Aung San Suu Kyi eletta, giorno storico per la Birmania
Giornata storica ed indimenticabile non solo per lei, la Signora che ha conquistato simpatie ed ammirazioni in tutti i Paesi del mondo, ma anche per il popolo birmano che, da anni, sognava questo momento: l'ingresso di Aung San Suu Kyi in Parlamento è un evento che è stato atteso con emozione tangibile da parte degli elettori del Myanmar che hanno salutato con entusiasmo il trionfo della Lega Nazionale per la Democrazia nelle elezioni suppletive tenutesi ieri. Il Premio Nobel per la Pace, membro storico del partito d'opposizione al regime birmano, si è aggiudicato un seggio, con una schiacciante maggioranza di voti, nel distretto di Kawhmu, nel sud della regione di Rangoon, area poverissima di un Paese dalla storia tormentata ed infelice in cui, negli ultimi cinquant'anni, si sono tenute soltanto tre elezioni regolari; queste ultime per riassegnare 45 seggi lasciati liberi da parlamentari entrati a far parte del Governo che hanno dovuto abbandonare le cariche per incompatibilità, in conformità alla legge dello Stato.
«Per la Birmania è l'inizio di una nuova era» ha dichiarato Aung San Suu Kyi, in un primo discorso tenuto al quartier generale del partito, tra centinaia di elettori entusiasti che, per tutta la notte, hanno festeggiato quello che è stato un indiscutibile trionfo. Nel pomeriggio si conosceranno i dati relativi all'ultimo distretto, nel Nord dello Stato di Shan ma, per il momento, i numeri parlano chiaro e senza dar luogo a fraintendimenti: sui 44 seggi in cui si è presentata, la lega Nazionale per la Democrazia ne ha ottenuti sicuramente 43, per il momento. Il partito ha ottenuto in molti territori consensi superiori all'80%. «Ciò che è importante, non è il numero dei seggi vinti, anche se ovviamente siamo estremamente soddisfatti di aver conquistato tanto, ma il fatto che le persone mostrino tanto entusiasmo nella partecipazione al processo democratico» ha sottolineato la Signora, la cui elezione fa già presentire il vento di libertà, per quel Paese guidato da una dittatura tra le più durature attualmente al potere nel mondo.
Ma «è ancora troppo presto per festeggiare in maniera così totale» ha ricordato la leader dell'opposizione birmana: perché gli ostacoli in vista sono ancora tantissimi, sia per Aung San Suu Kyi sia per lo stesso processo di democratizzazione di un Paese che, soffocato tra la morsa del gigante asiatico cinese e le sanzioni imposte da Stati Uniti ed Europa, potrebbe essersi finalmente risolto a scegliere la via che, anche economicamente, potrebbe risultare meno dolorosa. È infatti innegabile come le aperture da parte del Presidente Thein Sein, alla guida dal febbraio di 2011 di uno stato formalmente civile, siano state fondamentali per consentire questa «vittoria del popolo»: la neo-legalizzazione della LND, unita alla liberazione di alcuni "prigionieri politici" e, in generale, all'allentamento di molti aspetti di quello che, di fatto, è ancora un regime, si direbbero i primi passi che potrebbero portare, finalmente, verso una transizione democratica. Tuttavia, le pressioni in gioco sono veramente molto forti e, per sperare che il processo dia vita effettivamente a dei risultati concreti, l'unico modo sembrerebbe proprio una sorta di compromesso tra Aung San Suu Kyi e Thein Sein: quest'ultimo con all'attivo colpe gravissime nei confronti del Paese ma forse, mosso da volontà di riscatto politico e morale dinanzi alla comunità internazionale, insomma per mero calcolo economico, potrebbe essere il solo in grado di aprire la strada alla democrazia, naturalmente in collaborazione con la Signora. Come accadde già nel Sudafrica di Nelson Mandela in cui il Presidente de Klerk, ormai arreso di fronte all'impossibilità di portare ancora avanti la politica dell'Apartheid, avviò il Paese verso un miglioramento sociale che mise al bando la segregazione razziale.
Difficoltà per il Paese ma anche difficoltà per Aung San Suu Kyi, perché la paura che un golpe annulli questa vittoria elettorale come accadde nel 1990 è sempre presente. Già le irregolarità denunciate alla vigilia del voto facevano temere per gli sviluppi, ora resta una grossa ipoteca sul futuro: su oltre 1160 seggi distribuiti in tre rami del Parlamento, infatti, poco più di 40 sono quelli aggiudicatisi dalla LND. Quale sarà, dunque, il peso che le forze neo-elette avranno sull'intero discorso politico birmano? E se invece, come temono legittimamente in molti, il risultato del voto venisse ancora una volta rovesciato? Purtroppo, la storia di Aung San Suu Kyi e della dittatura militare nel Myanmar, al potere dal 1962, testimoniano come violenti capovolgimenti non sarebbero inattesi nel Paese: nel 1990, dopo la vittoria elettorale, iniziò il più duro periodo nella vita della Signora che, da allora, venne arrestata e rilasciata diverse volte per un totale di circa 15 anni di detenzione, trascorsi tra carcere e domiciliari. Eppure oggi, nonostante le tante ombre sul futuro, per Aung San Suu Kyi, per la Birmania, e per tutti quanti in Europa o negli Stati Uniti auspicano una ventata di libertà per il Paese asiatico, è veramente una giornata da dedicare ai festeggiamenti, senza rinunciare al dovuto ottimismo e tenendo sempre sotto controllo una situazione che resta delicatissima.