Abbandonati nel deserto dalla polizia tunisina, l’appello: “I bambini hanno fame, vi prego aiutateci”
Un puntino rosso su una distesa di sabbia è l’unica traccia di loro: 18 persone abbandonate nel deserto dalla polizia tunisina. Sei uomini, otto donne, di cui tre incinte, diversi bambini e due neonati di quattro e due mesi.
“Siamo senz'acqua e senza cibo, abbiamo donne e bambini qui”, urlano al telefono due di loro, durante un difficile collegamento con Fanpage.it. Vengono tutti dalla Sierra Leone e una settimana fa avevano provato a fuggire dalla Tunisia per raggiungere le coste italiane. Lampedusa non è mai stata raggiunta perché la guardia costiera tunisina, finanziata e addestrata dall’Italia, li ha bloccati, catturati, picchiati e riportati indietro a Sfax per poi abbandonarli nel deserto.
“Eravamo in mezzo al mare quando i tunisini sono arrivati, ci hanno fermati, e ci hanno costretti a tornare indietro. Durante il respingimento la guardia costiera ci ha picchiati molto forte, hanno sequestrato i nostri telefoni e i nostri soldi e hanno preso tutto quello che avevamo”, spiega Sebotè, uno dei sei uomini. “Poi ci hanno abbandonati qui, nel deserto, senza niente. Allora abbiamo provato a tornare indietro a Sfax ma ci hanno intercettati di nuovo, picchiati e riportati nel deserto ma ancora più lontano. Abbiamo camminato sei giorni avanti e indietro”.
Adesso si trovano nel nulla tra Tunisia e Algeria, a sei chilometri più o meno di distanza dalla città tunisina di Gafsa, dove non possono andare o verrebbero nuovamente catturati dalla polizia e deportati ancora più lontani. Una pratica, quella delle deportazioni nel deserto da parte della polizia tunisina, divenuta prassi del nuovamente eletto governo Kais Saied. L’accordo con l’Italia e l'Europa, siglato a luglio del 2023 e ampliato con nuovi finanziamenti da parte dell’Italia lo scorso aprile, d’altronde, prevede proprio questo: bloccare le partenza dei migranti subsahariani dalle coste tunisine. Come lo si fa poco importa.
"Come Refugees in Libya nell’ultimo anno abbiamo ricevuto centinaia di migliaia di segnalazioni come queste”, dichiara David Yambio, portavoce dell’organizzazione per i diritti umani dei rifugiati, “riceviamo chiamate di questo genere quotidianamente, nel video che questi rifugiati ci hanno inviato, ci sono bambini e donne con loro nel deserto, dov’è il rispetto dei diritti umani? Questo è ciò che ci chiediamo ogni giorno, consapevoli che quello che accade in Tunisia così come in Libia è responsabilità degli accordi con l'Italia e con i governi europei”, conclude Yambio. Nell’ultimo anno potrebbero essere più di mille le persone morte nel deserto del Sahara, al confine con Tunisia, Algeria e Libia. Persone di cui si non si ha più nessuna traccia.
In quello che è ormai un cimitero di esseri umani, Sebotè e i suoi compagni di viaggio sono ancora vivi. “È dall’altro ieri che chiamiamo l’OIM di Zarzis, ma nessuno è venuto ad aiutarci. Qui fa freddo e i bambini hanno fame, abbiamo bisogno di aiuto, vi prego aiutateci, vi prego salvateci”, prega disperato l’uomo. Poi cade il segnale, si spegne quel precario collegamento reso possibile grazie a un telefono prestatogli da un signore tunisino che vive a pochi chilometri di distanza da dove si trovano i migranti. Lì dove loro non possono andare, dove rischiano di essere intercettati di nuovo dalla polizia tunisina.