Abortire è più grave di stuprare un bambino
George Pell è un cardinale australiano, arcivescovo di Sidney dal 2001. Commentando gli abusi sessuali da parte dei preti ha dichiarato di essere sempre stato dalla parte delle vittime. Non solo: ha ammesso che il suo predecessore Frank Little aveva cercato di insabbiare gli abusi e che l’arcivescovo Ronald Mulkearns avrebbe tentato di distruggere le prove e i documenti, limitandosi a spostare di parrocchia il sospetto come da migliore tradizione omertosa.
Insomma lo scandalo che ha travolto la chiesa in Australia – e in tutto il mondo – per Pell è ormai innegabile, non è più solo un timore, un pettegolezzo. Quel pettegolezzo contro cui s’è cercato di puntare i piedi, perché avrebbe di certo comportatoun serio danno all’immagine della chiesa. Secondo il parlamento australiano circa 620 bambini hanno subito abusi sessuali dal 1930 a oggi. In questi anni gli abusi sono stati supportati dall’omertà, dalla complicità, dal silenzio. Poi, finalmente, il bubbone è scoppiato.
Pell dichiara di non essere mai stato coinvolto direttamente e di non avere mai cercato di nascondere abusi o violenze, anche se vent’anni faaveva testimoniato nel corso del processo di Gerald Francis Ridsdale – poi condannato per aver molestato e stuprato 40 bambini nel corso di 26 anni. Ma Pell non ne sapeva nulla. Lo ignorava, e oggi ribadisce la sua buona fede. Non si può essere responsabili di quello che non si conosce, no?
Ma non è solo questa sua distrazione a scatenare feroci condanne nei suoi confronti, e neanche il suggerimento di un tetto massimo di 75,000 dollari a persona perché tanto non sono i soldi che interessano alle vittime, ma la giustizia, l’andare avanti con le loro vite (giustizia e vite calpestate dagli abusi prima, dal silenzio poi). A far infuriare è anche il ricordo di undici anni fa, durante il World Youth Day, quando Pell dichiarò che l’aborto è un crimine ben più grave dei preti che hanno violentato i ragazzini. Ovviamente questa dichiarazione ha esacerbato gli animi già messi a dura prova dalla lista dei reati commessi (un paio i giorni fa Mary Elizabeth Williams su Salon consigliava a Pell di limitarsi alla scuse, senza aggiungere altro).
L’affermazione fa prendere fuoco facilmente: come si può paragonare un aborto a una violenza sessuale nei confronti di un bambino? Peggio: come si può affermare – o anche solo pensare – che abortire sia più grave di stuprare un ragazzino? Prendendo sul serio la premessa degli ultraconservatori, dei cosiddetti “prolife”. Se fin dal concepimento esiste una persona con diritti fondamentali, allora il ragionamento di Pell non fa una piega. L’embrione è ontologicamente e moralmente uguale a un bambino, “assassinarlo” (interrompendo una gravidanza) è più grave di abusarne. Il reato di omicidio è più grave, infatti, di quello di violenza carnale.
Ci rimangono due possibilità: o rifiutiamo la premessa, oppure ci teniamo anche la coerente implicazione resa esplicita da Pell. Abortire è un reato ben più grave di abusare sessualmente di qualcuno.