Ahmed Gamal Ziada, giornalista egiziano: “Sono stato 2 anni in carcere. Come Zaki, migliaia di prigionieri”
Migliaia di dissidenti, giornalisti, oppositori politici e attivisti per i diritti umani si trovano in questo momento imprigionati nelle carceri egiziane. Molti sono detenuti arbitrariamente, in attesa di un processo o anche solo delle indagini. In Egitto lo spazio per la libertà di espressione non ha fatto che ridursi da quando il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha preso il potere. Un Paese dove Patrick Zaki è stato graziato, ma rimane colpevole. E dove, per ogni rilascio di un prigioniero, vengono fatti nuovi arresti.
"Era quello l'obiettivo. Rimettere Patrick Zaki in prigione per mostrare che è solo al-Sisi che può concedere la grazia", ha detto a Fanpage.it Ahmed Gamal Ziada. Ahmed è un giornalista egiziano che ha passato circa due anni in carcere a causa del suo lavoro. Ora vive in Belgio e ci ha raccontato la sua storia. Una storia comune a molti di coloro che mettono in discussione la narrativa de Il Cairo, o che semplicemente raccontano le cose come stanno.
"Ho sempre lavorato come giornalista investigativo e sono stato due volte in prigione per il mio lavoro. La prima volta è stata nel 2013, la seconda nel 2015. In totale sono rimasto circa due anni in carcere", ha spiegato il giornalista. Al primo arresto Ahmed è rimasto in carcere fino al 2015 ed è stato poi fermato nuovamente in quello stesso anno.
La storia di Ahmed Gamal Ziada, giornalista egiziano
Per poi raccontare: "La prima volta che sono stato arrestato è successo a Il Cairo, mentre stavo coprendo per lavoro delle proteste studentesche contro il sistema. La seconda mi aspettarono in aeroporto, mentre ero di ritorno dalla Tunisia. Mi accusarono di aver pubblicato fake news. La seconda è stato peggio, non sapevo dove mi trovavo. Nessuno sapeva cosa mi stesse accadendo, è difficile".
Nell'ultimo rapporto di Amnesty International sulla situazione nel Paese si sottolinea come nell'ultimo anno moltissimi giornalisti siano stati arrestati per il loro lavoro o per le loro opinioni critiche nei confronti del governo. Persone che sono rimaste arbitrariamente detenute addirittura prima che cominciassero le indagini. L'accusa è sempre la stessa: diffusione di notizie false, uso improprio dei social network, terrorismo.
"La prima volta mi trovavo in una classica prigione, c'erano anche altre persone – ha raccontato Ahmed – Ma nel 2019 non potevo vedere nulla, non potevo muovermi, non sapevo perché mi trovavo lì o quando sarei finito davanti a un giudice. Era tutto completamente illegale, non è normale trovarsi in un posto del genere. Mi hanno bendato e ammanettato in modo che non potessi muovermi o vedere quello che succedeva. Ogni giorno c'era qualche poliziotto che mi interrogava, mi faceva domande, ma io non potevo vederlo. Sono rimasto bendato per 15 giorni, è stato terribile".
Il report di Amnesty International su prigionieri politici e dissidenti in Egitto
Casi di sparizioni forzate, interrogatori illegali, maltrattamenti e anche di tortura sono stati denunciati sempre da Amnesty International. Nel rapporto sul Paese del 2022 si legge:
Nella seconda metà del 2022, le autorità hanno spostato centinaia di prigionieri trattenuti per motivi politici dal complesso carcerario di Tora, a sud del Cairo, al nuovo maxi-penitenziario di Wadi al-Natrun, a nord della capitale, e nel complesso carcerario di Badr, a nord-est del Cairo. Qui, come in altre strutture, le condizioni erano crudeli, disumane e degradanti, con i prigionieri che ne denunciavano il sovraffollamento, la scarsa ventilazione, la mancanza d’igiene e l’inadeguata quantità di cibo, acqua potabile, aria fresca ed esercizio fisico. Le autorità hanno negato ai prigionieri l’accesso a cure mediche adeguate e limitato indebitamente o vietato i contatti con il mondo esterno, in alcuni casi anche deliberatamente, nell’intento di punire il dissenso. Nel carcere di Badr 3, un divieto generico imposto dalle autorità proibiva a tutti i detenuti di ricevere le visite dei familiari e degli avvocati e la corrispondenza scritta.
Proprio la situazione nelle carceri egiziane era al centro del lavoro di Ahmed quando è stato arrestato per la seconda volta. "Sono stato in Tunisia per una collaborazione con un giornale investigativo. Quando sono tornato in Egitto erano le due di pomeriggio: mi hanno fermato in aeroporto e mi hanno tenuto lì fino a notte inoltrata, in una stanza con dei poliziotti che mi facevano domande sul mio lavoro. In quel momento stavo lavorando a un report sulle carceri in Egitto dopo la rivoluzione, perché non c'era alcun dato sulle prigioni nel Paese da dopo il 2011".
Dati e testimonianze sulle carceri egiziane: il lavoro per cui è stato arrestato Ahmed Gamal Ziada
Un report che poi Ahmed è riuscito a pubblicare in autonomia (si può consultare a questo link). Si tratta di un lavoro articolato, che raccoglie dati e testimonianze sulle carceri in Egitto dopo la rivoluzione del 2011. Vengono elencate le nuove prigioni, costruite in tutta fretta dopo il 2011, ma anche i luoghi di detenzione illegali. Entrambi, comunque, sono teatro di irregolarità e violazioni, nella totale impunità delle forze di sicurezza e delle autorità. Si raccontano la mancanza di rispetto per i diritti umani e per lo stato di diritto, gli abusi e le violenze.
"Mi fecero tante domande sul mio lavoro, su cosa stessi facendo, ma erano interessati in particolare a questo report – ha proseguito Ahmed – Mi chiesero chi stessi incontrando, con chi stessi parlando, chi stesse collaborando a questo lavoro. Volevano sapere delle organizzazioni che trattavano di diritti umani".
E ancora: "Inizialmente mi dissero solo che volevano farmi delle domande per un un paio d'ore. Non avevo idea di cosa stesse accadendo davvero. Non ce l'ho avuta per quindici giorni. Dopo queste due settimane mi portarono in prigione, ma non volevano che raccontassi quello che avevo passato, che dicessi di fronte a un giudice di essere stato trattenuto illegalmente. Ma io ho comunque raccontato tutto. Il giudice mi ha accusato di aver pubblicato fake news e di dire il falso anche in quel momento".
Ci sono (almeno) 60 mila prigionieri politici in Egitto
Così Ahmed è stato detenuto per una seconda volta, dopo aver passato due settimane in condizioni disumane prima di finire a processo in tribunale. L'accusa è sempre quella di diffondere notizie false. Tutto ciò che va contro il governo di al-Sisi è potenzialmente considerato come una fake news.
"Oggi in Egitto tutto viene considerato falso. Mi è accaduta la stessa cosa che è successa a Patrick Zaki, anche lui è stato accusato di aver pubblicato fake news, anche se nulla di quello che aveva scritto era falso: aveva solo raccontato la situazione della comunità cristiana in Egitto, di come stesse soffrendo. Usano la scusa delle fake news quando non sanno cosa dire, vogliono semplicemente che quella persona stia in carcere", ha sottolineato Ahmed.
Secondo quel report, i prigionieri politici in Egitto sarebbero circa 60 mila. È la stessa cifra citata anche da organizzazioni come Human Rights Watch. In realtà Ahmed crede che possano essere anche molti di più. Il problema è che reperire i dati è molto, molto pericoloso. "Non ci sono numeri ufficiali, il governo non fornisce alcun dato. È per questo che noi, come collettivo di associazioni umanitarie, abbiamo cercato di raccogliere informazioni parlando con gli avvocati di questi prigionieri. E abbiamo scoperto appunto che c'erano almeno 60 mila prigionieri politici. Ma 60 mila è un numero a ribasso, credo che fossero molti di più. Ma sul numero attuale non ho informazioni aggiornate", ha precisato.
Anche se negli ultimi anni il governo di al-Sisi ha sporadicamente rilasciato alcuni dei prigionieri politici, secondo Ahmed si tratta di una pura operazione di facciata, una pretesa di democrazia che in realtà non esiste. Un chiaro esempio è stata la Cop27 dello scorso novembre. Quando i riflettori internazionali si sono puntati sull'Egitto, Il Cairo ha deciso di rilasciare centinaia di prigionieri politici, effettuando però poi il triplo di nuovi arresti quando attivisti e cittadini hanno iniziato a manifestare contro gli esiti della conferenza sul clima.
"Chiunque può sparire, in qualsiasi momento"
"Quello che è accaduto a Patrick Zaki può accadere a chiunque. In ogni momento. Chiunque non sia d'accordo con il regime può essere imprigionato. Dopo la rivoluzione abbiamo avuto circa un anno di democrazia e libertà, ma poi le cose sono peggiorate", ha proseguito Ahmed, affermando che nemmeno durante la dittatura di Hosni Mubarak c'erano una repressione così forte della stampa e così tanti prigionieri politici nelle carceri come ora.
Per poi aggiungere: "Che Patrick Zaki sia libero è un'ottima notizia. Ma la situazione nelle carceri in Egitto rimane terribile. Parliamo di altre migliaia di persone imprigionate. E come Giulio Regeni, che è stato ucciso, ci sono moltissime altre persone che sono state assassinate. Ogni giorno abbiamo persone che improvvisamente scompaiono, di cui non sappiamo più nulla. Ci sono Patrick e Giulio, ma ci sono anche migliaia di altri casi. In Egitto la libertà di espressione non esiste, è pericolosissimo parlare di quello che sta accadendo nel Paese".
Perché l'Unione europea deve continuare a parlare di cosa accade in Egitto
Anche se la grazia concessa a Patrick Zaki non cambia la situazione di giornalisti, oppositori politici, attivisti – e di chiunque esprima dissenso – all'interno del Paese, la sua storia è un simbolo importante. E dimostra che la diplomazia e le pressioni dall'estero possono comunque avere dei risultati.
"Penso che sia importante che i Paesi europei facciano pressione sull'Egitto, perché poi i risultati arrivano. Come è successo con Patrick Zaki appunto. Non solo nello stesso giorno è stato liberato anche Mohamed El-Baqer, un difensore dei diritti umani. L'Unione europea dovrebbe continuare a parlare di queste persone e continuare a spingere affinché l'Egitto liberi i prigionieri. Non ha senso sostenere la democrazia solo all'interno dei propri confini nazionali. Non dovremmo smettere di parlare di quello che sta succedendo", ha concluso Ahmed.