“Amazzonia distrutta e genocidio tribù se vince Bolsonaro”, dice l’Ong che difende gli indigeni
Quarantotto a quarantatré. Il "primo round" delle elezioni presidenziali brasiliane ha visto Luiz Inacio Lula da Silva prevalere su Jair Bolsonaro, senza tuttavia riuscire a raggiungere la soglia del 50% necessaria per imporsi al primo turno.
Il candidato di sinistra ha avuto la meglio in 14 stati, mentre lo sfidante – presidente uscente – ha prevalso in 12, più il distretto federale della capitale Brasilia. I due si affronteranno al ballottaggio del 30 ottobre.
Chi si aspettava un successo schiacciante di Lula è dunque rimasto deluso. Cosa accadrà tra 25 giorni? Difficile fare previsioni. Per i sondaggisti Lula dovrebbe riuscire a prevalere perché su Bolsonaro pesano i gravi errori nella gestione della pandemia – costati la vita a 686mila persone – e l'atteggiamento rispetto a un altro grande tema, quello della devastazione dell'Amazzonia.
Ma proprio in Amazzonia la situazione è ancora in bilico. Nello stato della Rondônia i due politici arrivati al ballottaggio sono l’attuale governatore Marcos Rocha (União Brasil) e Marcos Rogério (Pl), entrambi supporter di Bolsonaro ed entrambi dotati di un programma totalmente votato sull’agribusiness. Negli ultimi otto mesi dell'amministrazione Rocha, per esempio, sono stati distrutti dal fuoco 46 milioni e mezzo di alberi.
Anche in Amazonas, il più esteso stato brasiliano, si andrà a ballottaggio e l’attuale governatore, il bolsonarista Wilson Lima, promette di rafforzare l’agribusiness. In Mato Grosso, il secondo stato con il più alto tasso di deforestazione dopo il Pará, il governatore rieletto con l’appoggio di Bolsonaro, Mauro Mendes, si è distinto per gli attacchi ai popoli originari e agli ambientalisti.
Insomma, dopo scempio di cui è stato capace il governo Bolsonaro in materia ambientale, quello di domenica avrebbe dovuto essere, anche, un voto a favore dell’Amazzonia e degli altri ecosistemi del paese. Così, però, non è stato. Fanpage.it ne ha parlato con Francesca Casella, direttrice di Survival International Italia, sezione nazionale del movimento mondiale per i popoli indigeni.
Il prossimo 30 ottobre si svolgeranno i ballottaggi tra Lula e Bolsonaro. Chi vedete come favorito tra questi due politici?
Lula resta il favorito ma la situazione è molto precaria. In questi giorni la sua squadra è in contatto con lo staff di Ciro Gomes e Simone Tebet, gli altri due candidati alla presidenza, per convincerli a sostenerlo apertamente invitando i loro elettori a votare per lui; sarebbe senz’altro un aiuto per il secondo turno.
Se Lula dovesse vincere, però, non sarà facile per lui e per il suo governo proteggere i diritti e le terre dei popoli indigeni, perché domenica al Congresso è stato eletto un ampio numero di politici anti-indigeni, tra cui Ricardo Salles, ex Ministro dell’Ambiente di Bolsonaro (sotto il cui ministero la deforestazione in Amazzonia è aumentata drasticamente) e Damares Alves (predicatrice evangelica favorevole al contatto forzato con le tribù incontattate). Ad ogni modo, la situazione sarebbe senz’altro migliore di quella che abbiamo visto di questi anni di governo Bolsonaro, e Lula avrebbe comunque la possibilità di fare cambiamenti importanti, ad esempio nominando nuove figure in ruoli chiave nelle istituzioni responsabili di proteggere i territori indigeni, come il FUNAI (il Dipartimento brasiliano agli Affari Indigeni).
Sia Lula che Bolsonaro hanno già governato il Brasile: c'è qualcosa in cui si sono distinti nel rapporto con le popolazioni indigene?
Nessun governo ha mai veramente adempiuto ai suoi obblighi costituzionali in materia di diritti dei popoli indigeni. Basti pensare che con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1988, al Governo erano stati dati solo 5 anni di tempo per demarcare tutti i territori indigeni ancora in attesa di riconoscimento. Ciò nonostante, oggi sono oltre 200 le terre che stanno ancora aspettando la fine del processo o un qualche intervento da parte delle istituzioni. Lula ha anche sostenuto il progetto di costruzione della mega-diga di Belo Monte sul fiume Xingu, nonostante non avesse il consenso dei numerosi popoli indigeni coinvolti e nonostante la presenza di popoli incontattati nell’area.
Ma, a differenza di Bolsonaro, Lula ha anche demarcato decine di territori indigeni, come Raposa-Serra do Sol, un grande territorio nell’Amazzonia settentrionale che da decenni era invaso da allevatori di bestiame e coltivatori di riso. Bolsonaro, invece, non ne ha demarcato nessuno.
Come giudicate il governo Bolsonaro?
Negli ultimi 4 anni, i popoli indigeni del Brasile hanno dovuto affrontare il peggior governo anti-indigeno dai tempi della dittatura militare. Il Presidente Bolsonaro e i suoi alleati hanno cercato disperatamente e senza sosta di aprire i territori indigeni all’agrobusiness, al taglio del legno e alle attività minerarie. Le loro politiche e le loro azioni razziste e genocide hanno causato livelli di deforestazione senza precedenti e un numero crescente di omicidi di indigeni e di attacchi alle loro comunità. La retorica anti-indigena di Bolsonaro ha di fatto dato il via libera ad accaparratori di terra, taglialegna, minatori e imprenditori agricoli che si sono sentiti incoraggiati a invadere i territori indigeni sapendo di non dover rispondere delle loro attività criminali. Basti pensare che, rispetto al 2018, le invasioni dei territori indigeni sono aumentate del 180%. Tagliando i fondi e licenziando i funzionari scomodi, inoltre, il Presidente ha soffocato e paralizzato organi governativi cruciali – come il FUNAI e l’Agenzia per l’Ambiente IBAMA – responsabili per legge di difendere le vite e le terre dei popoli indigeni.
Credete che con Lula i diritti degli indigeni verranno maggiormente tutelati?
Lula ha promesso che ribalterà la situazione e che garantirà che i diritti indigeni siano rispettati; nel suo manifesto elettorale si impegna a creare un Ministero per gli Affari Indigeni e a non consentire attività minerarie o di taglio del legno nei territori indigeni. Se dovesse essere eletto, i popoli indigeni veglieranno e premeranno per costringere il suo governo a mantenere gli impegni, così come lo faremo senza sosta anche noi di Survival International.
Come è stata condotta la campagna elettorale tra le popolazioni indigene?
La partecipazione politica degli indigeni è in crescita. In questa tornata elettorale abbiamo visto un numero senza precedente di indigeni candidarsi per un posto al Congresso: è un momento storico. Gli indigeni entrano nelle stanze del potere e questo è cruciale per premere sul piano politico nazionale per il rispetto delle leggi nazionali e internazionali, per la protezione dei territori indigeni, per rafforzare le leggi in materia ma anche per lottare contro l’approvazione di leggi razziste, genocide e anti-indigene, come alcuni emendamenti costituzionali proposti durante la legislatura di Bolsonaro.
Tra i vari candidati indigeni, sono state elette deputate federali Sônia Guajajara e Célia Xakriabá, rispettivamente per gli stati di San Paulo e Minas Gerais. Da gennaio, quindi, queste due donne combattive entreranno a far parte del Congresso, portando con sé tutta la forza e la determinazione che hanno già dimostrato nei tanti anni di lotta per i diritti dei popoli indigeni.
Come si sono mossi i grandi latifondisti?
I grandi allevatori e le lobby dell’agrobusiness si oppongono alla lotta dei popoli indigeni per i loro territori, a prescindere dal fatto che questa si svolga sul piano politico o in prima linea, nei territori stessi. Gli indigeni subiscono spesso ritorsioni e minacce di morte per questo; non è facile ma continuano a lottare perché hanno bisogno delle loro terre per sopravvivere.
Cosa si rischia in Amazzonia in caso di vittoria di Bolsonaro?
Una vittoria di Bolsonaro rafforzerebbe la sua politica e tutti coloro che si sentono incoraggiati da essa a invadere i territori indigeni impunemente: sarebbe un colpo mortale per la devastazione già in corso. Gli scienziati hanno già messo in guardia che, se la deforestazione dovesse continuare, l’Amazzonia raggiungerebbe il punto di non ritorno, entrando in declino. Inoltre, molte altre tribù incontattate potrebbero essere spazzate via e gli ultimi sopravvissuti uccisi nei tentativi aggressivi di derubarli delle loro terre.
Ma la sconfitta di Bolsonaro non risolverebbe tutti i problemi. Per riparare i danni profondi che la sua amministrazione ha arrecato all’ambiente e alle istituzioni preposte alla tutela dei territori indigeni ci vorranno volontà politica e risorse notevoli. Per esempio, sfrattare dal territorio Yanomami i 20.000 cercatori d’oro illegali (di cui fanno parte anche bande criminali pesantemente armate) richiederà molto tempo, così come ci vorrà tempo per risanare i fiumi contaminati dal mercurio e la foresta distrutta. Nel frattempo, le forze politiche e i mercati mondiali che alimentano il genocidio dei popoli indigeni del Brasile continueranno, aggressivi come sempre.
Quali sono le richieste delle popolazioni indigene al prossimo governo?
I popoli indigeni chiedono il rispetto dei loro diritti, e in particolare quello di vivere nelle e delle loro terre: è cruciale per permettere loro non solo di sopravvivere, ma anche di prosperare.
Chiedono in particolare che tutti i territori indigeni siano demarcati al più presto, che gli invasori siano espulsi dalle loro terre e che i responsabili degli omicidi di indigeni come Paulino Guajajara e altri Guardiani della Foresta siano consegnati alla giustizia. E infine, chiedono il riconoscimento del loro diritto all’auto-determinazione, per poter decidere autonomamente del loro futuro.
Ma, a prescindere da chi arriverà nelle stanze del potere di Brasilia e non solo, i popoli indigeni che sono in prima linea continueranno a resistere, con le loro modalità e tutti i loro mezzi, per garantire un futuro sano alle loro famiglie, come fanno da quando i primi colonizzatori arrivarono oltre 500 anni fa.