Dimenticati, apolidi. Umiliati in quella che chiunque definisce dignità, quando parla di sé. Sono gli afghani che da anni vivono intrappolati nei Balcani, 2,9 milioni, calcola l’Unhcr. Impossibilitati a muoversi, né per raggiungere il resto dell’Europa né per ritornare in Afghanistan. Stanno lì, come macchioline sbiadite sulla tovaglia a cui non si fa più caso. Proclami a parte, l’Europa non li vuole. Non li voleva ieri, non li vorrà domani, non li vuole oggi, anche se stenta a dirlo a chiare lettere.
Le donne nel campo di Vial a Chios
Colpisce la tenacia con cui le donne cercano di abbellire l'ambiente in cui sono costrette a vivere da anni. A fronte di una capienza di 1.500 persone, il campo di Vial ne ospita oltre 6mila. Quattordici bagni in tutto, 7 per sesso. Come quasi tutti gli hotspot greci, sta in mezzo a un uliveto in rovina, per 30 km tutt’intorno il nulla. Una di loro ha appena partorito un figlio. Crescerà apolide fino a data o anno da destinarsi. Ha solo un“paper” che attesta che è nato lì, a Chios, dai suoni genitori richiedenti asilo. In un angolo le donne hanno ripulito la terra da erbacce rifiuti e spurghi e allestito una cucina comune. Lì al tramonto cucinano il pane Naan, quel pane piatto, del Medio Oriente, arricchito con spezie a seconda della zona d'origine. E sorridono, persino. Chiedono come stai, si assicurano che “tu e i tuoi familiari stiate tutti bene”. Tu, non loro.
Farid, con il corpo intrappolato a Chios e il cuore a Kabul
Abbiamo raggiunto tramite video-chiamata il campo profughi dell’isola di Chios, in Grecia, per sapere come stanno vivendo il ritorno dei talebani nel loro paese di origine. Chi non sente i propri familiari da più di tre giorni piange. Chi li ha sentiti poche ore fa piange uguale. Farid ha 24 anni e ha lasciato Kabul poco più che ventenne. Dopo due anni trascorsi a Chios era a un passo dalla libertà. Gli avevano accettato la richiesta di asilo, aspettava solo il passaporto afghano, che ormai non arriverà più. Come gli altri, l’emigrazione se l’è pagata facendosi sfruttare nei paesi che attraversava, prima in Iran poi in Turchia, come panettiere e muratore. Si dispera per suo padre, ingegnere aeronautico, ma ancor più per sua madre, anche lei al servizio dell’aeronautica dei governi precedenti, che “per quanto fantocci non erano talebani”. Donna, istruita e per di più circondata da uomini perché operante in ambito militare, prettamente maschile. Una condanna a morte. Mostra orgoglioso la foto del tesserino della madre che conserva nel telefonino.
I numeri dell'ipocrisia dell'Europa
Negli ultimi 12 anni le autorità europee hanno negato l’asilo a 290mila richiedenti asilo afghani. Di questi, 46mila avevano meno di 14 anni, 20mila erano bambine, circa 25mila avevano tra i 14 e i 17 anni e 30mila erano donne adulte. Tra il 2008 e il 2020, stando alle elaborazioni di Ispi, circa 70mila cittadini afghani sono stati riaccompagnati dalle forze di polizia in Afghanistan. Svettano per rimpatri forzati il Regno Unito (15.000), la Svezia (9.900) e la Germania (8.500).
Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ha recentemente sottolineato l'assurdità dei cavilli burocratici che rallentano e addirittura impediscono il rilascio dei documenti per i cittadini afghani, in particolare il Regolamento n. 539/2001 che impone uno specifico visto di ingresso in Europa. Ora più che mai alcune pratiche, una su tutte il ricongiungimento familiare, devono essere semplificate. Perché Farid possa riabbracciare sua madre è necessario “trasferire alle rappresentanze consolari italiane nei Paesi limitrofi anche le competenze relative al rilascio di visti”. Ma l'Europa si è dimenticata Farid nei Balcani.