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Opinioni

Anche per gli stage gli Usa sono ancora la terra promessa

In Italia è già tanto se riuscite a trovare un lavoro retribuito, figuriamoci uno stage. Negli Usa, invece, aziende come Google, Amazon e Microsoft pagano profumatamente i propri stagisti: dai 5.500 ai 7.000 dollari al mese.
A cura di Luca Spoldi
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Nell’Italietta dove mediamente un lavoratore dipendente deve lavorare poco meno di 10 giorni per ottenere quello che un manager guadagna in un’ora (il doppio che in Gran Bretagna e Francia, più del doppio che in Germania, ma attenzione, ancora meno che in Ucraina, Russia o Romania, come dire che potrebbe non esserci fine al peggio) e dove gli amministratori delegati, solitamente abilissimi a gestire le relazioni coi loro “grandi elettori”, a volte un po’ meno a creare valore per tutti gli stakeholder (nel caso di società quotate a volte anche solo a creare valore per gli azionisti che non siano legati da patti di sindacato), guadagnano in media 957 dollari all’ora contro i 616 dollari di paga oraria media in Gran Bretagna o i 551 dollari medi in Francia o ancora i 546 dollari medi in Germania, non è una di quelle notizie che possa far troppo piacere. Ma, soprattutto se siete giovani, è bene che sappiate che il gruppo americano Google, negli Stati Uniti, paga mediamente 5.800 dollari al mese ai propri stagisti.

Sì, avete letto bene, stagisti non dipendenti né funzionari né tanto meno manager, semplicemente stagisti, ossia lavoratori che staranno in azienda dai 3 ai 6 mesi. Secondo il sito Glassdoor lavorare anche solo per pochi mesi nel gruppo Google può fruttare a un neolaureato sui 5.800 dollari al mese (notare: negli Stati Uniti. La cosa non vale, “ovviamente” in Italia), ma se la persona è specializzato in ingegneria del software la paga media sale a 6.700 dollari. Nel paese in cui non molti anni fa mi capitò di scontrarmi con un noto imprenditore campano che voleva convincermi che uno stage deve essere gratuito, “anzi, dovrebbero pagarmi i miei stagisti perché io insegno loro un mestiere”, nella patria del precariato a vita come unica prospettiva per la disgraziata generazione di italiani attualmente tra i 20 e i 30 anni, parlare di stage pagati sembra un’eresia, ma se promettete di non arrabbiarvi vi vorrei segnalare come fossero normali ancora pochi anni fa anche da noi (nel 1991 mi capitò di fare uno stage in 3M Italia in controllo di gestione, poco prima di laurearmi, e venni regolarmente pagato, mese per mese, all’incirca la stessa cifra che al giorno d’oggi viene proposta a chi lavora in un fast food o in un supermercato con mansioni generiche).

Non è solo Google a “strapagare” i propri stagisti, anche Microsoft e Amazon propongono cifre di tutto rispetto, tra i 5.500 e i 7 mila dollari al mese in media. C’è da dire che neppure negli Stati Uniti in questo momento casi come quelli di Google, Microsoft o Amazon sono la norma, piuttosto un’eccezione virtuosa indotta dal tentativo di accaparrarsi i migliori talenti sul mercato sin da dopo l’uscita dalle università. Per questo gli americani che possono mandano i figli all’università, anche a costo di caricarsi (o caricarli) di debiti, visto che secondo una recente indagine dell’agenzia Bloomberg il totale dei prestiti erogati agli studenti americani (dunque del debito che grava sulle loro spalle ancora prima di avviare un’attività o essere assunti da un’azienda) ha ormai superato i mille miliardi di dollari. Una situazione per alcuni paradossale, tanto che non sono pochi gli imprenditori di successo che negli Stati Uniti consigliano ai ragazzi di valutare bene l’alternativa: se siete portati e avete talento studiate e potrete sperare in lavori divertenti, prestigiosi e ben pagati, ma se non avete voglia di spremervi troppo le meningi o non sopportate l’idea di passare la vostra vita in ufficio, lasciate perdere e tornate a fare lavori come l’idraulico, il panettiere, il carpentiere e simili.

Tutto sommato un consiglio molto sensato, ma non fatevi ingannare da chi va ripetendolo periodicamente anche in Italia, magari aggiungendo che se non trovano lavoro la colpa è solo dei nostri ragazzi, troppo “choosey”, schizzinosi. In realtà persino in un sistema ormai sclerotizzato come quello italiano i lavori del futuro (e sempre più del presente) richiedono consistenti investimenti in termini di competenze da maturare o tramite lo studio o con l’esperienza sul campo. Però c’è un però: sinché la crisi economica non sarà superata (e non sperate che la cosa capiti nei prossimi mesi), le aziende difficilmente faranno assunzioni non solo e non tanto a causa del peso del cuneo fiscale o della mancanza di credito, di cui vi ho già parlato, quanto perché la domanda interna continua a calare (assieme al reddito disponibile nelle tasche degli italiani, al netto dei prelievi fiscali) e dunque investimenti vengono fatti solo da quelle aziende che riescono a competere all’estero e non sono moltissime (e per di più tendono, come logico che sia, ad investire direttamente sui mercati di sbocco più che sull’Italia). Fino a quel momento, dunque, o fate un investimento su voi stessi, pronti eventualmente a cogliere opportunità di crescita professionale anche all’estero, o incrociate le dita e sperate che “il momentaccio brutto” passi alla svelta, nel frattempo sognando l’America, anzi Google.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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