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Opinioni

All’ombra di Donald Trump: la diplomazia parallela dell’internazionale sovranista

L’articolo di Lorenzo Bagnoli, Luca Rinaldi, Giulio Rubino di IRPI – Investigative Reporting Project Italy, ricostruisce come dagli Stati Uniti si sia organizzata l’internazionale sovranista che, passando per l’Europa, arriva oggi alla Russia di Putin grazie alla diplomazia parallela gestita da lobbisti e pastori evangelici ora molto vicini a Donald Trump.
A cura di Redazione
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L’internazionale sovranista è una rete di relazioni che associa i grandi leader della nuova destra. Il Paese d’origine di questa scuola di pensiero sono gli Stati Uniti, quello d’elezione la Russia di Vladimir Putin e dei suoi falchi di destra. È questo network che ha costruito la narrazione pro-family, a difesa della cristianità e contro il “globalismo” che ha fatto la fortuna (almeno finora) delle destre alle elezioni. Per comprenderla, bisogna partire da un repubblicano vecchia scuola che per primo ha indovinato il ruolo che i valori tradizionali e la religione avrebbero potuto giocare nella politica di oggi. E che ha capito che le idee politiche  possono essere “in franchising”.

Gli albori dell’Internazionale sovranista: i tre pionieri degli Stati Uniti

L’idea stessa di un’internazionale sovranista appare un ossimoro, eppure tanto le modalità dell’azione politica quanto le tematiche usate come cavalli di battaglia dalla rete sovranista-identitaria sono univoche. Slogan, priorità e metodologie sono sempre identiche  e prese “a pacchetto” da partiti di destra che parevano aver perso una loro narrativa autonoma. I passi per riconquistare influenza nel discorso pubblico sono ormai noti: costante presenza su tutti i media, riduzione di ogni dialettica politica in scontro frontale, personale, e senza esclusione di colpi, utilizzo strategico di strumenti istituzionali per fini politici, distrazione costante della popolazione con continui cambi di attenzione, indicare un nuovo nemico a settimana.

Il “pacchetto” in questione è Made in Usa. Ben prima del predominio dei social media, è stato Newt Gingrich fra i primi ad intuire le potenzialità di questo modo di fare politica. Ex portavoce del Congresso americano fra il ‘95 e il ‘99, ex candidato alle primarie repubblicane nel 2012, dopo il suo ritiro dalla politica ufficiale è rimasto molto attivo come autore, public-speaker e consulente. The Atlantic in un articolo del 2018 lo ha definito “l’uomo che ha distrutto la politica”, per come ha saputo trasformare qualsiasi questione in una battaglia senza esclusione di colpi sui media, con l’unico obiettivo di scuotere l’audience, spararla più grossa possibile, e catalizzare tutta l’attenzione. “Se non sei sul Washington Post tutti i giorni, è come se non esistessi”, è la sua massima.

Gingrich ha fatto scuola, letteralmente, riuscendo ad assumere il controllo del GOPAC, il luogo di formazione politica più importante del partito repubblicano. Dopo l’elezione di Trump, al quale è molto legato, si pensava a un suo ruolo ufficiale alla Casa Bianca. Apparentemente però Gingrich ha rifiutato, con due semplici richieste allegate: la prima, che trapelasse che il suo nome era stato preso in considerazione; la seconda, che sua moglie Callista venisse scelta come ambasciatrice presso il Vaticano, dove secondo diverse fonti stampa la sua attività si è svolta principalmente nella denuncia delle persecuzioni subite dai cristiani in Cina.

Il pastore-lobbista Jim Garlow

Il 2009 è stato un anno chiave per il progetto diplomatico di Gingrich. È allora, infatti, che ha scelto il pastore Jim Garlow per guidare la sua associazione Renewing American Leadership. Fra il 1995 e il 2018, Garlow è stato la guida della Skyline church, una mega-chiesa metodista affiliata alla Wesleyan Church, con una struttura da 26 milioni di dollari vicino San Diego e due auditorium da mille e 2500 posti. Profondo sostenitore del diritto alle organizzazioni religiose di fare diretta attività politica, Garlow quest’anno è stato ospite a Verona del World Congress of Families, il meeting mondiale delle famiglie cristiane provita. Negli Usa gli enti, come quelli religiosi, che beneficiano di “doppia esenzione fiscale” (cioè non pagano tasse e le donazioni che ricevono sono scaricabili dalla dichiarazione dei redditi del donatore) non possono organizzare attività per influenzare direttamente la politica. Eppure nessuno riesce a impedire che questo accada. Buon per Garlow, che nel 2008 è diventato un nome noto in tutto il Paese grazie all’appoggio alla “Proposition 8”, il referendum che abolì (fino al 2013, quando furono reintrodotti) i matrimoni omosessuali in California.

Nel 2018 ha smesso i panni del pastore e indossato quelli del puro lobbista. Ha fondato Well Versed Inc, organizzazione che promuove l’agenda religiosa ultra-cristiana in tutto il mondo. Israele è il Paese dove la sua “cura spirituale” ha più proseliti tra i governanti, ma ha incontrato le più alte cariche governative anche in Egitto, Giordania, Guatemala e Honduras. Non è però l’unico “nunzio” degli Stati Uniti: il pastore evangelico Franklin Graham ricopre lo stesso ruolo, con la Russia in particolare.

L’evangelico che ama la Russia

Fu proprio il padre Billy, uno dei più influenti pastori evangelici di sempre, a viaggiare per primo in Russia nel 1982. Negli anni più duri della Guerra Fredda, è stato considerato quasi un atto di sfida all’establishment repubblicano. Franklin ha continuato nel solco del padre. Da allora, nessun evangelico ha difeso la Russia e le relazioni americane con la Russia come Franklin Graham.

Vicinissimo alla Casa Bianca, Graham è da sempre sostenitore dell’attuale presidente degli Stati Uniti. Dal 2016 è membro dell’Evangelical Executive Advisory Board, un comitato di consulenti che ha l’obiettivo di “aiutare Mr Trump su temi importanti come gli evangelici e le persone di fede in America”. Alcune associazioni negli Usa ne hanno chiesto la chiusura un anno fa in quanto violerebbe, ritengono, la legge federale che impone la separazione fra Chiesa e Stato, ma le attività del comitato continuano ancora oggi. La risposta è forse uno dei migliori riassunti del significato di diplomazia religiosa globale alla base dell’internazionale sovranista: “La verità è che questo board non esiste. È solo un termine che ci portiamo appresso dalla campagna elettorale – ha detto Johnnie Moore, portavoce dell’Evangelical Board -. Non c’è formalmente nessun “advisory board” su questioni di fede alla Casa Bianca”.

Franklin Graham e Donald Trump durante una Cena di Stato in onore del primo ministro australiano alla Casa Bianca
Franklin Graham e Donald Trump durante una Cena di Stato in onore del primo ministro australiano alla Casa Bianca

Grazie alla sua vicinanza al governo e alle sue entrature in Russia, Graham quest’anno ha incontrato il presidente della Duma Vyacheslav Volodin, sotto sanzione negli Stati Uniti dal 2014, nel corso di un viaggio benedetto dallo stesso vicepresidente Mike Pence (sostiene Graham), uno dei falchi dell’amministrazione Trump. Secondo i canali social della stessa Duma, Volodin e Graham avrebbero parlato di relazioni Usa-Russia, discutendo la possibilità di intensificare i rapporti fra la Duma e il Congresso: un eccellente risultato per il non-membro di un advisory board che “non esiste”.

Le connessioni di Graham nel 2016 sono costate un po’ di imbarazzo all’amministrazione Trump. Quell’anno alla National Prayer Breakfast, evento nato nel 1953 su spinta anche di Billy Graham (padre di Franklin) per avvicinare politici e pastori evangelici, tra i gli ospiti c’era la rappresentante di un’associazione russa pro-armi, Maria Butina, in seguito arrestata con l’accusa di fare attività di lobbying senza averne il titolo negli Stati Uniti. Il Dipartimento di Giustizia ha scritto che “agiva come agente di un Paese straniero” e che ha usato quell’evento come porta d’accesso alla politica statunitense. Butina avrebbe voluto poi incontrare Trump con il politico russo Alexander Torshin prima delle elezioni del 2016 e ad organizzare il tutto avrebbe dovuto essere proprio Franklin Graham.

Diplomazie informali, propaganda e porte girevoli che in dieci non solo hanno cambiato l’agenda politica ma sono state in grado di imporre una visione che ha cementato attorno a sé elettori da una parte all’altra dell’Oceano, dagli Stati Uniti alla Russia, contribuendo alla crescita del consenso attorno alle idee sovraniste.

Articolo di Lorenzo Bagnoli, Luca Rinaldi, Giulio Rubino (Irpi- Investigative reporting project Italy)

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