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Guerra in Ucraina

A che punto è la guerra in Ucraina e come potrebbero cambiare le cose con Trump presidente

L’intervista di Fanpage.it all’esperto: “I rapporti di forza attualmente sono bilanciati: a favore della Russia sul terreno e dell’Ucraina in diplomazia. Ma con Trump e Vance alla Casa Bianca le cose si metterebbero male per Kyiv. Zelensky lo sa e potrebbe cedere su alcuni punti”.
A cura di Riccardo Amati
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Una vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa “potrebbe costringere l’Ucraina ad accettare termini di pace penalizzanti”, perché “gli attuali rapporti di forza, di sostanziale equilibrio sul fronte diplomatico e di relativo vantaggio russo sui campi di battaglia, cambierebbero”. A favore di Mosca. Volodymyr Zelensky lo sa bene: con Trump alla Casa Bianca, gli aiuti occidentali si inaridirebbero e i valori difesi da Kyiv perderebbero di appeal nell’arena internazionale. E “si sta preparando con realismo all’evenienza”.

A parlare è l’analista Eugene Chausovsky, dirigente del New Lines Institute. Dal Cremlino, in realtà, arrivano segnali opposti a ogni ipotesi di compromesso sulla guerra. L’ex presidente Dmitry Medvedev ha parlato di “totale e incondizionata capitolazione di Kyiv”, che potrà ottenere la pace “esclusivamente alle condizioni imposte dalla Russia”. Ovvero: cessione di territori che le truppe di Putin nemmeno controllano completamente, esclusione eterna dalla Nato e veto di Mosca sull’attività legislativa del Paese invaso. Ma quella di chiedere tutto il bottino per poi ottenerne una parte è una vecchia tecnica negoziale, in Russia. Almeno dai tempi di Stalin.

Fatto sta che, per render possibile un processo di pace, sono necessari mediatori che Mosca consideri dalla sua parte o comunque sia disposta ad ascoltare. E sono “solo la Cina e l’America di Trump”, spiega l’esperto. Ancora, però, Trump le elezioni non le ha vinte. E poi “non è detto che una sua amministrazione sia poi così pro-russa, ci insegna il suo precedente mandato”. Ma il voto Usa di novembre il perno di ogni futura evoluzione o involuzione.

Di sicuro, nel Paese di Vladimir Putin si celebrano gli sviluppi politici americani. Il quotidiano Komsomolskaya Pravda dà per scontata una presidenza Trump e applaude anche JD Vance: “Il nuovo vice-presidente è una catastrofe per l’Ucraina”, titola. “È del tutto contrario agli aiuti militari a Kyiv”, spiega. Non meno convinta la più sobria Izvestia, che nota come “Trump e il suo vice-presidente abbiano adottato un tono conciliatorio nei confronti della Russia”. “Da molto tempo Mosca voleva vedere persone di questo tipo al comando, a Washington”, chiosa il tabloid Moscovsky Komsomolets.

Eugene Chausovsky, prima di arrivare a New Lines, è stato per dieci anni senior analyst per l’Eurasia di Stratfor, l’agenzia di analisi geopolitica e di intelligence spesso definita come “la CIA privata”. Ci risponde al telefono da Washington.

Eugene Chausovsky
Eugene Chausovsky

Eugene, quali sono i termini che renderebbero possibile un processo di pace in Ucraina? La Russia vuole la capitolazione, Kyiv esclude la cessione di territori. Posizioni troppo contrapposte per arrivare a un compromesso?

Difficile che la guerra finirà con una vittoria totale di una parte o dell’altra. La novità è che Zelensky ha aperto alla partecipazione della Russia alla conferenza che dovrebbe riunirsi in novembre come secondo capitolo di quella tenutasi a metà giugno in Svizzera.

Dal Cremlino però è subito arrivato un perentorio “niet”…

Al di là delle schermaglie verbali, era da molto tempo che l’Ucraina non diceva così esplicitamente di volersi sedere a un tavolo con la Russia.

Perché ora?

Perché le probabilità che Donald Trump torni alla presidenza sono aumentate, mettendo Kyiv di fronte all’eventuale necessità di accettare condizioni che finora ha sempre escluso di poter accettare. Finora, a fronte di una situazione militare che vede avanzamenti del nemico, seppur lenti e modesti, l’Ucraina ha potuto contare su un sostegno diplomatico maggiore rispetto a quello che può vantare Mosca. Gli aiuti occidentali, nonostante drammatiche pause, sono continuati ad arrivare. Con Trump al potere, tutto questo potrebbe cambiare.

Tra l’altro, la scelta di JD Vance come “running mate” ha fatto partire cori da stadio sui media russi. Vance manterrebbe le sue posizioni anti-ucraine, se la coppia repubblicana vincesse a novembre?

Certo i commenti di Vance contro Kyiv sono stati molto espliciti. Ma li ha fatti prima della sua nomination. Ho l’impressione che almeno il tono cambierebbe, se davvero arrivasse ad avere la responsabilità politica di vice-presidente.

Lo stesso Trump, quando fu presidente, non fece poi tanti favori a Putin…

E non c’era stata l'invasione su vasta scala dell’Ucraina. Ma certamente oggi un’amministrazione Trump cercherebbe il dialogo con Mosca a scapito del sostegno a Kyiv. La situazione cambierebbe di molto, rispetto a quella vista finora durante la presidenza Biden. Zelensky lo sa, non si fa illusioni e si prepara a un approccio realistico all’eventuale nuovo corso della politica statunitense. Capisce bene che il sostegno occidentale non andrà avanti all’infinito, se lo scenario cambierà in modo così cruciale.

Lei crede davvero che l’arrivo di Trump favorirebbe la pace? E semmai, a che costo?

Presto per dirlo. Possono succedere molte cose, da qui a novembre. È significativo che non sia stata fissata una data precisa per la prossima conferenza internazionale sull’Ucraina. A novembre, sì. Ma prima o dopo il risultato delle presidenziali Usa?

Da qui alla conferenza di novembre sono previsti una serie di incontri con cui i Paesi occidentali cercheranno di coinvolgere nel processo per una pace giusta in Ucraina il Sud globale, di cui Putin vuol essere il faro. Che sviluppi si aspetta? 

Intanto, non reputo la conferenza del giugno scorso in Svizzera come fallimentare: hanno partecipato una novantina tra Paesi e organizzazioni. Certo, sarà importante conquistare alla causa di una pace giusta i pezzi da novanta che hanno disertato il consesso o non hanno votato la risoluzione finale. Parlo di Cina, India, Arabia Saudita e altri. L’apertura a una partecipazione di Mosca potrebbe essere la chiave per coinvolgere i giganti del sud.

Quali sono le condizioni perché si arrivi a un negoziato serio, con la Russia presente e una pace giusta sul tavolo?

Più che di condizioni, parlerei di leverage: di come possono essere utilizzati dalle parti in gioco i rapporti di forza che esisteranno in quel momento. A questo proposito, se è vero che un’elezione di Trump potenzierebbe la posizioni russe, è altrettanto vero che l’Ucraina ha i suoi punti di forza. La potenza economica dell’Occidente e il suo sostegno politico e militare assicurano a Kyiv una leva che resta formidabile. Un compromesso potrebbe trovarsi sul riconoscimento della Russia come una grande potenza senza la quale non si può decidere nulla, almeno nella regione sede del conflitto. Ciò implicherebbe però il mantenimento di una presenza in Ucraina. È questo è il nodo principale. Non credo comunque che nella conferenza prevista in novembre si arriverebbe a conclusioni condivise. Sarebbe già un successo se vi partecipassero la Russia e i suoi maggiori alleati del Sud globale. Sarebbe solo un primo passo.

Il confronto tra Russia e Ucraina ha dimensioni ideali forti: la prima afferma di lottare contro l’espansione della Nato e il presunto “neo-nazismo”. La seconda, con molte ragioni, afferma di lottare per la libertà e per la democrazia contro un invasore imperialista che non rispetta il diritto internazionale. Questa dimensione ideologica non è un ostacolo per qualsiasi trattativa?

Gran parte della propaganda russa è mirata a creare consenso interno. Ma alla fine conteranno la situazione militare sul campo e gli allineamenti diplomatici che potrebbero formarsi. Entrambe le cose dipenderanno dagli sviluppi politici negli Usa e in Europa. La mia tesi è che Zelensky oggi sta prendendo in considerazione l’apertura a qualche compromesso finora escluso. Trovo molto interessante da lui dichiarato riguardo alla diplomazia della navetta messa in scena da Viktor Orban per l’ira dell’Unione Europea. Cito a memoria: “Solo potenze con apparati militari maggiori di quello della Russia possono mediare un negoziato”. Ovvero, solo la Cina e gli Usa. Mi pare che Zelensky sia aperto a una mediazione da parte di Pechino e Washington, e che si prepari all’eventualità che a Washington l’interlocutore sia Trump.

E Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi? Non potrebbero avere un ruolo di mediazione?

Possono parlare con i russi, perché sono Paesi che non hanno aderito alle sanzioni contro Mosca. E parlano con l'Occidente, con il quale mantengono relazioni privilegiate, per motivi militari, economici e politici. Possono essere mediatori utili. Ma la chiave per una soluzione del conflitto resta a Pechino e a Washington. E parecchio dipenderà da chi ci sarà l’anno prossimo alla Casa Bianca.

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