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Il caso di Alex Bertoli, massacrato e bruciato vivo in Messico

Una vicenda kafkiana e dai contorni oscuri: dopo l’assassinio del giovane cuoco triestino Alex Bertoli, la salma viene trattenuta in Messico da quasi un anno e mezzo per una ragione che non si conosce. L’appello della madre: “Ridatemi mio figlio, basta bugie”.
A cura di Gaia Bozza
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"Per me è un'agonia questa, è come avere un cancro che ti mangia 24 ore su 24. Io veramente sono all'esasperazione, non ce la faccio più. Rivoglio la salma di mio figlio. Forse dopo, quando gli avrò dato degna sepoltura, almeno il mio dolore sarà un po' meno pesante, non so come dire". Fa una breve pausa, Loredana Siriani Bertoli; esita, poi si arrende: "Mi mancano le parole". Esistono dolori che la parola non riesce a descrivere e nemmeno sfiorare. Esistono vicende che, ad ascoltarle, fanno arrossire di vergogna e indignazione. Vicende che farebbero impallidire Kafka, che getterebbero nell'umiliazione la più impossibile delle burocrazie. Esistono vicende come quella di Alex Bertoli, un cuoco che a 28 anni decide di trasferirsi. Dal profondo nord, da Capriva in provincia di Trieste, con la moglie Pamela parte per il Messico, e a Mazunte apre un ristorante: "La Dolce Vita".

Pochissimo sappiamo di cosa sia stato di Alex Bertoli. Forse ha contratto un debito ingente, forse qualcuno lo ha contratto con lui, forse si è immischiato in un giro di droga. Le indagini non sono ancora giunte a conclusione, nonostante sia passato quasi un anno e mezzo. Sappiamo solo che la sua breve vita finisce poco distante da casa in maniera orribile: tra il 2 e il 3 maggio 2013 Alex viene massacrato a colpi di bastone e poi, incosciente ma non ancora morto, viene bruciato vivo dai suoi killer. In Messico, racconta la madre, le indagini non hanno prodotto nulla. Alla Procura di Trieste, invece, sono ancora in corso. Ma l'aspetto delle indagini è quello che, ormai,  addolora meno la signora Bertoli, scoraggiata su questo punto: "Quello che è successo ad Alex non riuscirò mai a scoprirlo, ma almeno datemi mio figlio. Non chiedo di più".

Caso Alex Bertoli, parla la madre

In tutta questa inquietante e drammatica vicenda, infatti, la madre di Alex non ha potuto dare una sepoltura ai resti del ragazzo. È da oltre un anno che lo chiede, e nonostante un fitto scambio di mail con Roberta Ronzitti, responsabile dell'ambasciata italiana in Messico, nulla è cambiato. In un botta e risposta, a inizio luglio,  la Ronzitti spiega che il corpo di Alex sarà finalmente messo a disposizione per il rimpatrio la settimana successiva, e si è già in contatto con alcune agenzie funebri. La settimana individuata nella mail arriva, la salma no. La signora Bertoli ricontatta Ronzitti, ma la risposta è che ci sono difficoltà a parlare con il segretario particolare del Procuratore di Oaxaca, lo stato nel quale è avvenuto il delitto. Per questo, l’ambasciata ha scritto al Ministro degli Esteri messicano, ma non ci sono riscontri. Da allora, di nuovo il silenzio: la salma si trova in "ostaggio" in Messico da un anno e tre mesi, per una ragione che non si conosce.  Sorte amara anche per la moglie di Alex, che vorrebbe tornare in Italia ma non ha abbastanza soldi per rientrare. Avrebbe bisogno di un prestito, normalmente concesso ai cittadini italiani residenti all'estero per far rientro in Italia. Ma è lì come "turista", per cui, per l'ambasciata non può ricevere l'assistenza economica.

Le indagini sul Dna

Questa della salma è solo l'ultima tappa di un calvario, supplemento di dolore al terribile delitto, che dura dalla morte del ragazzo. Dopo l'assassinio del giovane Alex, era necessario riconoscere il corpo. La moglie lo aveva riconosciuto da un tatuaggio (ma le versioni sono cambiate nel tempo), e alla madre del ragazzo viene richiesto l'esame del dna. "L'ambasciata italiana in Messico mi comunica che la magistratura deve fare il confronto del dna con quello di mio figlio – spiega la signora Bertoli a Fanpage.it -ma dopo più di un anno mi dicono che non avevano i mezzi per fare un riscontro, e mandano tutto a Città del Messico. Passano intanto altri mesi e quello che emerge è scioccante: il risultato del dna è negativo. Dopo oltre un anno di attesa quello non è mio figlio". Ma il giallo si infittisce: "In seguito prelevano un altro frammento osseo, mi dicono che è perché il precedente era troppo deteriorato, ma mi avvisano che devono rifare la procedura burocratica. Io sono già pronta psicologicamente ad aspettare ma sorprendentemente, dopo dieci giorni arriva il risultato, ed è positivo: c'è corrispondenza tra i nostri dna. Prima l'ambasciata mi dice che ha problemi a comunicare con la magistratura e poi in dieci giorni si ottiene un nuovo risultato? Non mi fido e ormai non sono sicura più di niente, nemmeno che quello sia realmente mio figlio". Né – denuncia – ha avuto un aiuto dalle autorità italiane. E sull'ambasciata denuncia una mancanza di chiarezza: "Mi hanno detto delle bugie. Ancora oggi non conosco il giorno esatto in cui è morto mio figlio. Ho chiesto che venisse effettuato un esame tossicologico – rincara –  che venissero esaminati i tabulati telefonici ma nessuno mi ha mai aiutato in niente. Lo stato italiano si deve vergognare perché è uno schifo, noi cittadini non siamo tutelati per nulla". Poi i dubbi: "Io non sono sicura più di nulla. Non sono sicura che quello sia mio figlio, non sono sicura di quello che mi è stato raccontato: perché non mi ridanno indietro Alex? C'è qualcosa che non devo sapere?"

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