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“A Raqqa l’infanzia non c’è più”, la tragedia dei bambini in fuga dall’Isis e dai bombardamenti

Mentre si intensifica la battaglia per la liberazione di Raqqa, emerge in tutta la sua crudezza il dramma dei bambini riusciti a scappare dalla città del nord della Siria. Un “inferno” dal quale è sempre più difficile fuggire.
A cura di Mirko Bellis
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Tutta la sofferenza nello sguardo dei bambini scappati da Raqqa (Foto Unicef)
Tutta la sofferenza nello sguardo dei bambini scappati da Raqqa (Foto Unicef)

“Non esiste più l’infanzia, i bambini hanno dimenticato cosa significhi. Se anche uno di loro volesse andare a scuola, gli verrebbe insegnato solo come combattere”, è lo straziante racconto di Aoun, un abitante di Raqqa riuscito a fuggire dalla città insieme alla famiglia. “L’Isis ha decapitato delle persone e lasciato i loro corpi a terra. Noi abbiamo visto tutto”, ricorda una delle sue figlie, Raashida, di soli 13 anni. “Non riuscivo più a dormire, restavo sveglia per la paura. Ora dormo di nuovo, perché qui nessuno verrà ucciso in quel modo”. Una vita di disperazione e privazione, come hanno raccontato a Save the Children i ragazzi scappati dalla città della Siria settentrionale. Secondo l’organizzazione umanitaria, nella vita quotidiana dei bambini di Raqqa ci sono soltanto decapitazioni e bombe. E sono ancora migliaia i bambini intrappolati nell'autoproclamata “capitale” del sedicente Califfato islamico: tra i 9.000 e i 12.000 minori sopravvivono tra brutali violenze e bombardamenti.

I giovanissimi superstiti, ora nel campo per rifugiati di Ain Issa, a nord di Raqqa, descrivono un livello di violenza inaudito. Raccontano di essere stati costretti a restare chiusi in casa per mesi, con la corrente elettrica a disposizione per poche ore al giorno, senza poter giocare né andare a scuola. Quelli che una volta erano spazi destinati alla socialità, come i parchi pubblici sono stati trasformati dagli estremisti dell’Isis nel palco di uccisioni, disseminati di corpi o parti di essi.

I bimbi di Raqqa: traumatizzati dalla guerra, senza cibo né acqua

Dall'avvio dell’operazione “Ira dell’Eufrate”, nel novembre 2016, tre quarti dei quartieri della città sono stati abbandonati. Metà delle persone che li abitano – il dato diffuso da Save the Children – è rappresentata da bambini, costretti ad affrontare condizioni durissime: il ricollocamento forzato nelle aree controllate dal sedicente Stato islamico, unito alla carenza di cibo e acqua sono una minaccia costante alla loro sopravvivenza e al loro benessere. Le ferite psicologiche causate ai più piccoli – ricorda l’organizzazione umanitaria – impiegheranno anni, se non decenni, a guarire. Le esperienze drammatiche e di violenza estrema vissute in questo tipo di contesto – simili a quelle patite dai bambini in fuga dall'Isis in Iraq – sono causa di stress che può avere un impatto permanente sulla salute mentale e fisica dei minori.

“Sfollati, disorientati e scioccati”, così definisce i bambini siriani Fran Equiza, il rappresentante dell'Unicef in Siria, dopo la sua missione nei campi per sfollati di Areesha, Ein Issa e Mabrouka. “Sono sopraffatto dalle esperienze profondamente traumatizzanti che questi bambini hanno vissuto”, racconta Equiza. “Hanno patito violenze brutali, perso amici e familiari”. Terrorizzati come Usama, un ragazzo di 14 anni, rimasto ferito durante un bombardamento aereo: “All'improvviso c'erano esplosioni intorno, come dei fuochi d'artificio. Poi sono svenuto”, ha ricordato. O come Rawan, una bambina di 11 anni che, dopo essere fuggita da Raqqa, ha detto: “Prima giocavamo spesso, ma dopo è arrivato il buio”. “È cruciale che ai sopravvissuti sia fornita assistenza psicologica, per aiutarli ad affrontare le brutalità a cui hanno assistito", ha affermato Sonia Khush, direttrice di Save the Children in Siria. "Questi bambini possono sembrare normali all'esterno, ma dentro sono tormentati da ciò che hanno visto. Rischiamo di condannare una generazione a una vita di sofferenza – ha aggiunto Krush – a meno che la questione della loro salute mentale non sia affrontata in modo adeguato”.

Raqqa, un inferno per civili

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I combattimenti per strappare la città agli uomini del Califfato nero non stanno risparmiando nessuno e a pagare il prezzo più alto sono proprio gli abitanti di Raqqa. L’offensiva vede le truppe dell'Sdf (Syrian Femocratic Forces)  – formate da curdi, arabi e cristiani assiri – avanzare giorno dopo giorno. Sostenute da Stati Uniti e altri alleati occidentali, hanno riconquistato il 60 per cento del territorio, tra cui quasi tutta la città vecchia. Da sud invece l'esercito siriano, appoggiato dall'aviazione russa, sta chiudendo in una morsa i jihadisti dell’Isis. Per le migliaia di civili sottoposti al fuoco incrociato di tutte le parti coinvolte nella fase finale della battaglia, Raqqa è diventata un inferno. E’ in questi termini che Amnesty International denuncia la situazione al termine di un'indagine svolta sul campo e diffusa nei giorni scorsi. Civili uccisi dalle trappole esplosive e dai cecchini dell’Isis che prendono di mira chiunque cerchi di scappare. Oppure vittime dei costanti colpi d'artiglieria e bombardamenti della coalizione a guida Usa; attacchi incessanti e spesso imprecisi. A sua volta, l’esercito di Damasco sta bombardando i villaggi e i campi a sud del fiume Eufrate, impiegando anche le bombe a grappolo, vietate a livello internazionale.

"Via via che la battaglia per strappare Raqqa allo Stato islamico s'intensifica, migliaia di civili sono intrappolati in un labirinto di morte in cui sono sotto il tiro di tutte le parti in conflitto. Sapendo che lo Stato islamico usa i civili come scudi umani, le Forze democratiche siriane e la coalizione a guida Usa devono raddoppiare gli sforzi per proteggere la popolazione civile, evitando soprattutto attacchi sproporzionati e indiscriminati e creando corridoi sicuri di uscita dalla città", ha dichiarato Donatella Rovera, Alta consulente di Amnesty International. "La situazione è destinata a peggiorare dato che i combattimenti si avvicinano al centro della città. Dev'essere fatto molto di più per proteggere le vite dei civili intrappolati nel conflitto e per facilitare la loro uscita dalle zone di conflitto", ha aggiunto Rovera.

Tregua e corridoi umanitari per consentire ai civili di lasciare Raqqa

“I bambini devono essere messi nella condizione di poter lasciare Raqqa senza dover temere di andare incontro alla violenza o alla morte e senza essere costretti a camminare per giorni attraverso campi minati, in cerca di sicurezza” ha dichiarato in un comunicato Save the Children. E anche l'Onu ha rimarcato l’esigenza dei civili di abbondare Raqqa in modo sicuro, di non essere utilizzati come scudi umani dall'Isis e di non dover affrontare i bombardamenti aerei. Potrebbero essere fino a 25.000 le persone intrappolate in cinque quartieri di Raqqa ancora sotto il controllo dei jihadisti e usati come scudi umani. Però per gli abitanti della città siriana la scelta è drammatica: perdere la vita a causa di una bomba restando nelle loro case oppure decidere la fuga sfidando le trappole mortali collocate dai jihadisti o il fuoco dei cecchini.

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