Abu Mazen replica a Netanyahu: rivolgerci all’ONU era un nostro dovere
E' trascorso un anno esatto dall'inizio dei negoziati tra lo Stato di Israele e l'Autorità Nazionale Palestinese, sotto l'egida del Presidente americano-premio Nobel Barack Obama. Intervistato dal quotidiano "l'Unità", il leader dell'ANP Abu Mazen rivela che il desiderio di uno Stato di Palestina sembrava poter diventare realtà proprio in seguito ai negoziati intrapresi nel settembre 2010 con il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. E invece, a distanza di un anno persistono le accuse reciproche tra Netanyahu e Abu Mazen, il quale lascia trapelare una certa delusione:
Un anno fa il presidente Obama aveva sostenuto sempre dalla tribuna dell'ONU che era ottimista sul fatto che un anno dopo lo Stato di Palestina potesse essere una realtà. Noi lo abbiamo preso sul serio, abbiamo cercato un dialogo ma dall'altra parte non abbiamo avuto che gesti di chiusura.
Abu Mazen si riferisce senza dubbio alle promesse israeliane di fermare il processo di occupazione coloniale del suolo palestinese, infrante. Nonostante gli appelli dell'ONU, il governo di Netanyahu ha continuato a perpetrare nella sua azione di espropriazione e acquisizione dei terreni palestinesi. A tal proposito, il leader dell'ANP dipinge Netanyahu come il vero problema nel processo di pace palestinese: "Il problema non sono io, ma il signor Netanyahu, il leader israeliano più inflessibile tra quelli con cui ho avuto a che fare (Rabin, Peres, Sharon, Olmert, Livni). Con loro negoziare è stato possibile, ma con Netanyahu ciò risulta impossibile".
Una proposta di Stato di Palestina "basata" sui confini del 1967
Il leader dell'ANP si dice pronto a riaprire da subito i negoziati diretti con il suo "rivale" israeliano, ma bisogna partire da: "basi chiare, contenuti concreti: i palestinesi non possono negoziare qualsiasi proposta che non sia basata su confini del 1967. Basata non significa che non si possa porre delle modifiche, limitate, da negoziare sulla base del principio della reciprocità".
Forte dell'appoggio americano (a maggio Obama si diceva a favore del ripristino dei confini del 1967), Abu Mazen rimprovera la politica di occupazione e oppressione israeliana e focalizza l'attenzione sulla parola reciprocità, quasi a sottolineare il suo atteggiamento conciliatore, a dispetto delle accuse che gli hanno indirizzato di "aver posto in essere una forzatura unilaterale". Una condotta unilaterale, a suo dire, è stata invece portata avanti dagli israeliani, in particolar modo "in questi anni di unilaterale c'è stata l'incessante colonizzazione israeliana dei Territori (attualmente il mondo arabo si riferisce alla Palestina definendola Territori occupati, "Al-Arad Al-Muhtalla"), la costruzione del muro (il muro della vergogna edificato a partire dal 2005 da Israele per la sua sicurezza dagli attentati palestinesi), unilaterale è l'oppressione esercitata contro il mio popolo".
Il Consiglio di Sicurezza ha ricevuto la richiesta di riconoscimento dello Stato di Palestina lo scorso venerdì, ma si esprimerà sulla questione solo tra qualche giorno. A fine settembre i palestinesi avranno una risposta alle loro speranze: se, come accadrà con tutta probabilità, i 15 membri del Consiglio di Sicurezza rigetteranno la questione del riconoscimento del nuovo Stato, Abu Mazen potrà chiedere ai 193 paesi che compongono l'Assemblea Generale di votare a favore della proposta ipotizzata anche dal leader francese Sarkozy: "elevare lo status della delegazione palestinese da entità a Stato Osservatore".
La Palestina come Stato Osservatore
I risvolti di questa seconda ipotesi (e i numeri ci sarebbero, l'Assemblea voterebbe a maggioranza assoluta e attualmente 150 paesi si dicono a favore del nuovo Stato osservatore) sarebbero importantissimi; uno fra tutti: la vittoria in Assemblea consentirebbe ai palestinesi di accedere ad organismi come la Corte Penale Internazionale (dove quasi certamente porterebbero la questione dell'occupazione israeliana).
Non resta che seguire i risvolti dell'iniziativa di Abu Mazen e dei suoi seguaci, quale sarà la reazione del governo israeliano di Netanyahu, forse costretto a dare ascolto anche alle voci (seppur flebili) dei dissidenti ebrei che si schierano a favore di uno Stato palestinese. Da capire se i termini "reciprocità" e "negoziato" si tradurranno in realtà nei fatti o resteranno delle belle parole pronunciate in sede ONU.