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Afghanistan, tre anni fa il ritorno dei Talebani: “Le donne stanno vivendo il loro peggiore incubo”

“Sotto il violento dominio del Talebani, le donne e le ragazze afghane stanno vivendo il loro peggiore incubo”, ha detto Fereshta Abbasi, di Human Rights Watch, nel terzo anniversario della ripresa del potere dei Talebani in Afghanistan.
A cura di Annalisa Girardi
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Era il 15 agosto 2021 quando le ultime truppe statunitensi lasciavano definitivamente l'Afghanistan e i Talebani tornavano al potere. Da allora per le donne lo spazio dei diritti e delle libertà non ha fatto che restringersi sempre di più e oggi viene loro negata l'istruzione, il lavoro e la partecipazione alla vita politica del Paese. Una vera e propria apartheid di genere, in cui ogni violazione della Sharia – della legge islamica – comporta intimidazioni, punizioni corporee (anche pubbliche) e arresti. Per Human Rights Watch "i Talebani hanno creato la più grave crisi sui diritti umani delle donne al mondo, da quando hanno ripreso il potere", mentre l'ultimo rapporto di UN Women (l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'uguaglianza di genere) afferma che tre anni di dominio talebano a Kabul hanno portato a una cancellazione de facto delle donne dalla vita pubblica.

"Sotto il violento dominio del Talebani, le donne e le ragazze afghane stanno vivendo il loro peggiore incubo", ha detto Fereshta Abbasi, di Human Rights Watch

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Le donne sono sicuramente le più colpite e le più discriminate dal potere talebano, ma in generale la popolazione si trova ad affrontare uno spazio di libertà sempre più ristretto, mentre si aggrava la crisi umanitaria e cresce la povertà nel Paese. La libertà di espressione è sempre più limitata, diversi dissidenti del regime – tra oppositori politici e giornalisti – sono stati arrestati e torturati.

Da quando, con il ritorno dei Talebani, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno tagliati gli aiuti al Paese, la situazione è precipitata: secondo il dipartimento per gli Affari umanitari delle Nazioni Uniti, oltre la metà della popolazione – parliamo di 23 milioni di persone – soffre di insicurezza alimentare, e il sistema sanitario è al tracollo senza i fondi dall'esterno.

Alle Olimpiadi non sono mancati gli appelli alla comunità internazionale, perché non si dimentichi e non abbandoni le donne afghane. Ad esempio la velocista Kimia Yousofi dopo aver corso i 100 metri ha mostrato al petto lo slogan "Education. Our Rights". Oppure la breaker Manizha Talash, che faceva parte della squadra dei Rifugiati, che ha indossato una maglia dove c'era scritto "Free Afghan Women", ma è stata squalificata per aver esposto un messaggio politico, comportamento vietato dal comitato olimpico.

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