Afghanistan, appello Unicef: “Emergenza è umanitaria, bisogna salvare milioni di bambini e civili”
In Afghanistan ci sono 18 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria; 400mila civili, di cui la metà bambini, in fuga. Solo nel 2021 sono stati uccisi 550 bambini, mentre 3 milioni e 700mila bambini e bambine non vanno a scuola, già da prima dell’arrivo dei talebani. È partendo da questi dati che Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, lancia l’allarme sulla situazione in Afghanistan in un’intervista a Fanpage.it. La crisi, spiega, è umanitaria ed esiste da prima dell’arrivo dei talebani al potere. E la soluzione non può essere solamente quella dei corridoi umanitari, per Iacomini: “È un’azione efficace ma che non copre i numeri di un esodo”. Ora “bisogna salvare questa popolazione”, ma “il problema non si risolve per slogan”. La partita si giocherà “all’interno del Paese” e la paura è quella che i bambini siano ancora più esposti a “pratiche nefaste” come flagellazioni, costrizioni, arruolamento tra le truppe, matrimoni precoci.
Si parla molto dei pericoli per le donne in Afghanistan ora, ma poco dei bambini. Quali sono per loro i rischi maggiori?
Cerchiamo di inquadrare la situazione: siamo sicuri di parlare della situazione attuale? Dobbiamo parlare di quello che succede da qualche anno, dobbiamo guardare ai dati di inizio 2021, con un quadro molto preoccupante. Solo nel 2021 sono stati uccisi 550 bambini, 1.400 sono rimasti feriti, è un quadro nel quale ci sono 18 milioni di persone che hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria e di questi 10 milioni sono bambini. Al netto di quello che accade, che ci mette ansia come vedere le braccia di mamma e papà che danno i figli alle truppe in partenza perché sono disperati, questo cambio di regime espone a un certo tipo di atteggiamento gli avversari politici, ma io sorrido quando sento parlare di corridoi umanitari subito, di non dialogo coi talebani; ma la domanda è chi si prende cura di questi 18 milioni di persone, con bambini che entro un anno se non ricevono assistenza sanitaria rischiano di morire? Con quale criterio parliamo di corridoi umanitari e non ci poniamo il problema della situazione umanitaria del Paese, Ue e comunità internazionale devono mettere alla prova il nuovo governo su questo.
Ci sono due ordini di preoccupazioni: quella politica e siamo d’accordo, abbiamo evidenza di bambini reclutati come soldati, flagellati, donne chiuse e rastrellamenti, ma accanto a questo abbiamo anche evidenze di una situazione umanitaria catastrofica che non può essere derubricata ai corridoi umanitari. Il problema non si risolve per slogan, è serio, quando sento parlare di classe politica che si è indignata e dice di essere dalla parte del popolo, allora stampiamo le dichiarazioni e ricordiamoglielo quando si porrà il tema dei profughi, se si è dalla parte del popolo lo si è fino in fondo. Oggi nel Paese i numeri parlano di una crisi umanitaria senza precedenti. Noi sappiamo che non avremo risposte subito, restiamo nel territorio, stiamo gestendo due campi sfollati a Herat e Kabul, con centinaia di migliaia di bambini in condizioni difficili, ci interessa che venga dato accesso sicuro, rispetto dei diritti umani.
Quali sono le questioni da porre, quindi?
Ci sono 400mila persone in fuga, la metà sono bambini: come facciamo ad assisterli? Quali sono le vie di accesso? Bisogna fare quello che non è stato fatto negli ultimi anni per Siria, Iraq, ovvero non bisogna spegnere la luce. Oggi sul bagnasciuga siamo tutti indignati, ma tra un mese in campagna elettorale parleremo ancora di Afghanistan? Il corridoio umanitario può essere la soluzione per 18 milioni di persone in fuga? Bisogna salvare questa popolazione, che negli ultimi 20 anni si è trovata in una condizione difficile, a differenza di altri scenari complessi dove ancora restano le truppe straniere, in Afghanistan non c’è stata quella osmosi con la popolazione che porta al nation building. Vanno aperte le vie di accesso interne, continuare con altre Ong il nostro lavoro, l’obiettivo è salvare vite di bambini e bambine dialogando con tutti.
Cosa potrebbe succedere per i minori nel Paese? Che conseguenze dirette temete ci possano essere?
Noi abbiamo un rischio di tipo politico, come l’arruolamento tra le truppe, perché una cosa sono le dichiarazioni in tv dei leader e un’altra le tribù nelle province. Poi c’è il rischio di un aumento dei matrimoni precoci. Ricordiamo che parliamo di un Paese che già prima non era bello per vivere l’infanzia, ultimo in tutte le classifiche sulla povertà, sui bambini soldati, sui matrimoni precoci. Rischiamo che ricomincino una serie di pratiche nefaste nei confronti dei bambini: flagellazioni, costrizioni, limitazioni dei diritti fondamentali. Il timore è che avvenga questo a luci spente, quando come di abitudine le spegneremo. Il secondo timore è di natura umanitaria, noi abbiamo previsto un milione di bambini morti alla fine dell’anno sotto i 5 anni per malnutrizione, ce ne aspettiamo altri 3 milioni in condizioni critiche. Esiste un problema di approvvigionamento, nei campi per sfollati mancano cibo, medicine, elettricità. C’è una grande attenzione, giusta, sacrosanta, ai temi politici come il rispetto delle donne, la protezione di chi ha collaborato con chi c’era prima, ma dall’altra il timore è che nessuno pronunci la parola emergenza umanitaria, catastrofe umanitaria. Come intendete salvare queste persone? È all’interno del Paese che si giocherà la partita più grande, quello dei corridoi umanitari secondo me non è un tema.
L’Unicef continua ad operare sul campo in Afghanistan: ci sono stati già riscontri di violenze e situazioni problematiche?
Noi siamo nelle 11 province, con il nostro staff. Nei confronti del nostro staff no, noi stiamo aspettando delle risposte, abbiamo chiesto degli accessi. Il tema è che in una situazione di conflitto c’erano evidenze di vario genere, oggi con una situazione pacificata speriamo che i bambini vadano a scuola. Non abbiamo avuto ancora risposta, ma chiediamo se ci continueranno a far fare il nostro lavoro.
Siete riusciti ad avere contatti con i talebani e le nuove autorità locali e nazionali? L’operatività dell'Unicef in Afghanistan è ancora garantita?
Ancora non ho evidenze di contatti ufficiali, abbiamo con il nostro team inoltrato alcune richieste, ci auguriamo che vengano accolte le famiglie con i bambini quanto prima. I talebani in alcune zone ci hanno chiesto, per la nostra sicurezza. di sospendere le operazioni.
Uno dei problemi principali in Afghanistan riguarda l’istruzione: i bambini e le bambine potranno continuare ad andare a scuola o con i talebani c’è il rischio che questo non avvenga più?
È tutta una partita da giocare, perché ci sono 3 milioni e 700mila bambini che di fatto non vanno a scuola. Non in virtù dei talebani, questo è il quadro del Paese. Di questi 2,2 milioni sono bambine. Noi dobbiamo sostenere la continuità dell’istruzione, fare in modo che continuino perché l’istruzione è la risposta a emergenza, a scuola in alcuni casi vengono anche nutriti, tengono occupate le giornate. Poi ci sono 8 milioni di bambini che non hanno acqua, c’è il tema della siccità molto grave. L’Afghanistan è uno dei due Paesi in cui c’è ancora la Polio endemica, non deve essere interrotta la vaccinazione dei bambini. Noi abbiamo chiesto al governo di intervenire altrimenti ci sarà una strage. Già alcuni progetti sono stati interrotti per via delle ostilità, poi ci sono state le scuole chiuse tra Covid e conflitto. In questo Paese di fatto il Covid più il conflitto hanno visto 9,5 milioni di ragazzini senza istruzione.
L’altra emergenza è quella dei profughi: quanti sono i bambini che con le loro famiglie stanno cercando di scappare dal Paese?
Abbiamo contato 200mila bambini in fuga, è un numero non reale, il numero è molto più grande, vanno sommati agli sfollati già presenti nel Paese, dobbiamo verificare nei centri di accoglienza che si stanno creando, non abbiamo in mano un censimento di chi è riuscito a uscire passando il confine con i Paesi vicini. Ad oggi ci sono 400mila persone in movimento, la metà sono bambini. Secondo me il numero dei profughi sarà enorme e questo è il secondo punto che va di pari passo con l’emergenza umanitaria. Alla comunità internazionale chiede: come intendiamo affrontarla? Non si può piangere la modalità con cui viene lasciato un Paese, un popolo disperato e poi non farsi carico di questo popolo, perché già c’è chi non lo fa, ci vuole un impegno serio, sereno per affrontare questa situazione. Fa ridere quando si dice che non si dialoga con i terroristi, allora con chi si deve dialogare per salvare 10 milioni di bambini?
La proposta di istituire i corridoi umanitari serve e può essere sufficiente?
È presto per i corridoi umanitari. Abbiamo verificato che è un’azione efficace ma che non copre i numeri di un esodo, rischia anche di essere una misura discriminante rispetto a una popolazione enorme in difficoltà. Portiamo fuori 18 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza? Quando parliamo di corridoi parliamone con cognizione di causa, oppure facciamoli tutti. E poi: chi facciamo uscire? In base a quale criterio? E tutti gli altri? Perché non ci ascoltano? Perché non si dice che i riflettori vanno accesi sulla crisi umanitaria, devono misurare i talebani su come risolvere l’emergenza umanitaria, poi devono parlare tra di loro, in terza battuta ci sono i corridoi umanitari. Poi c’è il tema dei diritti umani e anche su questo come vigiliamo? Non spegnendo la luce come abbiamo fatto sistematicamente?
Cosa chiedete alla comunità internazionale e cosa vi aspettate dai governi?
Il nostro governo è guidato da un uomo straordinario e illuminato che sicuramente avrà un ruolo fondamentale, i governi dovranno convincere tutta la comunità internazionale che se ci siamo battuti tanto per questo popolo e riteniamo di aver fatto un grave errore, alla stessa maniera dobbiamo parlare di accoglienza e non di respingimento dei profughi. Il tema oggi è l’emergenza umanitaria interna, la situazione interna. Non è il momento degli slogan, poi non posso dare giudizi politici ma a me interessa salvare vite umane, anche parlando coi talebani. Noi non ce ne andiamo, noi restiamo. Il dato per noi, che c’è da prima, è che ci sono 18 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria.