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Andrés, l’hacker che ti fa vincere le elezioni con 600 mila dollari

Sepúlveda, 31 anni, è in carcere in Colombia. Intervistato da Bloomberg racconta di quanto sia stato facile per lui manipolare l’elettorato attraverso i social media e il furto di documenti. Il presidente messicano Enrique Peña Nieto avrebbe vinto grazie ai suoi servigi, pagati 600 mila dollari.
A cura di Giorgio Scura
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Può un hacker influenzare in maniera decisiva delle libere elezioni? A sentire le parole di Andrés Sepùlveda, 31 anni, "pirata" informatico di lungo corso, intervistato da Bloomberg, sicuramente sì, e non di un Paese soltanto. Sepùlveda, arrestato in Colombia e condannato a 10 anni per aver "manipolato" le elezioni del 2014 a sostegno del candidato dell’opposizione Óscar Iván Zuluaga, che perse al ballottaggio contro Juan Manuel Santos, avrebbe aiutato il presidente messicano Enrique Peña Nieto a vincere le elezioni nel 2012, circuendo l’elettorato attraverso la Rete. Il compenso? Circa 600 mila dollari cash. A rivelarlo è stato proprio lo stesso hacker Andrés Sepúlveda. Lo stesso compito lo ha avuto nelle elezioni in Nicaragua, Panama, Honduras, El Salvador, Colombia, Costa Rica, Guatemala e Venezuela.

Come influenzare l'elettorato

Sepùlveda ha confessato di aver attuato una "guerra sporca" utilizzando la Rete e in particolar modo i social media, con la creazione e il controllo di una miriade di account Twitter, grazie a software creati da lui con noi affascinanti come "Social Media Predator". Campagne tese a screditare l'avversario, pettegolezzi, propaganda. Notizie vere o false, cambia poco. Il tutto serve a far rumore, a distrarre, ad alzare ondate di entusiasmo o di rabbia. Poi l'azione da vero hacker: assieme a sei complici, ha rubato dati e installato programmi-spia nei computer degli avversari politici di Nieto, ovvero Josefina Vázquez Mota e il socialista Andrés Manuel López Obrador. Accuse pesantissime, che ovviamente il governo messicano ha smentito.

Lo fanno anche negli Stati Uniti

Non solo nella serie House of Cards, in cui a un certo punto Frank Underwood si avvale dei big data di un motore di ricerca per vincere le elezioni. "Quello che faccio io – ha detto Sepùlveda – sono certo al 100% che viene fatto anche dagli Stati Uniti". Lui invece si dice mosso da ideali politici di destra, quindi in chiave anti-Chávez e Ortega e che ha rifiutato diverse offerte di lavoro anche dalla Spagna.

Quel codice QR tatuato in testa

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Sul suo cranio rasato si è fatto tatuare un codice QR (un piccolo grafico che letto dai cellulari può portare a un sito web o a un qualsiasi altro contenuto) e le parole “</head>” e “<body>”, due elementi HTML che indicano la fine della testata di una pagina web e l’inizio del corpo della pagina.

Prove distrutte nel microonde

Nell'intervista, l'hacker racconta di come il 2 luglio del 2012, una volta chiara la vittoria di Nieto, abbia distrutto tutte le prove che lo legavano a quella che Bloomberg descrive come una delle campagne elettorali più sporche del Sud America negli ultimi anni. Così ha messo nel microonde gli hard disk e i telefonini e ha tritato documenti e appunti.

Il tariffario dell'hacker

Sepùlveda, che viaggiava sempre con documenti falsi, racconta anche di un primo lavoro, nel 2005, pagato 15mila dollari per un mese (rubò il database di un rivale dell'allora presidente della Colombia Alvaro Uribe) e di un vero e proprio tariffario per il suo lavoro. Così per mettere sotto osservazione un telefono servono 12 mila dollari al mese, stessa cifra per la creazione o la clonazione di siti fasulli; 20mila dollari mensili per intercettazioni digitali, attacchi e decodificazioni di documenti criptati. Sepúlveda ha detto inoltre che molti dei candidati che ha aiutato potrebbero non essere stati messi a conoscenza del suo ruolo.

Il potere di far credere alla gente tutto

Nel corso del tempo Sepúlveda ha capito che manipolare l’opinione pubblica era facile «come spostare i pezzi di una scacchiera»: «Quando mi sono reso conto che la gente crede più in ciò che si dice su Internet che alla realtà, ho scoperto che avevo il potere di far credere quasi tutto».

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