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Opinioni

A Gaza un massacro. E noi siamo tutti coinvolti

Ancora un massacro a Gaza, ancora morti da buttare sul tavolo delle trattative. Una guerra infinita, che fa comodo a molti, a troppi. Nell’immobilismo inaccettabile della comunità internazionale, dei premi Nobel per la Pace e con la nostra colpevole indifferenza…
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Gaza-Palestina

Questa non è solo una crisi politica. Non è uno scontro fra ideologie contrapposte. Non è un confronto per rideterminare equilibri geo – politici. Non è un braccio di ferro per la tutela di interessi e posizioni privilegiate. O meglio, non solo. Questa è prima di tutto una guerra sanguinosa e brutale. Un conflitto che semina morte, terrore, distruzione e che cancella il futuro delle generazioni palestinesi. Un massacro, una prova di forza nel silenzio pressocché generale della diplomazia internazionale. Del resto, scene già viste. In Palestina, in Siria, nell'Africa sub – sahariana, solo per fare qualche esempio. Massacri nel silenzio, nell'indifferenza o peggio ancora nella consapevolezza del "non poter far nulla".

Invece questo è un massacro che coinvolge tutti noi, che dovrebbe chiamare ognuno di noi alla mobilitazione, al dissenso. Perché, come scrive Nichi Vendola, "la paura delle popolazioni civili, il loro dolore, imporrebbe un senso di responsabilità differente. Le ragioni della pace non si cancellano, vanno rafforzate". Perché prima ancora di andare ad indagare le motivazioni alla base del conflitto, prima ancora di proporre compromessi al ribasso o di immaginare complotti internazionali, prima ancora di realizzare che la nuova escalation ha radici profonde, prima ancora di prefigurare il precipitare della situazione nell'area mediorientale, dovrebbe venire una considerazione, semplice e lapidaria: la guerra è inaccettabile, il massacro di un popolo è inaccettabile.

E se è pur vero che, per citare lo scrittore Etgar Keret, "la retorica non porta da nessuna parte ed occorrono soluzioni pragmatiche, visto che questo conflitto serve sia ad Hamas che a Netanyahu", allo stesso tempo dovremmo essere stanchi di negoziare tregue contando i morti. Alla soluzione non si arriva con il sangue ed Israele "non può pensare di fare un deserto e chiamarlo pace". Sarà anche retorico, ma è tremendamente reale. Reali sono le immagini dei bambini sotto le macerie e reali sono le vittime degli attentati. Così come reale è la follia di chi immagina altri cadaveri sulla bilancia delle ragioni.

In tal senso, non c'è interesse politico o diplomatico che possa giustificare il silenzio o le mezze misure della comunità internazionale. Non c'è prudenza che possa giustificare la timidezza anche del nostro Governo e della nostra politica nel rapportarsi alla situazione. Non basta "auspicare la ripresa del dialogo", non basta definirsi "preoccupati" (per citare il nostro Presidente del Consiglio). Non basta, non è sufficiente: il nostro Paese "ripudia la guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali". Noi "ripudiamo la guerra". Ci fa schifo, orrore, senza se e senza ma. È la nostra Costituzione e non dovremmo accettare mediazioni, non più. E di fronte alle immagini da Gaza dovremmo davvero sentirci tutti coinvolti.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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