Nella storia ci sono dei momenti in cui la resa di un uomo rappresenta, semplicemente, la fine di un'epoca. Papa Benedetto XVI che abbandona lo scranno papale per ritirarsi in un convento di clausura è la porta che chiude, definitivamente, il XX secolo. Se riuscirà nel suo intento di “indicare” il successore, Ratzinger avrà portato avanti un processo di riforma della chiesa cattolica di portata epocale.
La scelta di “scendere dalla croce” non può intendersi come un gesto consueto ma come la presa di coscienza di un distacco tra il mondo e il suo ruolo. Lo afferma, senza mezzi termini, lo stesso Papa:
“Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo”
Ammettendo la sua incapacità a cogliere i cambiamenti in atto, Benedetto XVI ha confermato la saggezza di chi ebbe a sceglierlo 8 anni fa e al tempo stesso l'ammissione che la Chiesa non vuole riformarsi.
La riforma che egli aveva in mente virava verso una sempre maggior ortodossia, non è un caso che il suo primo atto da Papa fu quello di inviare una circolare a tutti i seminaristi in cui si intimava l'allontanamento di tutti coloro i quali fossero sospettati di omossessualità. Quel dogma così rigido è lo stesso che ha poi applicato nella lotta alla pedofilia e alla commistione chiesa-criminalità – in Vaticano c'è chi afferma che ci sia lui dietro il trasferimento delle spoglie di Renato De Pedis -.
Ortodossia che non deve essere intesa, necessariamente, in senso reazionario, anzi Benedetto XVI è stato un Papa molto più rivoluzionario di quanto non lo sia stato Giovanni Paolo II che ha sempre occultato piuttosto che affrontare le derive della Chiesa. E lo fu anche in passato, cacciato dal Concilio Vaticano II perché considerato troppo “modernista”.
Un Papa di rottura, che riparte dalle basi della dottrina per costruire una Chiesa che usciva dalle macerie e dagli scandali di Giovanni Paolo II (IOR, visita a Pinochet, De Pedis, Marcinkus, pedofilia, etc..). Ma al tempo stesso un pessimo comunicatore – al contrario del suo predecessore – che ha capito di non essere riuscito ad arrivare alla gente. Ci ha provato, in ogni modo, finanche via Twitter ma questo non è bastato a comunicare il peso della sua missione.
“Si sentiva inadeguato”. Inadeguato ai tempi, inadeguato a questa comunicazione, inadeguato ad uno Scranno Papale visto come strumento politico verso l'esterno più che verso l'interno. Prima di prendere la decisione si è consultato con i maggiori canonisti – nonostante egli sia uno degli artefici della riforma del codice del 1984 – onde valutare la fattibilità della rinuncia.
La sua decisione così improvvisa, tanto da non essere conosciuta da molti vescovi italiani, trasforma il Papa meno politico degli ultimi anni in un grande stratega e sconquassa gli equilibri romani. Quando si parla di una sua decisione maturata da tempo non si può far a meno di leggerne la lungimiranza delle azioni, in primis la riforma “elettorale” del 26 giugno 2007. Nel prossimo conclave, dunque, la maggioranza necessaria all'elezione del papa sarà di due terzi dei votanti per tutti gli scrutini. A partire dal tredicesimo giorno di conclave si procederà al ballottaggio tra i due cardinali più votati nell'ultimo scrutinio (che non hanno più diritto di voto), sempre mantenendo la maggioranza dei due terzi per la validità dell'elezione (e non più della semplice maggioranza come stabilito da Papa Giovanni Paolo II).
Gli organi vaticani che avevano scelto Ratzinger per la sua età – nella speranza di un papato breve – si trovano ora a dover fronteggiare la lungimiranza di quest'uomo che influenzerà la prossima elezione sia con la sua presenza sia attraverso la legge elettorale.
I salotti romani di cardinali e arcivescovi che tanto hanno odiato questo successore di Pietro che metteva al bando i comportamenti anticattolici di una certa Chiesa, dovranno ancora misurarsi con lui. Lui che quei salotti non li ha mai frequentati è riuscito nell'intento di sconvolgerli agendo dall'esterno, tenendosene a distanza.
Per quei salotti, per quell'énclave di potere, l'unica via d'uscita sarebbe la scelta di un Papa giovane, meglio se sudamericano o africano che dia nuova luce alla Chiesa ma al tempo stesso con poca esperienza per scalfire quelle logiche di potere che tengono in piedi questo monolite. Un giovane senza potere o un potente prelato italiano sarebbero le uniche due vie per vivere un periodo di “restaurazione” che si metta alle spalle la lotta alla pedofilia, alla criminalità, e consenta ad organizzazioni come quelle dei neocatecumenali – minacciate di scomunica dal Papa – di tornare a sedere in San Pietro.
Le dimissioni di Benedetto XVI sono da leggere in quest'ottica: cercare di dare alla Chiesa un successore che assicuri la continuità della riforma in atto. Un successore capace di rifondare il cattolicesimo grazie ad un papato più lungo. Ratzinger sapeva benissimo che le sue condizioni di salute non gli avrebbero consentito di portare a compimento la sua missione e per questo si è defilato. Si è defilato perché il suo tempo era finito, perché non riusciva a comunicare i cambiamenti ai fedeli. Si è defilato perché ha capito che i suoi tempi – intesi come unità di misura – di uomo che studia con precisione le carte, non erano più attuali. E forse l'ha capito proprio mentre con Tweet comunicava al mondo la sua parola più di quanto non avesse potuto fare con cento angelus. Chissà forse è proprio in quel momento che ha capito che questo non era più il suo tempo ma sapeva anche che quel cammino di riforma del monolite vaticano non poteva essere interrotto: ne va della sopravvivenza della Chiesa stessa. Allora ha studiato come farsi da parte e poi, comunicandolo solo a pochi, ha messo in atto il suo piano. Ha calcolato tutto finanche la prima messa che celebrerà il nuovo Papa: quella Pasquale, quella della resurrezione di Cristo – metafora della rinascita della Chiesa stessa -.
La storia forse ne ricorderà solo i lati di pessimo comunicatore o i continui attacchi – vedi lo scandalo del “corvo” – lanciati dagli ambienti romani contro il suo papato, ma di Papa Joseph Ratzinger bisognerebbe scrivere che è l'uomo che ha avuto il coraggio di chiudere per sempre il portone del XX secolo.