Chiunque sia stato, il Cremlino cercherà di approfittarsene. L’attentato dinamitardo in un bar nel centro di San Pietroburgo costato la vita al blogger ultra-nazionalista russo Maxim Fomin, meglio noto come Vladlen Tatarsky, è probabilmente opera dei servizi segreti ucraini.
Ma verrà usato dal regime russo per giustificare un’ulteriore inasprimento della repressione interna e dell’accanimento giudiziario nei confronti di chi si oppone alla guerra.
È quanto affermano esperti ed esponenti politici dopo che le autorità, appena arrestata la donna che ha piazzato la bomba, hanno accusato come mandanti Kyiv e l’organizzazione di Alexei Navalny, il maggiore antagonista di Vladimir Putin.
"L’attentato sarà un pretesto per un ulteriore giro di vite nei confronti di Navalny e del suo team", dice a Fanpage.it il politologo Abbas Gallyamov, ex speechwriter del presidente russo. Navalny, in carcere da oltre due anni e condannato ad altri nove in procedimenti definiti “farsa” da Amnesty International, subirà presto un nuovo processo per “estremismo”.
Se lo incriminano anche per terrorismo, la sentenza sarà parecchio più dura. Il direttore della Fondazione anticorruzione di Navalny (Fbk), Ivan Zdanov, sul suo canale Telegram ha definito “idiota” l’accusa contro l’istituto, e “oscura” la vicenda. Sottolineando che il regime “ha bisogno di un nemico esterno come l’Ucraina ma anche interno sotto forma del team Navalny”. Secondo Zdanov, “dietro all’attentato c’è l’Fsb”.
“L’Fsb? Possibile ma non probabile”, risponde Anton Barbashin, direttore editoriale del think tank Riddle, specializzato sulla politica russa. “Comunque è secondario chi sia stato. Il risultato sarà un inasprimento della persecuzione di tutti quelli che hanno avuto contatti con il team di Navalny e che sono ancora in Russia”, spiega l’analista a Fanpage.it.
Inoltre, visto che la donna arrestata è un’attivista per il femminismo e suo marito un esponente del partito libertario, “ci sarà una stretta anche nei confronti di femministe e libertari”. Si tratta delle poche sacche di dissenso rimaste. Il movimento femminista, in particolare si è impegnato nella critica alla guerra.
“Se potranno accusare di terrorismo questi attivisti e Navalny con il suo team, sarà un bel colpo per il regime”. Peraltro, dai profili social della sospettata non traspare alcun collegamento con la fondazione Fbk. E nemmeno una posizione politica radicale.
Collegare Navalny e gli attivisti anti-Putin ad atti terroristici “porterà a esacerbare la spaccatura presente nella società russa”, prevede l’esperta di politica russa Tatiana Stanovaya. “Da adesso, chiunque partecipi ad azioni contro la guerra diverrà automaticamente un potenziale terrorista, non solo agli occhi della polizia ma anche a quelli dei russi ‘patriottici’, che sostengono l’aggressione all’Ucraina”.
C’è già chi prende la palla al balzo. Il parlamentare di Russia Unita Andrei Isayev, ospite in uno speciale televisivo su Rossiya1, ha proposto che tutti i leader dell’opposizione “non sistemica” — quella “sistemica” è in Parlamento e vota a favore del governo — vengano processati per terrorismo. Motivo: “Sono diventati una banda di assassini e sabotatori”, ha detto il deputato. “I servizi di sicurezza dovrebbero arrestarli tutti come spie o terroristi”. Ammesso che ne trovino ancora qualcuno che non sia da tempo in galera o scappato dalla Russia, è il caso di aggiungere.
Ora, è vero che dall’inizio della guerra ci sono stati episodi di sabotaggio nei confronti degli uffici per la leva e di alcune infrastrutture. Ma si è trattato soprattutto di casi isolati. In alcun modo collegati a Fbk o a organizzazioni note.“Potrebbero anche esistere dei movimenti di resistenza alla guerra responsabili degli incendi ai centri di reclutamento”, spiega Barbashin. “Ma non si tratta di gruppi in grado di commettere veri e propri atti di terrorismo, come succedeva in Russia nel XIX secolo (col movimento nichilista e Narodnaya Volya, ovvero “Volere del popolo”, ndr). Nella società russa di oggi questo non esiste. Sarebbe davvero una prima assoluta”.
La teoria del fondatore della Wagner Yevgeny Prigozhin, che in un comunicato vocale ha indicato un non meglio identificato “gruppo di radicali” come unico responsabile, non sembra essere sostanziata da alcunché di concreto, almeno finora. Prigozhin, considerato vicino a Tatarsky è anche l’ex proprietario del bar dove è avvenuto l’attentato. Ma non per questo ne sa più di altri, su questo episodio.
Fondamenta poco solide sembra avere anche l’ipotesi, da Gallyamov definita “esotica”, di un’azione dell’Fsb per dare una calmata ai blogger militari e allo stesso Prigozhin, che criticano senza far sconti il ministero della Difesa e i vertici delle forze armate per la condotta, reputata troppo soft e poco efficace, della guerra. Sarebbe un’operazione difficile da eseguire in segreto, visti anche i rapporti che i servizi di sicurezza hanno in particolare con lo stesso Prigozhin. E poi, l’effetto sarebbe stato controproducente. Come dimostrano le ire degli ultra-nazionalisti alla Tatarsky, che dopo i fatti di San Pietroburgo hanno inondato i social con richieste a muso duro di una escalation dell’offensiva nel Paese vicino.
L’analista Barbashin ritiene che ad agire sia stato l’Sbu, il più importante sevizio di sicurezza ucraino, con l’aiuto di singoli cittadini russi. Nessun gruppo di partigiani. E questa, di teoria, qualche sostanza sembra averla. Daria Trepova, la donna arrestata, forse è stata una complice involontaria: lo riporta la testata giornalistica Rbk, che cita fonti vicine alla polizia.
Ha scritto a un’amica di esser stata “incastrata”, si legge su un canale Telegram considerato vicino alle agenzie di intelligence. La stessa cosa ha detto al sito di news Insider il marito, che si trova da tempo fuori dalla Russia.
Altre notizie provenienti dai social e che non abbiamo potuto controllare riguardano un “lavoro” di Daria come fattorino per “giornalisti ucraini”. E infatti a Tatarsky ha consegnato un pacco. Vista la facilità con cui è stata rintracciata dagli investigatori, evidentemente nessuno aveva preparato per lei un piano per fuggire subito dopo l’attentato.
Nel gergo delle spie si chiama “esfiltrazione”. Ogni “misura attiva” come quella di San Pietroburgo la prevede. A parte i casi in cui ci si serve di agenti locali inconsapevoli. E spendibili.
“La cosa più logica è che sia stata l’intelligence ucraina”, concorda Abbas Gallyamov: “Tatarsky era un nemico, per Kyiv. Basta leggere poche righe sul suo canale Telegram per trovare l’odio profondo per tutti gli ucraini e una vera e propria volontà di sterminio. Uccidere un nemico durante una guerra è una vittoria”. L’Ucraina ha finora negato ogni coinvolgimento nell’attentato.
Gallyamov pensa però che a Kyiv si stia brindando: “È stato un successo per i loro servizi segreti, che sono riusciti a condurre un’operazione così sul suolo del Paese invasore. E un successo per tutte le forze combattenti. Soprattutto psicologico. Sono operazioni che ispirano i tuoi soldati e scoraggiano i nemici”. E di questo il Cremlino non potrà in alcun modo approfittarsi.
Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.