento dei cittadini fra un paese l’altro. In particolare si tuteleranno i diritti di chi già da anni lavora e risiede dall’altra parte dei propri confini.

Nei prossimi anni, dunque, queste persone vivranno in una sorta di “limbo di cittadinanza” in cui non sarà chiaro nulla: dalle tasse da pagare ai diritti alla maniera di spostarsi e viaggiare. E in questo limbo è inevitabile che le aziende britanniche smetteranno di assumere cittadini europei, e in Europa accadrà lo stesso per i britannici. Le tariffe aeree aumenteranno, come ha affermato anche il CEO di Ryanair, Michael O’Leary. E l’Inghilterra potrebbe facilmente, a quel punto, decidere di porre un freno all’immigrazione dall’UE – cosa che nei mesi passati aveva già affermato di volere fare.

Un nuovo accordo commerciale. Regno Unito e Unione Europea dovranno negoziare nuovi parametri per il commercio fra i due paesi, e questo avrà un alto costo per i britannici, secondo fonti della Commissione Europea. Sembra al momento difficile che la Gran Bretagna possa entrare nella SEE (spazio economico europeo), come Svizzera e Norvegia. Si tratterebbe di firmare un accordo peggiore di ora, a scapito del Regno Unito. Ma un accordo si dovrà raggiungere. È importante notare, inoltre, come per raggiungere un accordo commerciale di questa portata potranno essere necessari ben più dei 2 anni che servono per lasciare l’Europa: si parla addirittura di 5 o 6 anni di trattative. E in questo periodo i danni all’economia del Regno Unito sarebbero altissimi.

I nuovi confini in Francia e Irlanda. I controlli di Calais, al confine tra Regno Unito e Francia, verranno spostati a Dover, e la sicurezza ora effettuata dal governo francese sarà lasciata in mano ai britannici. Assieme all’annosa questione dei rifugiati, che in 3.500 rimangono accampati proprio a Calais in attesa di riuscire ad entrare nel Regno Unito. Il presidente della regione di Calais, Xavier Bertrand, di centro-destra, ha affermato che: “Non continueremo a sorvegliare il confine al posto del Regno Unito, se questo non è più in Europa”.

Tuttavia, il ministro degli interni Bernard Cazeneuve ha spiegato che non è questa l’intenzione del governo francese: “Aprire il confine non è una soluzione responsabile, farebbe arrivare a Calais ancora più migranti”. Ma la questione dei nuovi confini britannici non riguarda solo la Francia: bisognerà infatti rivedere anche i confini con l’Irlanda, che rimane nell’Unione Europea. L’ex premier Tony Blair ha di recente affermato che in caso di Brexit andranno ampliati i controlli tra la Repubblica Irlandese e l’Irlanda del Nord (che fa ancora parte del Regno Unito), e gli scambi fra i due paesi saranno più difficili.

Cosa accadrà in Scozia per l’indipendenza? La presidente del partito nazionalista scozzese SNP, Nicola Sturgeon, che alle scorse amministrative ha conquistato quasi due terzi del parlamento locale, ha ripetuto più volte che in caso di vittoria della Brexit la Scozia dovrà procedere a un referendum per chiedere l’indipendenza dal Regno Unito e l’annessione all’UE. La cosa interessante è che l’Unione Europea potrebbe facilmente decidere di dare priorità a questo processo, e annettere la Scozia in tempi rapidi – mentre più lentamente procede al rilascio del Regno Unito. I sondaggi più recenti in Scozia mostrano una percentuale ampiamente favorevole a rimanere nell’UE: 51% contro il 21% che preferirebbe uscire (mentre il 29% è indeciso).

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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