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Covid 19

Apocalisse Ecuador, cadaveri bruciati in strada o gettati nei cassonetti

A Guayaquil, in Ecuador, la città più colpita del Paese dall’emergenza Coronavirus, il sistema funerario è collassato e gli obitori sono pieni, al punto che le famiglie dei defunti devono lasciarne i corpi per strada, nell’immondizia avvolti da sacchi plastica o darli alle fiamme. Le immagini drammatiche dei cadaveri hanno fatto il giro del mondo. La polizia ne ha già recuperati 300. Braccio di ferro tra la sindaca e il governo centrale: al via la costruzione di una fossa comune.
A cura di Ida Artiaco
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Sono immagini drammatiche quelle che arrivano direttamente dalla città di Guayaquil, in Ecuador, la più colpita del Paese sudamericano dall'emergenza Coronavirus: i cadaveri dei deceduti per Covid-19 e non solo vengono lasciati in strada, gettati nell'immondizia avvolti in sacchi di plastica o dati alle fiamme in attesa di essere seppelliti, il tutto mentre intorno continua a scorrere la vita di tutti i giorni. I social network sono stati invasi da video e foto degli utenti che hanno denunciato una situazione diventata insostenibile. In uno di questi filmati, addirittura, data la mancanza di ambulanze e la scarsa capacità di capienza degli obitori, che sono ormai pieni, si vede un gruppo di agenti di polizia lanciare da un camioncino una salma in strada. Anche le famiglie dei defunti sono costretti a portare i corpi senza vita dei loro cari fuori dalle abitazioni, negli angoli, nei portoni o nei contenitori dell'immondizia, avvolti in rudimentali sacchi di plastica, per evitare ulteriori contaminazioni all'interno.

Sistema funerario al collasso: 300 cadaveri recuperati in strada

Alcuni testimoni hanno raccontato di aver chiamato i numeri di emergenza per far ritirare i morti, anche per patologie non strettamente legate al Coronavirus, ma nessuno ha dato loro una soluzione, il sistema funerario è collassato e i corpi sono rimasti in casa per due e anche quattro giorni di attesa. Da qui la decisione di lasciarli in strada. Di fronte a questa situazione, che va avanti da almeno una settimana, il presidente Lenín Moreno ha annunciato lunedì scorso la creazione di una task force sotto la responsabilità di Jorge Wated, in modo che i compatrioti che sono morti a Guayaquil abbiano la degna sepoltura che meritano, ma al momento la crisi non è ancora stata risolta, con le autorità che continuano a riconoscere le difficoltà nel ritirare i cadaveri delle persone decedute. Sconvolgente la testimonianza di una donna, Jésica Castañeda, rilasciata alla BBC Mundo: "Mio zio è morto il 28 marzo e nessuno viene ad aiutarci. Gli ospedali ci hanno detto che non avevano barelle e lui è deceduto a casa. Il corpo è ancora lì, a letto, perché nessuno può toccarlo". E ancora un'altra: "Il clima qui rende il livello di decomposizione dei cadaveri più veloce che in altre parti del paese. Ho sentito parlare del caso di un defunto nella sua camera da letto i cui parenti hanno portato il corpo sul materasso direttamente sul marciapiede". Sono già 300 i cadaveri recuperati in queste condizioni.

A Guayaquil al via la creazione di una fossa comune per la sepoltura

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A Guayaquil, capoluogo della provincia di Guayas da 2.8 milioni di abitanti che sorge sulle coste del Pacifico, si registrano al momento 1.615 casi sul totale di 2.302 in tutto l'Ecuador, ma molti pazienti non vengono neppure controllati. Anche la sindaca della città, Cynthia Viteri, ha annunciato di essere positiva al Covid-19: la donna ha attaccato duramente il governo centrale, che dovrebbe essere il responsabile della raccolta dei cadaveri. "Nessuno vuole recuperarli", ha detto in un video messaggio su Twitter, mentre si lavora alla creazione di una fossa comune in cui seppellire i deceduti. Il comandante della Marina nazionale, Darwin Jarrín, che ha assunto il coordinamento militare e di polizia per la provincia di Guayas il 30 marzo, ha assicurato sempre a BBC Mundo che entro giovedì 2 aprile tutti i defunti saranno sepolti a Guayaquil.

Coronavirus, l'infezione portata dai ricchi ai più poveri

Ma quella legata alle sepolture non è l'unica emergenza che il Paese sudamericano sta affrontando. Non bisogna dimenticare neppure quella sanitaria: stanno facendo il giro del web le immagini che ritraggono alcuni medici utilizzare come maschere di protezione delle bottiglie d'acqua di plastica mentre negli ospedali non c'è più neanche un posto libero e i pazienti vengono lasciati a loro stessi. Il primo caso confermato in città risale al 29 febbraio scorso: si trattava di una donna di 70 anni che era arrivata due settimane prima dall'Italia e risiedeva fuori Guayaquil, come riporta il Los Angeles Times. È morta due settimane più tardi, poco prima che il presidente Moreno imponesse misure restrittive per il contenimento dell'infezione e chiudesse in confini. Molti accusano i "ricchi" del Paese di essere stati i responsabili dell'arrivo dell'infezione: sotto accusa anche le profonde relazioni con la Spagna, grande focolaio europeo del Coronavirus. "Il nuovo virus è arrivato attraverso chi viaggiava, si è diffuso durante alcune feste e ricevimenti, soprattutto tra le persone ricche – ha spiegato Guayaquil Anastasio Gallego, uno dei responsabili nella città dell’Hogar de Cristo, il centro di accoglienza per poveri, senza dimora e migranti gestito in collaborazione con i gesuiti -. I contagiati sono in gran parte o dell’alta società oppure del segmento più basso, cioè chi alle feste prestava servizio. Sono pochi, invece i malati nella classe media".

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