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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Attacchi israeliani ad ampio raggio contro Teheran: cosa potrebbe succedere ora

L’esercito israeliano ha lanciato tre ondate di attacchi contro 20 obiettivi iraniani, incluse basi militari, sistemi di difesa aerea, una fabbrica di droni e impianti di produzione missilistica a Teheran. L’Iran avverte: “Il nostro potere umilierà i nemici”. Ma Washington e Londra invitano a non rispondere ai raid.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente iraniano Masoud Pezeshkian.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente iraniano Masoud Pezeshkian.
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Nella notte di sabato 26 ottobre l'esercito israeliano (Idf) ha lanciato, con oltre 100 jet, tre ondate di attacchi contro 20 obiettivi in Iran, incluse basi militari, sistemi di difesa aerea, una fabbrica di droni, impianti di produzione missilistica e lanciatori di missili terra-terra a Teheran.

I raid hanno colpito anche il sistema di difesa S-300 dell'aeroporto Imam Khomeini della capitale iraniana e la base militare di Parchin, la città di Karaj, il Khuzestan, regione a maggiornaza araba al confine con l'Iraq, e l'Ilam. Gli attacchi hanno provocato la morte di due soldati iraniani e colpito anche il Sud della città santa sciita di Mashhad, dimostrando un ampio raggio di azione, mai visto prima, da parte di Idf in territorio iraniano.

Si è trattato quindi di attacchi molto più estesi rispetto ai raid dello scorso 19 aprile lanciati da Idf nei dintorni di Isfahan. Secondo le autorità israeliane, i raid sono arrivati in risposta ai “conitnui attacchi” contro Israele, pepetrati dalla rete di milizie sciite, parte del cosiddetto “Asse della Resistenza”, e all'attacco iraniano dello scorso primo ottobre con il lancio di 180 missili, seguito all'uccisione del leader di Hezbollah a Beirut, Hassan Nasrallah, il 27 settembre.

Cosa potrebbe fare l'Iran

Gli attacchi israeliani potrebbero avviare un circolo vizioso di continui raid reciproci tra Israele e Iran, che potrebbero portare la regione in uno stato di guerra su larga scala. Il vicepresidente iraniano Mohammad Reza Aref ha avvisato che “il potere dell'Iran umilierà i nemici”. Mentre i pasdaran iraniani hanno assicurato che sono pronti a rispondere ai nuovi attacchi israeliani con una “reazione proporzionata”.

Tuttavia, l'esercito e i media iraniani hanno tentato di minimizzare la portata dell'attacco, parlando di raid “deboli” e “inefficaci”. Secondo le autorità iraniane, il sistema di difesa di Teheran si è dimostrato capace di intercettare gli attacchi israeliani. Questa circostanza è stata smentita da Tel Aviv che ha invece assicurato che tutti gli aerei impegnati nell'operazione sono rientrati alla base. Le autorità iraniane avevano sospeso tutti i voli per alcune ore, prima della ripresa del traffico aereo la mattina di sabato.

L'Iran è “obbligato a difendersi contro le aggressioni esterne”, ha aggiunto il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi. Dopo aver definito i raid una “violazione del diritto internazionale”, Aragchi ha aggiunto che l'Iran riconosce le sue “responsabilità per la pace e la sicurezza regionale”.

Non solo, Teheran ha promesso “dieci anni di carcere” per chiunque condivida immagini e video dei raid israeliani. Iraq, Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Pakistan hanno condannato unanimemente i raid israeliani contro Teheran. Nonostante la consueta retorica anti-israeliana, secondo fonti arabe, l'Iran potrebbe non rispondere agli attacchi israeliani del 26 ottobre.

Le reazioni israeliane

Non è la prima volta che Israele e Iran sono coinvolti in attacchi diretti. Lo scorso aprile i raid israeliani contro l'amasciata iraniana a Damasco hanno provocato l'attacco iraniano con 300 tra missili e droni contro Israele del 13 aprile scorso. L'Idf ha più volte colpito interessi iraniani nella regione, con uccisioni mirate di ingegnieri impegnati nel programma nucleare di Teheran, raid alle basi controllate da Teheran in Siria e in Iraq, l'uccisione del leader di Hamas, e Ismail Haniyeh, nella capitale iraniana lo scorso 31 luglio.

Per il portavoce di Idf, Daniel Hagari, l'Iran ha “pagato il prezzo” per i recenti attacchi contro Israele. Hagari ha parlato di bombardamenti “precisi e mirati” in diverse aree del paese. Ha anche assicurato che Israele è capace di selezionare “altri obiettivi” e colpirli se Teheran attaccherà di nuovo Tel Aviv, aggiungendo che chiunque minacci Israele “pagherà un alto prezzo”.

Le autorità di Tel Aviv avrebbero avvertito preventivamente l’Iran dell’attacco. Il messaggio, inclusi gli obiettivi possibili dei raid, sarebbe stato trasmesso tramite canali diplomatici al ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldcamp. Non è la prima volta che Iran, Stati Uniti e Israele hanno contatti indiretti con la mediazione di canali diplomatici.

Lo stesso è avvenuto per esempio durante i negoziati per l'accordo sul nucleare iraniano, raggiunto nel 2015 a Vienna, con la mediazione dell'ambasciata svizzera in Iran. Avvertimenti alle autorità iraniane dell'imminente attacco israeliano contro Teheran sono arrivate anche da Mosca. La Russia è uno dei principali alleati della Repubblica islamica, soprattutto dopo le forniture di droni Shahed iraniani, usati da Mosca nella guerra in Ucraina.

Gli Stati Uniti e gli avvertimenti all'Iran

Washington e Londra erano a conoscenze delle tempistiche e degli obiettivi dei raid. Il presidente Usa, Joe Biden, ha parlato di “raid proporzionati” che dovranno segnare la fine degli attacchi diretti tra i due paesi. Anche il premier inglese, Keir Starmer ha chiesto a Teheran di non rispondere ai raid israeliani di sabato.

Se non ci saranno ulteriori attacchi, gli Usa si sono detti preparati per arrivare “alla fine della guerra in Libano” e a un cessate il fuoco a Gaza. Tuttavia, le autorità israeliane non sembrano fin qui interessate a mettere fine al conflitto, anche dopo l'uccisione a Gaza del leader di Hamas, Yahya Sinwar lo scorso 16 ottobre.

Nel commentare gli attacchi del 26 ottobre Washington ha anche parlato di “esercizio di auto-difesa” da parte di Israele. I raid sono arrivati mentre il Segretario di Stato, Antony Blinken, stava facendo rientro negli Usa dopo la sua recente visita in Medio Oriente in cui aveva chiesto alle autorità israeliane di rispondere all'Iran evitando un'ulteriore escalation del conflitto.

Da parte loro, gli Usa si sono detti pronti a difendere Israele se Teheran dovesse rispondere ai raid. Tuttavia, il Pentagono ha assicurato di non essere direttamente coinvolto negli attacchi israeliani contro l'Iran. Biden ha più volte fatto pressione sul premier israeliano, Benjamin Netayahu, per evitare che gli attacchi israeliani colpissero centrali nucleari e infrastrutture petrolifere. La presenza militare statunitense nella regione è stata però rafforzata nelle ultime settimane anche con l'invio di caccia F-16.

L'offensiva a Gaza

Gli attacchi israeliani contro l'Iran sono arrivati 25 giorni dopo i raid iraniani. Hanno avuto luogo nel momento in cui sta continuando una grave offensiva nel Nord di Gaza. E potrebbero quindi essere serviti per coprire i crimini che l'esercito israeliano sta commettendo nella Striscia. Volker Türk, alto commissario Onu per i diritti umani, ha definito questa fase come la più “oscura” della guerra a Gaza, mentre Israele colpisce la popolazione nonostante il rischio di una carestia.

Dal 7 ottobre a oggi sono oltre 42mila i palestinesi uccisi a Gaza. Solo dallo scorso giovedì i raid dell'Idf hanno ucciso 72 persone, di cui almeno 13 bambini. “Israele sta cercando di cancellare la nostra presenza” nel Nord di Gaza, sostengono fonti palestinesi. I raid di Idf hanno colpito anche la città di Khan Younis ma senza avvertimenti preventivi alla popolazione civile. Sono state colpite abitazioni civili a Beit Lahiya e nel campo profughi Shati a Gaza City.

Non solo, è stato preso di mira uno dei pochi ospedali ancora operativi nella Striscia, il Kamal Adwan, nella città di Jabalia. Secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), alcuni pazienti sono stati trasferiti nell'ospedale al-Shifa, anche quest'ultimo è stato colpito nei mesi scorsi dai bombardamenti israeliani. Il portavoce dell'Unicef, James Elder, ha ammesso che ci vorranno “oltre sette anni per evacuare i 2500 bambini che hanno bisogno di cure mediche” da Gaza, se la guerra dovesse continuare.

Anche le autorità giordane hanno chiesto di esercitare maggiori pressioni internazionali affinché Israele chiuda la pagina sanguinosa della guerra e la “pulizia etnica” in corso a Gaza. Sono state le parole usate dal ministro degli Esteri giordano, Ayman Safadi, nel suo ultimo incontro con Blinken a Londra.

Negli attacchi iraniani dello scorso aprile il sistema di difesa giordano aveva intercettato alcuni dei missili e droni lanciati da Teheran verso Israele. In questo caso, l'esercito giordano ha assicurato che nessun aereo iraniano o israeliano è stato autorizzato a transitare attraverso lo spazio aereo del paese.

I raid in Siria, Iraq e in Libano

I bombardamenti della notte di sabato hanno colpito anche la Siria e l'Iraq, alimentando lo scontro per procura tra Israele e Iran. Idf è impegnato su sette fronti di guerra, da Gaza alla Cisgiordania, dal Libano alla Siria, dall'Iraq allo Yemen fino all'Iran. Le esplosioni del 26 ottobre hanno raggiunto la capitale della Siria, Damasco, il centro e il Sud del paese.

Non solo, i raid israeliani hanno messo fuori uso anche il secondo valico Jousieh, dopo al-Masna, che collega il Libano con la Siria. Secondo l'agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), oltre mezzo milione di siriani ha tentato di fare rientro nel paese dopo gli attacchi israeliani, avviati con le esplosioni dei walkie-talkie e dei cercapersone in dotazione dei membri di Hezbollah lo scorso 17 settembre.

Mentre continuano gli attacchi reciproci tra Idf e Hezbollah al confine tra Israele e Libano, tre giornalisti delle tv del movimento sciita libanese, al-Mayadeen e al-Manar, sono stati uccisi e altri sono stati feriti nei raid che hanno preso di mira la stazione di Hasbaya nel Sud del paese. Almeno 18 giornalisti di vari media internazionali, da al-Jazeera a Sky News, erano presenti sul luogo e le loro vetture erano segnalate con chiarezza dalla scritta “Press”.

Per il premier libanese, Najib Mikati, si è trattato di un attacco “deliberato” per terrorizzare chi racconta i “crimini e la distruzione”, causate dai raid israeliani. Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), sono oltre 120 i giornalisti uccisi nel conflitto nei bombardamenti israerliani dal 7 ottobre a oggi.

Non solo, per il ministro della Salute libanese, Firass Abiad, oltre 163 soccorritori e paramedici sono morti nei raid israeliani che hanno colpito 55 ospedali in Libano nell'ultimo anno. Mentre non si fermano gli attacchi alla missione di peacekeeping Unifil, presente nel Sud del paese. L'ultimo in ordine di tempo ha colpito il posto di osservazione di Zahajra.

A questo punto, dopo i più estesi bombardamenti israeliani contro Teheran dall'inizio del conflitto, si attende una risposta iraniana. Torna quindi il dilemma tra moderati e conservatori in Iran tra chi, come il presidente Masoud Pezeshkian, vorrebbe evitare di trascinare il paese in una guerra regionale e chi, come i pasdaran e i politici radicali, non possono prescindere dalle azioni di contenimento di Israele, soprattutto quando prende di mira la rete di milizie sciite controllate per procura da Teheran.

Se nelle fasi inziali del conflitto, nessuno in Iran era interessato a un'estensione della guerra ma piuttosto a difendere le istituzioni della Repubblica islamica, dopo l'avvio dei raid di Idf contro il movimento sciita libanese Hezbollah in Libano questi schemi sono saltati. L'Iran è pronto a una guerra più ampia contro Israele nella regione perché questo potrebbe rafforzare il sostegno interno, in crisi, per la Repubblica islamica.

Tuttavia, le autorità iraniane sperano che i raid diretti, di aprile e ottobre, contro Tel Aviv possano aver avuto una funzione di deterrenza rispetto a una possibile estensione del conflitto. In questo caso Teheran potrebbe minimizzare la portata degli attacchi israeliani del 26 ottobre ed evitare un'ulteriore risposta che potrebbe alimentare la logica della guerra in nome della de-escalation.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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