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Aggiornamenti sull'incendio della Grenfell Tower a Londra

Antonio, italiano sopravvissuto al rogo di Londra: “Ho perso tutto, ma sono fortunato”

Il racconto di un sopravvissuto italiano che si trovava al decimo piano della Grenfell Tower di Londra, dove due settimane fa sono morte circa 80 persone. A salvarlo è stato il figlio rincasato verso l’1.30 di notte.
A cura di Biagio Chiariello
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Nella Grenfell Tower di Londra, distrutta da un terribile incendio due settimane or sono, viveva anche Antonio Roncolato. A differenza di molti altri però lui è riuscito a salvarsi. In una lunga intervista al quotidiano la Repubblica, l’uomo ha raccontato la drammatica esperienza di quella notte e di come è sopravvissuto: "Le cose non hanno importanza, l'importante è essere vivo". L’uomo è a Londra dal 1984, lavora al Millennium Hotel di Kensington, dove è capo-sala, responsabile del breakfast e del lunch. Dopo essersi sposato ed aver avuto un figlio, ha deciso di andare a vivere nella Torre, situata nei pressi di Notting Hill: “Era una Council House, un alloggio popolare, sovvenzionato dallo Stato, con affitti convenienti, decisamente più bassi dei prezzi di mercato” spiega. Non a caso ci viveva “gente comune, lavoratori: autisti di bus, operai, addetti come me alla ristorazione. Classe lavoratrice, di tutte le razze e di tutte le religioni” dice Antonio. L’uomo stava dormendo, quando è stato svegliato dal figlio rientrato a casa circa all’1.30: “’Papà, la torre brucia!'. Sono andato alla finestra, venivano giù pezzi di cemento incandescente, fuori c'era una gran confusione, poi sono arrivati i mezzi di soccorso, i pompieri, la polizia" ricorda.

Cosa ha fatto a quel punto?
"La porta di casa scottava. Ho provato ad aprirla con un asciugamano, ma è entrato subito un fumo nero e caldo che mi ha fatto lacrimare gli occhi. Allora ho richiuso, ho steso dei panni bagnati per terra vicino alla porta, mi sono vestito, ho messo i documenti e il computer in uno zainetto e ho aspettato. Accendevo e spegnevo la luce, per segnalare all'esterno che c'era qualcuno vivo in casa mia. Ed ero in contatto telefonico con mio figlio, che a un certo punto mi ha passato un pompiere, il quale mi ha detto di restare nell'appartamento. D'altra parte era impossibile fare diversamente. Ho provato un'altra volta ad aprire la porta di casa, ma il fumo era ancora più denso".

Nonostante la situazione concitata, Antonio ha pensato di chiamare a lavoro: “Domani non vengo”, poi ha dato disposizione per la giornata. “Ero stranamente abbastanza calmo, perché le fiamme, anche se il grattacielo era pieno di fumo, erano ai piani più alti. Ma un po' dopo le 4 ha cominciato a prendere fuoco una finestra di casa mia e in quel momento ho pensato che sarebbe finita male. Miracolosamente, i pompieri avevano iniziato a indirizzare acqua verso la parte più raggiungibile della torre, i piani più bassi, compreso il mio. E hanno rovesciato una montagna d'acqua sul mio appartamento, spegnendo il fuoco” racconta.

Aveva paura?
"Ero stranamente abbastanza calmo, perché le fiamme, anche se il grattacielo era pieno di fumo, erano ai piani più alti. Ma un po' dopo le 4 ha cominciato a prendere fuoco una finestra di casa mia e in quel momento ho pensato che sarebbe finita male. Miracolosamente, i pompieri avevano iniziato a indirizzare acqua verso la parte più raggiungibile della torre, i piani più bassi, compreso il mio. E hanno rovesciato una montagna d'acqua sul mio appartamento, spegnendo il fuoco, inondando tutto. Così mi sono un po' tranquillizzato, ma le stanze si stavano riempendo di fumo e facevo fatica a respirare, per quanto avessi aperto le finestre per fare entrare aria".

E come è venuto fuori di lì?
"Alle 6 e 20 ho sentito bussare forte alla porta, ho aperto e c'erano due pompieri con le maschere ad ossigeno. Mi hanno detto che cosa avremmo dovuto fare, l'ho ripetuto per essere sicuro di avere capito bene. Ho messo un asciugamano fradicio d'acqua in testa, mi sono praticamente aggrappato a un pompiere e l'altro si è messo dietro di me, e così uno attaccato all'altro siamo usciti nel corridoio e poi giù dalle scale per dieci piani senza fermarsi un attimo. Ah, mio figlio mi aveva ricordato che in un cassetto c'erano i suoi occhialini da nuoto, li avevo indossati per proteggere gli occhi. E in due minuti ci siamo ritrovati fuori, in strada, all'aperto. Per prima cosa mi hanno messo un casco protettivo, perché dall'alto cadeva di tutto. Poi mi hanno portato da qualche parte, mi hanno dato una bottiglia d'acqua e una coperta. E poi via, in ospedale, perché avevo respirato un sacco di fumo. In ambulanza ho mandato un messaggino a mio figlio: "I am out, I am good", sono fuori, tutto bene. In ospedale mi hanno messo una flebo, fatto gli esami del sangue e verso l'una del pomeriggio mi hanno rilasciato".

È andato in un centro accoglienza?
"No, sono andato dai miei parenti colombiani, che erano stressatissimi e preoccupatissimi. E lì ho rincontrato finalmente mio figlio, che era più stressato di me, perché lui vedeva la torre bruciare da dietro i cordoni della polizia, da una certa distanza, e non poteva sapere che al decimo piano non c'erano fiamme".

Antonio non ha più niente “tranne il passaporto, la patente, il computer”, ma “non ha importanza. Le cose non hanno nessuna importanza, si sostituiscono, l'importante è essere vivi. Comunque le autorità ci stanno aiutando con dei soldi e i volontari ci danno di tutto, sia i privati che i negozi della zona, cibo, vestiti, anche cose nuove, come le scarpe che porto adesso, sono stati tutti molto generosi".

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