“Arrestata più volte in Iran e colpita con 150 proiettili durante una protesta”: la storia di Sadaf Baghbani
Da anni le donne iraniane combattono per la libertà. Fin da quando sono piccole vengono "addestrate" a stare in silenzio e ad accettare tutte le regole imposte dalla Repubblica islamica. C'è chi si oppone, chi fin da piccola fa sentire la sua voce. Il rischio però è sempre alto: in Iran quasi tutte le donne sono state arrestate almeno una volta. E c'è chi ha vissuto di peggio.
Sadaf Baghbani, 30 anni, si è sempre ribellata e ha rischiato la vita. Durante una manifestazione le hanno sparato contro 150 proiettili di piombo, che ancora sono nel suo corpo. Ora vive a Milano, ma tutta la sua famiglia è ancora in Iran. In Italia è riuscita ad arrivare grazie a un visto, aiutata dal registra teatrale Ashkan Khatibi che ora racconta la storia di Sadaf (lei stessa è l'attrice protagonista) nello spettacolo teatrale "Le mie tre sorelle". A Fanpage.it Sadaf ha ripercorso cosa le è successo.
Quando sei scappata dall'Iran?
"Un anno fa, ma non direi che sono scappata. Ho cambiato il mio modo di combattere. Questo perché per arrivare alla vittoria bisogna cambiare strategia. Non vale solo per me, ma per tutti quelli che combattono contro la Repubblica Islamica.
Quando mi hanno colpita con le pallottole di piombo sono scappata. Ma non quando sono arrivata a Milano. In Iran non smettevo mai di protestare: in tanti mi dicevano che stavo esagerando. Penso che si debba smettere di pensare di avere una vita normale perché la rivoluzione richiede che tutti debbano pagare un prezzo.
In Iran però mi sono accorta che anche comprando una bottiglia d'acqua davo i soldi alla Repubblica Islamica. Ho capito che anche respirare lì significava approvare la Repubblica Islamica. Non volevo più averci a che fare e ho deciso di andare via. Anche perché la mia lotta ostinata era diventata ‘esagerata'. Rischiavo sempre di più. Sono andata via dal mio Paese perché non avevo la libertà".
Ci spieghi la tua (la vostra) battaglia?
"La caratteristica peculiare di questa rivoluzione è che noi non usiamo le armi. In particolare noi donne abbiamo utilizzato i nostri capelli: abbiamo tolto il velo e li abbiamo usati contro chi armato lo è veramente. Ci tengo a precisare che questa è una lotta di tutto il popolo iraniano. Lottare è anche svegliarsi ogni mattina e decidere di uscire di casa indossando ciò che vogliamo. Vogliamo trasformare ciò che è brutto in qualcosa di bello".
Cosa vuol dire essere donna in Iran?
"Essere donna nella Repubblica Islamica è particolarmente difficile perché la caratteristica principale – proprio dell'essere donna – è la bellezza ed è proprio quello che la Repubblica Islamica combatte in tutti i modi. Ti copre non solo fisicamente ma cerca di occultare le tue idee, di importi delle regole. Fin dalle elementari le bambine devono vestirsi in un certo modo. Già da piccole ci viene inculcato un senso di colpa per il semplice fatto di essere donna. Perché hai il seno? Perché hai il ciclo mestruale?".
Quando hai iniziato a protestare?
"Ho iniziato a protestare fin dalla prima elementare. Se durante la ricreazione ci cadeva il velo dalla testa, gli insegnanti ci riprendevano. Ogni volta ci toglievano un voto in condotta. Io lo facevo cadere sempre.
La lotta delle donne iraniane non è iniziata il 16 settembre del 2022 con la morte di Mahsa Amini. Molte donne iraniane più volte nella loro vita sono state portate in commissariato e sono state multate. Molte ragazze appartengono a famiglie tradizionali: quindi quando tornano casa hanno una doppia punizione. Tutto questo noi lo avevamo già sperimentato nella vita: la morte di Mahsa Amini però è stato un fatto atroce che ci ha unito ancora di più. La nostra lotta è diventata più intensa".
Sei mai stata arrestata?
"Più di una volta sono stata fermata dalla polizia morale. Ricordo un episodio: due anni prima la morte di Mahsa Amini sono stata arrestata esattamente nelle stessa stazione della metropolitana di Teheran dove è stata fermata anche lei. Mi hanno portata anche nello stesso commissariato. Mi hanno arrestata perché non avevo i pantaloni sotto la gonna.
Ho fatto il tragitto su una camionetta con altre ragazze: intanto ho protestato e ho alzato la voce, mentre le altre ragazze mi dicevano di stare zitta, perché altrimenti sarebbe stato peggio. Questa è una cosa tipica della Repubblica Islamica, ovvero mettere l'una contro l'altra.
Quando ci hanno portate in commissariato eravamo circa 70 ragazze. Ci sono giorni in cui la Polizia morale ha una sorta di ‘consegna': arrestare almeno 100 persone, delle vere e proprie retate. Una volta lì mi hanno detto di alzare la gonna per fotografarmi ma mi sono rifiutata perché quando mi hanno arrestata la mia gonna non era alzata ma abbassata. Sono rimasta fino a mezzanotte circa quando la mia famiglia è venuta a prendermi.
Mentre attendevo, stavo in silenzio e leggevo. Altre ragazze invece protestavano. Dopo mi sono sentita in colpa: stare tranquilla e in silenzio è quello che ci hanno insegnato fin da piccole. Molte di quelle ragazze che protestavano sono state portate in centri di rieducazione comportamentale. Mi sono sempre chiesa se anche Mahsa prima di entrare in coma a causa dei pestaggi avesse protestato. È una domanda che mi faccio spesso".
Qual è stato l'episodio più grave che hai subito?
"Era il 3 novembre del 2022, era il 40esimo giorno dopo la morte della manifestante Hadis Najafi. Ho aderito al più grande appello fatto dal movimento rivoluzionario ‘Donna vita libertà'. Avevamo la consapevolezza del pericolo, sapevamo che saremmo potuti morire.
Ci siamo dati appuntamento nel cimitero dove la manifestante era stata sepolta, a Beheshte Sakineh, vicino la città di Karaj. Gli agenti in borghese ci hanno fatto entrare, ma una volta dentro hanno chiuso le porte. A un certo punto hanno iniziato a rincorrerci e a spararci contro. Sono riuscita a fuggire e a correre fuori. C'era un terreno sterrato e sono caduta.
In un primo momento pensavo di essere stata colpita da dei sassolini, invece ho visto il sangue. Ero stata colpita all'occhio sinistro. Mi avevano sparato contro 150 proiettili di piombo. In quei pochi secondi ho pensato di morire.
Altri manifestanti mi hanno presa mentre ero priva di sensi e mi hanno portata via per evitare che gli agenti prendessero il mio corpo. Così ho evitato di essere stata violentata. Non ero morta fortunatamente. Mi hanno caricata su una macchina e mi hanno portata via. Sono però riuscita a contattare la mia famiglia che è arrivata poco dopo.
Ero piena di sangue, pensavo che non ce l'avrei fatta. Sono sopravvissuta. Ho ancora 150 pallini di piombo nel mio corpo. Durante quella protesta sono morte alcune persone: alcune sotto i colpi ricevuti, altre sono state arrestate, condannate a morte e poi impiccate. Come Mohammad Mehdi Karami e Mohammad Hosseini, il 7 gennaio del 2023″.
In Iran hai avuto l'appoggio della tua famiglia per le tue proteste?
"So che essere mia madre non è facile. Però mi ha sempre supportata, fin da quando mi ribellavo alle elementari. Se sono quella che sono oggi – una ragazza che vuole far valere le proprie idee – lo devo anche ai miei genitori. Il coraggio è qualcosa che erediti e che cresce di generazione in generazione.
Mia madre mi diceva sempre che dovevamo essere intelligenti quando protestavamo perché siamo pochi – diceva – e se ci avessero eliminati tutti si sarebbe fermata la protesta".
Che lavoro facevi in Iran?
"Ho sperimentato tantissimi lavori. Negli ultimi due anni ho fatto un lavoro non pagato: recitavo in spettacoli teatrali clandestini (underground) dove non indossavamo il velo. Per questo non potevamo vendere i biglietti e farci pubblicità, e quindi non avevo nessun introito. Guadagnavo lavorando in un'azienda pubblicitaria, mi occupavo della parte creativa della scrittura".
Tu vuoi e puoi ritornare in Iran?
"Dopo due settimane dal mio arrivo in Italia sono andata in Questura e ho consegnato il mio passaporto perché ho iniziato l'iter per richiedente asilo che ho poi ottenuto. Quindi non posso più rientrare. Ci potrei tornare solo via terra e di nascosto dal governo italiano e iraniano. Ma al là del mio status, tornare in Iran sarebbe come salire su un grattacielo e buttarmi giù. Io ho calpestato ogni regola e legge sancita dalla Repubblica islamica. Quindi no, non posso tornare. Fortunatamente però riesco a sentire regolarmente la mia famiglia".